ALBERTO STATERA: L'EPOPEA DEI TELEFONINI E L'ALGORITMO DELLA RITIRATA

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INES TABUSSO
00martedì 12 settembre 2006 22:44

LA REPUBBLICA
12 settembre 2006
L'EPOPEA DEI TELEFONINI E L'ALGORITMO DELLA RITIRATA
Telefonini made in Italy storia di record e ritirate
Dominio straniero nel Paese con più cellulari
Dalla Sip alla privatizzazione, da Colaninno alla scissione di Tim
Alberto Statera


Infine, oggi incede mestamente l´algoritmo della ritirata, che vede l´Italia retrocedere da un mercato che più made in Italy - dalla formula matematica che l´ha prodotto, fino alla diffusione diventata in un decennio più icona nazionale del sole e del mare - non potrebbe essere. Perché qui, a dispetto di Viterbi, non si produce più neanche un cellulare e passi, visto che in Cina costano molto meno, ma, se va come sembra nonostante le promesse diverse, Tim non sarà più italiana. Il leader europeo della telefonia mobile sarà forse un ricordo del precedente millennio. Scadremo da leader mondiali a prede mondiali, per gli appetiti degli spagnoli o dei tedeschi.
E´ difficile crederlo, ma ad oggi, 12 Settembre 2006, l´Italia è la nazione al mondo con la più alta penetrazione di telefoni cellulari: 69 milioni e 300 mila utenti, contro una popolazione inferiore ai 55 milioni di abitanti. In Cina, più di due miliardi di anime, i telefonini sono 376 milioni, in America 208 milioni, in Russia 126, in Inghilterra 65 e in Francia soltanto 47 milioni. In Italia ce l´hanno proprio tutti, ne hanno uno, due, tre, ne hanno i lattanti e i centenari, i manager e gli immigrati, le badanti moldave e i teen agers. Se sul tricolore, così caro a Ciampi e Napolitano, si sovrapponesse sul campo rosso un Nokia o un Motorola di ultima generazione si coglierebbe appieno lo spirito nazionale. Che è uno spirito cellulare quasi «selvaggio», come dimostrò una ricerca sociologica condotta in tutta Europa qualche tempo fa. Per gli italiani, dicevano gli stupefatti sociologi, il telefonino è il mezzo di telecomunicazione preferito, meglio non solo del computer, ma persino della Tivù. Gli italiani, per dire, sono quelli che lo tengono acceso di più, spesso giorno e notte. Solo il 39 per cento degli utenti dichiara - probabilmente mentendo - di spegnerlo al ristorante, contro il 63 per cento dei tedeschi; il 35 per cento lo spegnerebbe - condizionale d´obbligo - in un negozio, in autobus o in treno, contro la metà degli intervistati in tutti gli altri paesi d´Europa. Parla «a lungo» l´83 per cento dei «telefoninatori» italiani, rispetto a un ben più modesto 51 per cento di tedeschi. Il telefonino è da noi l´amore «selvaggio», l´»aiutante magico» del nomadismo mediterraneo, prediletto dalle donne che, a quanto dichiara il 64 per cento del campione, sono felici «sempre» (rispetto al 50 per cento degli uomini) di ricevere telefonate.
L´epopea dell´italico telefonino è un altro di quegli inspiegabili miracoli italiani. Come raccontò Guido Carli, Donato Menichella, uno dei suoi predecessori nella carica di governatore della Banca d´Italia, in contrasto con Reis Romoli, aveva una specie di idiosincrasia per il telefono, proprio non lo capiva - come anni dopo Ugo La Malfa non avrebbe capito il potenziale della Tivù a colori - gli sembrava un´inutile avventura consumistica. Perché poi a chi serviva veramente il telefono? Al medico condotto, al farmacista, all´ostetrica. Per il resto, se ne era fatto a meno per tanti secoli.... Quarant´anni dopo è stato il capitalismo pubblico dei tempi di Menichella a creare il «campione europeo» della telefonia mobile.
L´epopea, nei ricordi di Vito Gamberale, comincia un giorno del 1991, quando Ernesto Pascale, boss della Stet, finanziaria dell´Iri, lo convoca e gli affida la delega per la telefonia mobile della Sip, come si chiamava allora la società telefonica pubblica. Si ironizza allora sulla simbologia fallica della «penetrazione» del mobile in Italia, la meno «vivace» d´Europa, con solo 150 mila utenti, contro i due milioni e mezzo della Gran Bretagna e il milione della Germania.
Il manager molisano, ben noto per il carattere un po´ asprigno, si mette al lavoro e punta sul «Tacs», sistema veicolato su quei telefonini-telefononi che allora sembravano mattoni. Due anni dopo, l´8 ottobre del 1993, in un albergo romano, il presidente dell´Iri Romano Prodi partecipa, con Biagio Agnes, Ernesto Pascale e gli stupefatti agenti italiani di Motorola e Nokia, alla cerimonia per la celebrazione del milionesimo contratto di telefonia mobile. Il milionesimo utente è un medico di Cortina, invitato a Roma a festeggiare con tutta la famiglia.
Cos´era successo per spiegare una simile impennata cellulare? La Sip aveva in Italia un centinaio di «agenzie» sparse per le varie province, che facevano contratti nel solito modo burocratico. Gamberale che fa? Lancia un´operazione di marketing con la liberalizzazione commerciale, crea una rete di tremila negozi, di dealers motivati, che vendono telefonini a contratti con margini di utile del 50 per cento, su un oggetto che allora costava fra i 3 e i 5 milioni di lire. Nel 1994 si avvia il Gsm e Carlo Azeglio Ciampi, presidente del Consiglio, dà la seconda licenza all´Omnitel fondata in seno all´Olivetti da Carlo De Benedetti e Elserino Piol, la prima vera alternativa privata al monopolista pubblico. Privati e svelti contro il pachiderma pubblico, lasciava intendere la martellante pubblicità del nuovo operatore. Decolla anche Omnitel, che raggiunge sei milioni di clienti già alla fine del 1997.
Nel frattempo, c´è lo «spin - off» di Tim, che viene scorporata da Telecom e quotata in Borsa. E che, soprattutto, inventa la carta telefonica prepagata, che elude la tassa governativa sui contratti dei cellulari, considerati ancora un bene di lusso. Risultato: 25 mila nuovi clienti al giorno.
La telefonia mobile italiana resta un business straordinario, ma la storia recente ha un sapore più amaro. Con la privatizzazione di Telecom, voluta da Ciampi per rispondere alla spinta dell´Europa e di Van Miert alla vigilia dell´euro, tutto il potere va alla Fiat, con soltanto lo 0,6 per cento di azioni. Il management torinese non è dei più adeguati. Gamberale lascia nell´estate del 1998, alla vigilia dell´Opa di Colaninno e al successivo ingresso di Pirelli e Marco Tronchetti Provera. L´affare Telecom, che un bel libro di Giuseppe Oddo e Giovanni Pons ha definito «il caso politico - finanziario più clamoroso della Seconda Repubblica», con le successive propaggini nell´estate dei «Furbetti del quartierino», scrive oggi l´ennesima puntata dal titolo: chi paga i debiti di quella ormai antica scalata. E per la serie: dall´algoritmo di Viterbi all´algoritmo della ritirata.






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