CHIESA E STATO: DUE INTERPRETAZIONI

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INES TABUSSO
00venerdì 23 settembre 2005 11:20
ALLE BREVI CITAZIONI, CHE FANNO DA INTRODUZIONE, SEGUONO TRE ARTICOLI SULL'ARGOMENTO,
TUTTI PUBBLICATI IN QUESTI ULTIMI GIORNI: IL PRIMO DI BARBARA SPINELLI, IL
SECONDO DEL RIFORMISTA, IL TERZO DI FEDERICO ORLANDO:



"la Chiesa non esprime un ordine materiale o politico, ma solo un ordine
religioso"
"non è nella missione della Chiesa prendere iniziative dirette nel campo
della economia e della politica, nel senso di trasformarsi essa in un'attività
terrena sia pure a scopo etico-religioso"
(Luigi Sturzo, Lettere non spedite, il Mulino 1996).


"Gli interventi di parte del clero sono un segno di debolezza, e la forza
per la Chiesa consiste nel liberarsi dai privilegi che vengono dallo Stato,
nel ritrovare l'energia spirituale che scaturisce dalla separazione dalla
politica temporale.
...
calcoli che queste gerarchie ecclesiastiche mostrano di saper fare con previdenza,
astuzia, aguzzo senso delle convenienze, non diversamente dai partiti che
rivaleggiano per il comando della pòlis.
Questa parte del clero che si riduce a partito, che calcola il guadagno elettorale
di una proposta invece di studiare la proposta stessa e la realtà umana che
l?ha fatta scaturire, assomiglia poco a un clero forte, sicuro del proprio
credo. Il suo argomentare non è diverso da quello che appare sui notiziari
Internet, e come essi dipende da sondaggi d'opinione, da giochi di potere
che si fanno e si disfano in poche ore".
(Barbara Spinelli, 18 settembre 2005)


"In questi dieci anni, invece, la Chiesa si è intimamente adattata al nuovo
sistema politico bipolare. Se prima le interessava rappresentare l?intera
società italiana, fino al punto del compromesso, oggi è ben felice di rappresentare
la parte, fino al punto dell?intransigenza. Non pretende più di imporre le
sue scelte alla società, ma di difendere la sua idea di società orientando
quei politici che possono fare la differenza in parlamento. La Chiesa è diventata
maggioritaria. Le capiterà di essere minoranza? Poco male. Una minoranza,
anche del due, tre per cento in un collegio conteso, è decisiva e molto appetita.
Il potere di condizionamento della politica è dunque esercitato nella più
adamantina delle maniere, apertamente, senza infingimenti. Non nei modi,
per così dire curiali, di un tempo. La Chiesa combatte nell?agone del dibattito
pubblico, con idee che più sono nette più sono destinate ad aver successo
nell?era del bipolarismo".
(IL RIFORMISTA, 21 settembre 2005)




LA STAMPA
Analisi
di Barbara Spinelli
MALESSERE SOCIALE E GERARCHIE ECCLESIASTICHE
Un clero contro se stesso
18 settembre 2005

L?accusa che una parte delle gerarchie ecclesiastiche ha lanciato nei giorni
scorsi a Romano Prodi, a proposito delle unioni di fatto, ha un tono che
forse non stupirà lo storico della Chiesa ma che qui e ora, nel tempo e nella
realtà che viviamo, può turbare il cittadino, credente o non credente. La
forza di Gesù e della sua Chiesa è proprio quella di suscitare turbamento,
di mettere in allarme, ma non è questa la via stretta imboccata da chi nel
clero s'indigna. Il turbamento suscitato dagli attacchi a Prodi non fa chiarezza
per mezzo dello scandalo, non induce a pensare più profondamente quel che
sta accadendo nelle relazioni tra esseri umani, ma crea piuttosto obnubilazione,
ottenebrazione delle menti. È ottenebrato quel che parte del clero pensa
delle coppie di fatto, eterosessuali o omosessuali (come scrive Sturzo, è
sempre meglio parlare di clero conservatore che di Chiesa). È oscura la risposta
che esso dà al malessere di una società che vive una crisi vastissima della
famiglia e che sente il bisogno di regolare non solo nuove forme di unioni,
ma nuove forme di amicizia-convivenza.
Osservatore Romano e Conferenza episcopale non entrano in merito a tutto
questo, aggirano il pensare difficile, e tutta la propria energia sembrano
concentrarla su calcoli di politica immediata e sulla personalizzazione dell'assalto
a Prodi. Di che cosa è colpevole infatti la guida del centrosinistra? Di
«cercar voti sfasciando la famiglia», «rastrellandoli su tutto il territorio».
Su questo Prodi va giudicato, e magari condannato; sulla base di calcoli
che queste gerarchie ecclesiastiche mostrano di saper fare con previdenza,
astuzia, aguzzo senso delle convenienze, non diversamente dai partiti che
rivaleggiano per il comando della pòlis.

Questa parte del clero che si riduce a partito, che calcola il guadagno elettorale
di una proposta invece di studiare la proposta stessa e la realtà umana che
l?ha fatta scaturire, assomiglia poco a un clero forte, sicuro del proprio
credo. Il suo argomentare non è diverso da quello che appare sui notiziari
Internet, e come essi dipende da sondaggi d'opinione, da giochi di potere
che si fanno e si disfano in poche ore. Nei giorni scorsi sul sito della
Stampa si poteva rispondere a un instant poll sul Pacs appena proposto da
Prodi - gli porterà voti? non glieli porterà? - senza che il lettore potesse
giudicare l?idea in sé. Questo è lo spirito dei tempi, lo Zeitgeist di una
politica che s?esaurisce in brevi tornaconti partitici. Che regni in un giornale
è già un peccato. Spiace se dovesse influenzare anche la Chiesa: se invece
di pensare il presente dell'uomo quest?ultima ragionasse su vantaggi elettorali,
se invece di riaccendersi si spegnesse, sulla scia di altre luci che si spengono.
Cosa importa infatti sapere cosa guadagnerà Prodi? La sola cosa che conti
è sapere se la proposta sia buona, se allevii sofferenze senza scardinare
le famiglie, se regoli drammi che non riguardano solo le coppie e che altrimenti
si surriscalderebbero fino a imporre soluzioni estreme. Se la proposta è
buona va meditata come tale, a prescindere dal successo negli instant poll
o alle urne.

L?immersione nello Zeitgeist ha già spinto parte della curia a intervenire
più volte, ultimamente, su questioni che riguardano la politica e anche l'economia
e la finanza. È intervenuta in Germania nel '98-'99, imponendo ai vescovi
tedeschi di ritirarsi dai consultori sull?aborto (in questo caso fu determinante
il cardinale Ratzinger). È intervenuta in Spagna, opponendosi al matrimonio
fra omosessuali (ma né Aznar né i vescovi spagnoli erano contrari alla legalizzazione
delle unioni di fatto). È intervenuta in Italia, prima nel referendum sulla
procreazione assistita, poi sulle unioni di fatto. E sempre ha agito senza
fronteggiare i venti forti delle questioni etiche spinose ma piuttosto aggirandole,
ignorandole.

L?aborto è una questione spinosa, essendo un'uccisione del non nato che l'umanità,
in assenza di legge, pratica con violenze ancor più brutali. La tutela della
famiglia è una questione spinosa, in società demograficamente agonizzanti
che vedono l'istituto familiare non solo minacciato ma già oggi eroso, alle
prese con la fine della famiglia allargata e con la solitudine generalizzata
di individui in cerca di nuove regole di convivenza amorosa o amicistica.
È qui che la Chiesa fatica a reagire, permettendo che alcuni suoi esponenti
antepongano il calcolo e la scaltrezza alla missione di lungo periodo, la
forza dell'autorità precettistica alla carità, la politica alla fede. È come
se San Paolo non avesse detto quel che ha detto, sulla circoncisione: come
se avesse detto che la circoncisione è quella della carne, non quella del
cuore e dello spirito; come se non avesse annunciato che «Qui non c'è più
Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo
o libero, ma Cristo è tutto in tutti».

Intervenendo nella politica e contestandone l'autonomia, il clero conservatore
viene contaminato dal modo di calcolare che è oggi della politica, e ineluttabilmente
anche dal suo brancolare nel buio, dal suo esser distante dalle realtà vissute.
Non si batte apertamente contro la revisione della legge sulla procreazione
assistita, ma conta astutamente sul premio che si potrà ricavare dai cittadini
indifferenti per ottenere l'annullamento d'un referendum per mancanza del
quorum. Non si preoccupa di studiare i documenti della Caritas in Germania,
che indicano come i 270 consultori abbiano indotto un impressionante numero
di donne a rinunciare all'aborto, ma si tira fuori e si de-responsabilizza.
E anche sul Pacs, non vede che la crisi della famiglia è già qui, tra noi,
indipendentemente da Pacs o matrimoni gay. Che l'assenza di diritti-doveri
nelle unioni di fatto o nelle convivenze è all'origine di ingiustizie tali
che l'amore tra esseri umani ne è offeso (un esempio a mio parere significativo:
il malato in agonia negli ospedali può esser assistito - dunque amato - solo
da parenti di sangue. Qui si tratta del diritto a poter esercitare un dovere:
è questo il «capriccio gay» di cui parla il presidente del Senato?).

La politica finisce così col divenire più forte dell'amore, dell'amicizia,
della carità, minacciando le fondamenta della Chiesa. Don Carrón, successore
di Don Giussani alla guida di Comunione e Liberazione, è stato chiaro sui
rischi corsi dalla Chiesa spagnola nello scontro con lo Stato: «È evidente
che qualcosa non ha funzionato nella trasmissione della fede (...). Non è
bastata né poteva bastare la riduzione della fede a etica, a un discorso
corretto e pulito, una sottolineatura a volte eccessivamente moralistica
del cristianesimo. Non è che uno debba essere senza macchia, anche Pietro
e Paolo erano uomini con i loro limiti» (Corriere della Sera, 24 agosto).
Lo stesso Ratzinger, prima d'esser Papa, ha detto ai funerali di Don Giussani:
«Il cristianesimo non è un sistema intellettuale, un pacchetto di dogmi,
un moralismo, ma è un incontro, una storia di amore, un avvenimento».
Probabilmente quest?interferenza dei vertici vaticani nella vita dello Stato
avviene perché, in Italia, non esiste più un partito cattolico forte, in
grado d'ascoltare la Chiesa ma anche di resisterle. Quando i cattolici son
divisi, la voce del clero conservatore si fa più pressante ma non necessariamente
più autorevole, scrive con finezza Guido Compagna su Il Sole-24 Ore. De Gasperi
e Sturzo resistettero alle pressioni vaticane. Don Sturzo cercò di salvaguardare
due passioni a volte contrastanti: la fedeltà alla Chiesa e l'amore della
verità. Difese l'aconfessionalità del partito cattolico, ribadì che «la Chiesa
non esprime un ordine materiale o politico, ma solo un ordine religioso»,
scrisse che «non è nella missione della Chiesa prendere iniziative dirette
nel campo della economia e della politica, nel senso di trasformarsi essa
in un'attività terrena sia pure a scopo etico-religioso» (Luigi Sturzo, Lettere
non spedite, il Mulino 1996).

Vista in quest'ottica, e considerata la frequenza con cui si ripete, l'offensiva
contro Prodi diventa meno sorprendente. Prodi è un cattolico che crede e
vuole esser percepito come adulto: il che vuol dire - in lingua politica
- laico alla maniera di De Gasperi. Come Rosmini, avversa la religione di
Stato e vorrebbe che gli spiriti veramente religiosi «liberassero» la Chiesa
dalla «servitù dei beni ecclesiastici» e del potere temporale. Agendo in
tal modo infastidisce il clero conservatore, anche perché la propria fede
non la mette al servizio d'un partito cattolico che occupi l'intero centro
della politica, ma di un'unione tra forze del centro sinistra in un quadro
bipolare. Proprio in quanto cattolico viene insomma disapprovato, perché
il cattolico dissidente non è solo voce contraria, ma anche eretica. E perché
i politici cattolici oggi sono eretici se adattano lo spirito di De Gasperi
e Rosmini alle esigenze del bipolarismo e di alternanze chiare.

Per la Chiesa è un bene che personalità così esistano ancora. Gli interventi
di parte del clero sono un segno di debolezza, e la forza per la Chiesa consiste
nel liberarsi dai privilegi che vengono dallo Stato, nel ritrovare l'energia
spirituale che scaturisce dalla separazione dalla politica temporale. Altrimenti,
a forza di chiedere uno Stato etico e di temere il metodo laico di governare
una società fatta di diversi, sarà lo Stato a intervenire sulla Chiesa. È
il disastro che la Chiesa visse nel 1790, con la costituzione civile del
clero: quando la rivoluzione francese tentò di affrancare i cattolici dal
papato, e obbligò i sacerdoti a giurare fedeltà a uno Stato sacralizzato
da cui ormai dipendevano interamente.




IL RIFORMISTA
EDITORIALE
mercoledì 21 settembre 2005
PACS.
Trattare non è immorale
neanche con la Chiesa

Premettiamo: a nostro parere è giusto e anche doveroso definire delle tutele
legali per i conviventi in unioni stabili e consolidate che non sono sancite
dal contratto matrimoniale. E, una volta stabilite queste tutele, esse devono
per forza applicarsi anche ai conviventi di unioni stabili e consolidate
che non siano eterosessuali, perché una discriminazione sancita per legge
sarebbe impossibile. Crediamo anche che l?unione di fatto non sia così spesso
come si crede una scelta, uno stile di vita, un rifiuto consapevole dell?istituto
matrimoniale. Spesso essa è una conseguenza della difficoltà e delle lungaggini
dei divorzi. Chiunque conosce una coppia nata dalla dissoluzione di precedenti
matrimoni ma ingabbiata per anni nelle more, e dunque costretta ad essere
«di fatto». Avesse il nostro parlamento consentito separazioni più brevi,
forse oggi avremmo meno coppie di fatto in Italia.
Aggiungiamo: il tema di cui tanto si discute riguarda i diritti civili e
dunque è di grande importanza. Ma, a nostro modo di vedere, non della stessa
importanza di una buona legge per la fecondazione assistita, perché lì era
in gioco un diritto alla salute (della madre, del nascituro, dei malati)
anche più primario. Allo stesso tempo, e specularmente, sospettiamo che anche
per i cattolici il tema delle unioni chiami in causa meno irrinunciabili
principi di quanto non sia accaduto per la fecondazione assistita: lì era
in gioco la nozione stessa della vita, qui quella del matrimonio. Pensiamo
dunque, anzi speriamo, che sulle unioni di fatto non si debba ripetere una
guerra di religione, e che un compromesso sia possibile e realizzabile, in
parlamento e nella società.
Detto tutto questo, una domanda più squisitamente politica ci frulla nel
cervello da un bel po? di tempo: ma perché Prodi ha messo al centro dell?agenda
politica del centrosinistra con tanta prontezza il tema dei Pacs? Intendiamo:
su altre materie, più direttamente riguardanti l?attività di governo, il
candidato premier dell?Unione si è tenuto più sulle generali, dalla tassazione
delle rendite finanziarie alle modifiche della legge Biagi, all?ipotesi di
riforma del sistema elettorale. Sui Pacs invece c?è stata come un?ansia di
definire subito la posizione del centrosinistra, anche prima di avviare una
discussione all?interno della coalizione. Non saremo proprio noi, che spesso
rimproveriamo a Prodi di essere generico sulla sua proposta di governo, a
lamentarci di questa sollecitudine. Anzi, diciamo di più: la posizione che
ha espresso sui Pacs ci pare equilibrata, e molto deformata dagli avversari
per ragioni propagandistiche, come con la consueta schiettezza ieri anche
Vittorio Feltri, non certo un prodiano, ha ammesso. Ma ciò non toglie il
nostro dubbio sul calcolo e sul timing politico.
Non crediamo alla tesi che Prodi si sia lasciato attirare in una trappola.
Quelle cose le aveva già dette, e i vescovi non avevano reagito così duramente;
averle ripetute in una lettera a Grillini - dicono i fautori della tesi della
gaffe - ha dato invece l?occasione di un attacco politico senza precedenti
della Cei e dell?"Osservatore" al candidato cattolico del centrosinistra.
Può darsi che sia andata così. Ma secondo noi è più probabile che invece
Prodi si sia mosso con la piena consapevolezza della delicatezza del tema.
E, in questo caso, la scelta merita qualche riflessione più squisitamente
politica.
A noi sembra che il centrosinistra non abbia ancora pienamente capito con
che Chiesa avrà a che fare una volta al governo. La situazione non è quella
di dieci anni fa, quando Prodi era «il» candidato cattolico, essendo l?altro,
Berlusconi, tutto tranne che un candidato dei valori. Prodi fu attivamente
sostenuto dal laicato cattolico, da molte parrocchie, dal vasto mondo del
non-profit e del volontariato. Si viveva ancora in un meccanismo di delega,
dalla Chiesa ai politici, della trasposizione dei valori cattolici in politica
e in legislazione. Diciamo che c?era ancora il primato della politica. Prodi
è sembrato muoversi in questo stesso schema quando ha dichiarato di considerarsi
un cattolico adulto: come a dire che i vescovi pensano alle anime, alle coscienze
e al catechismo, e i politici ai cittadini con diritto di voto. In questi
dieci anni, invece, la Chiesa si è intimamente adattata al nuovo sistema
politico bipolare. Se prima le interessava rappresentare l?intera società
italiana, fino al punto del compromesso, oggi è ben felice di rappresentare
la parte, fino al punto dell?intransigenza. Non pretende più di imporre le
sue scelte alla società, ma di difendere la sua idea di società orientando
quei politici che possono fare la differenza in parlamento. La Chiesa è diventata
maggioritaria. Le capiterà di essere minoranza? Poco male. Una minoranza,
anche del due, tre per cento in un collegio conteso, è decisiva e molto appetita.
Il potere di condizionamento della politica è dunque esercitato nella più
adamantina delle maniere, apertamente, senza infingimenti. Non nei modi,
per così dire curiali, di un tempo. La Chiesa combatte nell?agone del dibattito
pubblico, con idee che più sono nette più sono destinate ad aver successo
nell?era del bipolarismo.
Dunque nessun politico potrà più godere della delega, e questo è un bene
perché nella società moderna la politica non è totus, non detiene alcun monopolio.
E ogni politico dovrà decidere se sfidare questo potere o trattare con esso,
esattamente come fa quando si trova davanti un sindacato o una confindustria.
Nel nostro piccolo, noi pensiamo che sarebbe un errore, per il centrosinistra,
partire col marchio della coalizione che sfida la Chiesa. Per ragioni tattiche,
certo, ma anche per ragioni di merito, perché la Chiesa italiana è tante
cose, è anche difesa dell?unità nazionale, solidarietà verso gli immigrati
e i poveri, irenismo in politica internazionale, tutti valori non estranei
al centrosinistra. La Chiesa non può certo godere di un potere di veto sulla
politica; ma se c?è un?istituzione, e una comunità, che merita di esercitare
una moral suasion sul potere politico quella è la Chiesa cattolica in Italia.
Non sempre si potrà essere d?accordo, ma il dialogo non si deve interrompere.
Il centrosinistra non è in condizione di regalare un vantaggio propagandistico
di questa portata al centrodestra. Ecco perché pensiamo che faccia bene Prodi,
ora che la bomba è stata fatta esplodere, a mostrare rispetto e a interloquire
con le posizioni della Cei. E crediamo che faccia bene chiunque nel centrosinistra,
a partire da Rutelli, sta tentando di capire se ci può essere una combinazione
- che secondo noi ci può essere - tra la necessità di tutela delle coppie
di fatto e il riconoscimento che un?unione di fatto, per definizione, non
è un matrimonio. La legge, del resto, è sempre il frutto del livello di maturità
e di consenso che una società esprime su un certo tema. Non c?è un?ideologia
laica cui attenersi in queste materie per conservare la purezza del centrosinistra.
E comunque il governo non è ideologia, ma prassi.




EUROPA
del 22/9/2005
IL QUIRINALE FUNZIONA. E GLI ALTRI?
FEDERICO ORLANDO
a pag.1

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