CLAUDIO MAGRIS: GLI IPOCRITI DELLA GUERRA

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INES TABUSSO
00lunedì 12 dicembre 2005 16:15
CORRIERE DELLA SERA
12 dicembre 2005
Gli Ipocriti della Guerra
IL VIDEO DI NASSIRIYA
di CLAUDIO MAGRIS

Le notizie sul filmato - trasmesso da Rai News 24 e bloccato da Mediaset - sui soldati italiani impegnati nelle battaglie dei ponti a Nassiriya nel 2004 e le reazioni e discussioni provocate da quelle scene di guerra in Iraq fanno venire in mente una storiella ebraica che risale a quasi un secolo fa.
Un ebreo galiziano, chiamato alle armi nell’esercito austriaco durante la Prima guerra mondiale, si sottomette - a malincuore, da uomo pacifico quale è, ma docilmente - alla disciplina militare, alle esercitazioni, alle marce, alla vita di trincea, finché una notte, ricevuto l’ordine di attaccare le postazioni russe, esce allo scoperto e avanza strisciando verso le loro linee, col fucile e la baionetta in pugno, ma, quando i russi cominciano a sparare, si alza indignato, gridando: «Ehi, siete pazzi? Attenzione, qui c’è gente!» e cade fulminato.
Non sono certo i morti, italiani o iracheni, a evocare questo amaro umorismo, bensì le lacrime di coccodrillo, lo sdegno benpensante e il falso scandalizzato stupore di chi si è meravigliato di quelle immagini o ha giudicato prudente non mostrarle. Quella storiella ebraica, del resto, è tutt’altro che comica; coerentemente alla cultura da cui nasce, è una umanissima denuncia della crudele, impensabile e inaccettabile assurdità della guerra e delle morti che essa provoca. Ma la guerra è, appunto, violenza, morte, barbarie, tragedia irrimediabile di vite stroncate per sempre, brutalità e abbrutimento. Per tutte queste ragioni, si può decidere di non farla mai, a nessun costo (come vogliono i pacifisti ad oltranza) o comunque - cosa razionalmente più fattibile e immaginabile - pensarci bene prima di farla, cercare ogni mezzo possibile per evitarla. Ma se la si fa, non ci si può stupire e tanto meno scandalizzare che qualcuno spari, urli, bestemmi, uccida, muoia. Si può e si deve, anche in guerra, impedire ogni crimine inutile e supplementare (torture, rappresaglie indiscriminate, maltrattamenti di prigionieri) e punire duramente, quando ciò avvenga, gli autori di questi delitti. Ma non si può pretendere di fare la guerra e di essere allo stesso tempo colombe di pace; di inviare soldati in armi fingendo che siano suore equipaggiate soltanto con rosari e medicinali. Se si inviano soldati armati, lo si fa perché si suppone che possa verificarsi la necessità - almeno ritenuta tale - di usare quelle armi e le armi, quando vengono usate, uccidono ed espongono al rischio di morte chi le usa.
Si può sperare che esse non vengano mai adoperate, che la loro vista basti a fungere da deterrente per scoraggiare le violenze, ma anche il deterrente funziona soltanto se c’è la volontà, all’occorrenza, di usarle. Ci possono essere azioni belliche compiute non per desiderio di conquista, bensì per proteggere vittime inermi da altre violenze, per difendere o per difendersi; in questo caso si potrà ritenere, a torto o a ragione, che quelle azioni di guerra siano inevitabili, necessarie o giuste, ma bisogna sempre sapere che si tratta di guerra e non ci si può stupire né scandalizzare se nel corso di tali azioni non solo combattenti, bensì anche innocenti civili muoiano. La guerra contro il Terzo Reich era doverosa, ma ha comportato la morte non certo solo dei boia criminali di Auschwitz, ma pure di innocenti. È ipocrita stupirsi di sentire e vedere, nel video incriminato, soldati italiani che sparano, bestemmiano, si eccitano nel fuoco della battaglia, si compiacciono di mirare giusto; è così che accade in guerra, nella tensione dello scontro e col sentimento della possibilità di morire. È falso e retorico criticare tutto questo standosene comodamente a casa, senza provare e senza aver mai provato quel momento. È anche ipocrita parlare di «Missione di pace»: si può ritenere che l’intervento bellico in Iraq sia giusto e serva a impedire possibili future violenze peggiori, ma si tratta pur sempre di un intervento bellico; se si trattasse di intervenire solo con mezzi pacifici, si manderebbero le Orsoline e non i carabinieri e i bersaglieri. Allo stesso modo i militari italiani morti vanno onorati come soldati caduti in una guerra e non come scolaretti periti in un attentato. Non ci si può neppure indignare che il nemico spari loro addosso, perché si è intervenuti proprio per imporre un certo ordine con la forza e non ci si può meravigliare se questo nemico, denunciato sin dall’inizio come feroce, sanguinario e pericoloso per il mondo intero, non si comporta come un agnellino. Altrimenti si ragiona come le frange estremiste e violente dei no-global che attaccano con sbarre di ferro la polizia, ma poi protestano se la polizia usa il manganello.
Il filmato, a quanto risulta dalle notizie, non rivela alcun barbaro crimine di guerra da parte di nostri militari, che sarebbe da denunciare e da perseguire, bensì una scena di guerra, orrenda come ogni altra. Forse i timorati e calcolatori dirigenti di Mediaset ritengono che gli italiani non sappiano cosa sia una guerra, che la credano bella e cavalleresca o pensino che la missione in Iraq sia un meeting dell’amicizia? Queste pudibonde ipocrisie, ingiuste nei confronti di quei soldati in quella battaglia, si aggiungono alle tante falsificazioni che fin dall’inizio hanno deformato la realtà della guerra in Iraq. Si è voluto far credere che chi si opponeva a questa insensata guerra fosse un ingenuo pacifista a oltranza e ora, davanti alla realtà della guerra, si finge di scandalizzarsi come il pacifista più sprovveduto o come un’educanda. Si è voluto far credere che chi si opponeva a questa insensata guerra fosse un amico di Saddam o dei fondamentalisti islamici nemici suoi e nostri, mentre chi si è opposto a questa guerra - come ad esempio la Chiesa - lo ha fatto per «Realpolitik», più in nome di Machiavelli che di Gandhi, con la consapevolezza che l’Occidente stava imboccando una strada sbagliata, pericolosa e disastrosa per l’Occidente stesso ossia per noi che, qualsiasi siano le nostre idee politiche, siamo l’Occidente e per questo abbiamo il diritto e il dovere di preoccuparci degli errori di chi lo guida. Se qualcuno volesse che l’Italia invadesse la Mongolia per migliorare la sua democrazia, saremmo esterrefatti, ma non perché divenuti improvvisamente meno italiani e più filomongoli, ma perché preoccupati, anche egoisticamente, dell’insensatezza del disegno.
Proprio perché siamo - e non possiamo non essere - con gli Stati Uniti e con l’Occidente, ci preoccupa un loro-nostro passo catastroficamente falso. Ora più o meno tutti, sotto sotto, sembrano convinti che intervenire in Iraq sia stato un errore e infatti si progetta, da quasi tutte le parti, il ritiro, e non perché l’Iraq sia divenuto nel frattempo una democrazia scandinava. Questa guerra, che mai avrebbe dovuto incominciare, è bene finisca quanto prima; sino a quel momento dobbiamo chiamarla col suo vero nome di guerra, senza la viltà e l'ipocrisia di non voler vedere che i nostri soldati, che abbiamo mandato in questa guerra, fanno. La guerra.

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