C.F. GROSSO: LO SCIOPERO TRAPPOLA DEI PENALISTI

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INES TABUSSO
00lunedì 3 luglio 2006 21:26
LA STAMPA
3 luglio 2006
RISCHI PER MASTELLA
Lo sciopero trappola dei penalisti
di Carlo Federico Grosso


Gli avvocati iscritti alle camere penali, dopo avere già scioperato il 27 giugno, hanno proclamato per luglio una nuova agitazione di ben sette giorni. Si tratta di una iniziativa che, per la sua durata davvero inusitata, avrà un impatto rilevante sulla già disastrata giustizia del nostro Paese. Basti pensare che in uno dei più importanti processi che si stanno celebrando in Italia, il processo Parmalat per aggiotaggio al quale sono interessati migliaia di risparmiatori truffati, è già saltata a Milano l'udienza del 27 giugno, e per effetto del nuovo sciopero rischieranno di saltare altre due udienze. Ma in realtà i processi che saranno bloccati e che andranno ad appesantire i ruoli già carichi del dopo estate saranno centinaia.

L'Unione delle Camere penali settimane fa aveva minacciato scioperi ad oltranza se non fossero state accolte dal governo le sue richieste e sta ora eseguendo tale minaccia. Un po' a sorpresa, perché si pensava che dopo il primo avvertimento i penalisti avrebbero atteso quantomeno l'autunno prima di assumere nuove, invasive, iniziative. Hanno invece deciso di rompere gli indugi, intendendo evidentemente premere in modo forte sulla politica nel momento, molto delicato, in cui dovrebbe essere votato in Senato il disegno di legge che sospende fino a marzo l'efficacia dei decreti di attuazione della riforma dell'ordinamento giudiziario votata dalla Cdl alla fine della quattordicesima legislatura.

E' bene cercare di capire, a questo punto, le ragioni del conflitto diventato acuto a causa dell'ultima pesante decisione di sciopero. Le Camere penali, alle quali sono iscritti numerosi avvocati penalisti anche se non tutti, hanno da anni fra i loro principali obbiettivi la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. Tale separazione sarebbe, a loro parere, indispensabile perché soltanto distinguendo il ruolo del pubblico ministero da quello del giudice sarebbe possibile troncare quel rapporto di «colleganza» che impedirebbe la parità fra accusa e difesa nel processo collocando i pubblici ministeri in una posizione di privilegio. Poiché la separazione tra giudici e pubblici ministeri è stata sostanzialmente prevista dal decreto sulla riforma dell'ordinamento giudiziario che dovrebbe entrare in vigore a fine luglio, sospendere tale decreto, affermano gli avvocati, rischierebbe di vanificare una riforma che sarebbe a quel punto difficilmente recuperabile perché fortemente osteggiata dalla Anm.

Al di là della questione di merito (separazione delle carriere sì, separazione delle carriere no come vogliono, a mio avviso giustamente, i magistrati), a questo punto preoccupa l'impatto politico della prova di forza. La posta in gioco è molto rilevante, perché alcuni profili della riforma elaborata dalla Cdl sono esiziali per il funzionamento della attività giudiziaria e per la stessa indipendenza dei singoli magistrati: alludo alla introduzione dei concorsi per l'avanzamento di carriera, alle nuove regole in materia di disciplina, alla gerarchizzazione degli uffici del pubblico ministero. Di qui la assoluta necessità di sospendere i due decreti malauguratamente lasciati entrare in vigore a fine giugno e quello che dovrebbe entrare in vigore a fine luglio sulla separazione delle carriere, per potere, a bocce ferme, pensare ad una correzione dei testi approvati nella passata legislatura e varare la pur necessaria riforma dell'ordinamento giudiziario depurata dalle sue attuali storture.

Il ministro della Giustizia, finito nel tritacarne delle spinte contrapposte delle corporazioni, ha cercato di destreggiarsi. Dopo alcune iniziative che hanno ad un tempo determinato iniziali eccessive aspettative nei magistrati e vibrate proteste degli avvocati, ha rivendicato con orgoglio l'autonomia della politica, unica deputata a decidere. Posizione in sé apprezzabile, che presupporrebbe tuttavia, per essere credibile, che egli disponesse di una totale consonanza di vedute all'interno della sua coalizione e di una maggioranza solida in entrambi i rami del Parlamento. Condizioni che, ho l'impressione, mancano entrambe, poiché nella stessa maggioranza che lo sostiene sono affiorate alcune dissonanze proprio sul tema della separazione delle carriere e tutti sanno che in Senato ogni voto può diventare una avventura.

In questo contesto molto scivoloso la mossa spregiudicata dell'Unione delle Camere penali di dichiarare uno sciopero pesante in concomitanza del voto in Senato potrebbe fare scoppiare le contraddizioni interne alla coalizione di governo. Se nulla dovesse nel frattempo mutare, al ministro non resterebbe, allora, che chiedere il voto di fiducia sul disegno di legge di sospensione e sperare che sia sufficiente per superare ogni insidia.

Forse in questo primo round andrà tutto bene, o quasi. Che cosa accadrà tuttavia dopo, quando si dovrà mettere concretamente mano, in tempi rapidi, alle indispensabili correzioni organiche del contenuto della riforma dell'ordinamento giudiziario?



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