CASO MILLS/BERLUSCONI: L'AVVOCATO AMERICANO E LA ROGATORIA "SEGRETA"

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
INES TABUSSO
00venerdì 3 marzo 2006 23:06
CORRIERE DELLA SERA
3 marzo 2006
Milano, lettera dei pm al ministero: Bassiouni, legale del premier, conosceva i contenuti
L’avvocato americano e la rogatoria «segreta»

MILANO -Come faceva l’avvocato americano di Silvio Berlusconi a lamentare al Dipartimento di Giustizia statunitense che la rogatoria inoltrata dalla Procura di Milano fosse «eccessivamente ampia», se il suo contenuto sarebbe in teoria dovuto essere segreto? E’ la domanda che - si apprende ora a scorrere gli atti depositati nell’inchiesta su Berlusconi per corruzione del teste David Mills - la Procura di Milano si è fatta in una preoccupata lettera l’11 aprile 2005 al ministero della Giustizia italiano. Quel giorno, nel trasmettere in via Arenula una rogatoria per il Liechtenstein, i pm chiedono «vengano comunicati i nomi delle persone che ne prenderanno visione». Eccesso di paranoia? Sindrome da assedio? «Tale richiesta - motivano i pm - non viene formulata in virtù di una astratta preoccupazione generale, ma con riferimento ad una specifica fattispecie riscontrata in atti, che di seguito si richiama». Ed è il caso Bassiouni. Candidato nel 1999 al Premio Nobel per la Pace, presidente della Commissione d’inchiesta dell’Onu sui crimini di guerra nella ex Jugoslavia, tra i 9 saggi che (con il professor Conso per l’Italia) gettarono le basi del Tribunale internazionale per i crimini di guerra e contro i diritti dell' uomo, quindi rappresentante Onu per i diritti umani in Afghanistan, il 67enne Cherif Bassiouni il 12 novembre 2003 aveva scritto alle autorità americane che i pm milanesi stavano tentando di «aggirare la legge italiana sull’immunità del capo del governo» (l’allora vigente legge Cirami, che però neppure all’epoca aveva l’effetto di paralizzare le rogatorie). Interpellato sulla ragione, Bassiouni aveva risposto il 26 aprile 2005 al Corriere : «Sapevo che c’era questa domanda di rogatoria, per la quale però non conoscevo alcuna specifica. Se non erro, adesso non mi ricordo di preciso, penso che ci fu allora da parte degli avvocati difensori una memoria al ministero della Giustizia italiano. Non ho gli atti, ma ho letto sui giornali che il motivo dell’opposizione era che questa richiesta fosse molto ampia, tipo "datemi vita morte e miracoli" su questa persona».
Ma ora, dagli atti, si apprende che, 15 giorni prima, la Procura aveva ritenuto di dover segnalare l’accaduto al ministero della Giustizia: Bassiouni, riassumono i pm, ha «indirizzato una articolata lettera a Molly Warlow, direttore dell’Ufficio affari internazionali del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, nella cui premessa affermava di essere stato nominato dall’onorevole Silvio Berlusconi quale suo avvocato negli Stati Uniti, e di lavorare con l’avvocato Niccolò Ghedini, "che rappresenta Mr. Berlusconi in Italia". Bassiouni, con espresso riferimento alla domanda rogatoriale avanzata da questa Procura all’Autorità statunitense, la definisce eccessivamente ampia ( "overly-broad" )». Come fa? «Appare ragionevole - scrivono i pm - ritenere che di tale rogatoria l’avvocato Bassiouni sia venuto a conoscenza in modo irrituale, posto che era tutelata dal segreto istruttorio e pertanto preclusa alla conoscenza delle parti».
Luigi Ferrarella
Giuseppe Guastella


*****************************************************************


26 aprile 2005

Il paladino Onu dei diritti umani ora difende Berlusconi dal pool
Bassiouni ingaggiato dal premier come avvocato negli Stati Uniti: «Quelle rogatorie sono un caso politico più che un’azione giudiziaria»


MILANO - Si rivolge al difensore Onu dei diritti umani, uno dei più importanti avvocati penalisti americani, il presidente del Consiglio italiano contro le rogatorie della Procura di Milano negli Usa. Per chi, come Silvio Berlusconi, ripete di sentirsi «un perseguitato», l’avvocato Cherif Bassiouni è giusto quel che ci vuole: candidato nel 1999 addirittura al Premio Nobel per la Pace, dal ’92 al ’94 presidente della Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sui crimini di guerra nella ex Jugoslavia, poi tra i 9 saggi che hanno elaborato (con il professor Giovanni Conso per l’Italia) le basi del Tribunale internazionale per i crimini di guerra e contro i diritti dell'uomo, oggi rappresentante Onu per i diritti umani in Afghanistan. Cherif Bassiouni, 67 anni, americano di origine egiziana, moglie italiana, è stato infatti ingaggiato dal premier italiano come suo difensore negli Stati Uniti nella procedura rogatoriale avviata dalla Procura di Milano nell’inchiesta Mediaset, in cui Berlusconi è incriminato per centinaia di miliardi di lire di appropriazione indebita, frode fiscale e falso in bilancio, mentre i suoi figli Marina e Piersilvio lo sono per riciclaggio, e Fedele Confalonieri (presidente Mediaset) lo è per falso in bilancio. Professore di diritto penale all'università De Paul di Chicago, esperto di estradizioni e rogatorie, padrone di 6 lingue, Bassiouni ha una lunga consuetudine con l’Europa, dove ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti (Legion d’Onore in Francia, Grand’Ufficiale in Italia, una laurea «honoris causa» all’Università di Torino) e dove ha fondato e presiede da 32 anni a Siracusa l’Istituto internazionale di alti studi sulle scienze criminali.
La comparsa di Bassiouni, accanto alla già folta schiera di difensori in vari Paesi e a vario titolo del premier, si ricava da una lettera, depositata dai difensori degli indagati, spedita il 12 novembre 2003 da Bassiouni a Molly Warlow, direttrice dell’ufficio Affari internazionali del dipartimento della giustizia americano. Nella lettera Bassiouni, premettendo di lavorare in tandem con l’avvocato italiano del Cavaliere, Niccolò Ghedini, lamenta il contenuto, a suo dire «troppo ampio», della rogatoria dei magistrati milanesi, la cui azione sarebbe «politicamente motivata».
Professor Bassiouni, come è diventato negli Usa avvocato di Berlusconi?
«Non l’ho mai incontrato. Uno dei suoi difensori in Italia, l’avvocato Ghedini, mi ha chiesto di interessarmi di questa questione negli Usa, perché presentava una situazione abbastanza insolita, forse anche anomala: il fatto è che nessuno dei due ordinamenti tiene conto che l’equivalenza dei diritti tra accusa e difesa, ad esempio nel poter fare indagini o essere informati di prove a discarico, esiste solo nel contesto nazionale e non anche in quello internazionale».
Che intende dire?
«Che quando, ad esempio, i magistrati di un Paese fanno una rogatoria verso gli Usa, gli Usa prendono le prove e le danno al Paese che le chiede, ma in questo caso la persona indagata non ha negli Usa più diritto alla "discovery". E spesso, nel corso di queste rogatorie, anche negli Stati Uniti si sono manifestate azioni da parte dei pm, sia stranieri sia americani, che un po’ escono dai bilanci delle regole».
Lei cosa temeva per Berlusconi?
«Al Dipartimento della Giustizia ho fatto notare che nei rapporti tra gli Usa e alcuni Paesi c’è il diritto di essere presenti e partecipare. Oppure almeno fateci sapere qualcosa, magari dateci un elenco dei documenti che avete dato all’Italia o delle persone a cui l’Italia ha parlato, di modo che ci possa essere una verifica dei risultati delle indagini».
Perché additava l’azione della Procura come «motivata politicamente?».
«Ero in Italia in quel periodo e ho vissuto quel clima, c’era su tutti i giornali una polemica: il ministro firma o non firma la rogatoria, la manda o non la manda? La polemica politica che esisteva intorno a questa rogatoria indicava un elemento politico in Italia, visto che c’era questo tira e molla tra la Procura e il ministro, e la cosa era andata in Parlamento, e aveva preso una veste più politica che di azione giudiziaria naturale».
Lei è ritenuto un progressista. Nessuna difficoltà a difendere Berlusconi?
«No. È una questione di principio, di uguaglianza tra accusa e difesa. Anzi, se fossi stato io in Europa, avrei sollevato la cosa davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo».
Luigi Ferrarella Giuseppe Guastella



*****************************************************************



IL DOCUMENTO
Lettera al Dipartimento Usa: i pm aggirano l’immunità
E’ datata 12 novembre 2003 Bassiouni scrive: si «viola la buona fede» nella collaborazione giudiziaria Italia-America


È un «caso» la lettera di Bassiouni al Dipartimento di giustizia americano del 12 novembre 2003. Il legale adopera i medesimi argomenti sostenuti invano 5 mesi prima in Italia dalla maggioranza parlamentare di Berlusconi allorché il Guardasigilli Roberto Castelli aveva bloccato la rogatoria in Usa, a suo avviso anch’essa «congelata» dalla legge Cirami [LODO SCHIFANI] sull’immunità alle cinque più alte cariche istituzionali. Una polemica finita quando il vicepresidente del Consiglio, Gianfranco Fini, il 29 luglio, aveva annunciato che le rogatorie milanesi avrebbero ripreso il loro cammino perché nessuna legge avrebbe potuto paralizzare le indagini sul premier. Nonostante ciò, ancora in novembre Bassiouni prospetta agli americani che i pm milanesi stiano tentando di «aggirare la legge italiana sull’immunità del capo del governo», così «violando il requisito della buona fede» nella collaborazione giudiziaria Italia-Usa. Il perché lo spiega ora da Chicago lo stesso legale: «Sapevo che c’era questa domanda di rogatoria, per la quale però non conoscevo alcuna specifica. Se non erro, adesso non mi ricordo di preciso, penso che ci fu allora da parte degli avvocati difensori una memoria al ministero della Giustizia italiano». Una memoria? E’ una novità. «Non ho gli atti, ma l’ho letto sui giornali che il motivo dell’opposizione era che questa richiesta fosse molto ampia, tipo "datemi vita morte e miracoli di questo individuo", il che va contro lo spirito delle indagini per il quale le rogatorie devono andare allo specifico». In realtà l’iniziale stop di Castelli alla rogatoria era già superato nel luglio 2003. «Sì, ma io sono subentrato dopo» sostiene l’avvocato. All’epoca la legge Cirami [LODO SCHIFANI] sospendeva i processi alle personalità con cariche istituzionali, come il premier, non le indagini. Eppure Bassiouni avverte le autorità Usa: guardate che la Procura non può procedere contro Berlusconi, è «unable to proceed». «La parola proceed in inglese è, diciamo, una parola abbastanza elastica: uno la potrebbe applicare sia all’inizio del processo che all’inizio dell’indagine». Ma la lettera cosa voleva sostenere? «All’epoca non ero certo su come la legge sarebbe interpretata. Sono rimasto sul vago». La missiva non risulta aver indotto il ministero di Castelli a rispondere istituzionalmente in difesa della rogatoria italiana: e solo i funzionari Usa l’hanno girata alla Procura.
L. Fer. G. Gua.


*****************************************************************



27/04/2005
LIBERO QUOTIDIANO
www.senato.it/notizie/RassUffStampa/050427/7azrd.tif
GAMBACORTA LUIGI intervista GHEDINI NICCOLO'






Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 19:58.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com