12 La benevolenza di Ciro non trova però riscontro nei suoi successori e neppure trova solidarietà nelle popolazioni della Palestina (cfr. Esd 3-6). L'opera del sacerdote Esdra e del governatore Neemia consiste nel ridare coraggio alla comunità dei rimpatriati, esortando-li alla fiducia in Dio e alla fiducia nella loro opera di ricostruzione, che sarebbe riuscita nonostante l'opposizione incontrata. Tutto ciò è reso visivamente nel libro di Neemia con la seguente frase: «[I rimpatriati] con una mano si occupavano dei lavori e con l'altra impugnavano l'arma» (Ne 4,11). È una frase che non va tuttavia letta nella sola materialità del suo contenuto, ma alla luce del simbolismo che le attribuisce la storia della salvezza. In questa storia è centrale la città di Gerusalemme intesa non solo come città «geografica», ma soprattutto come «luogo» della salvezza. Gerusalemme è la città del tempio, è la città di Dio, è il luogo nel 8quale Dio offre la salvezza al suo popolo. È la città che «Dio ha disegnato sulle palme delle sue mani» e le cui mura «sono sempre davanti a lui» (cfr. Is 49,16). Questa città non può perciò rimanere distrutta, pena l'impoverimento di tutta la spiritualità biblica (espressa nei Salmi 120-134 e in Is 56-66) e della stessa spiritualità cristiana. Anche nel Nuovo Testamento, Gerusalemme non è solamente la città «geografica» che conosciamo, ma «luogo» della Pasqua e della salvezza definitiva offerta da Gesù (cfr. soprattutto il vangelo di Luca e l'Apocalisse). La sua ricostruzione, come è descritta nei libri di Esdra e Neemia, dà nuovo impulso a questa spiritualità. Infatti, alla luce di questa spiritualità, la ricostruzione di Gerusalemme, delle sue mura, del suo tempio e delle sue case è immagine della ricostruzione dell'uomo, che ha distrutto «l'immagine e la somiglianza di Dio» con il peccato. Guida a questa interpretazione è tutta la sezione del libro di Isaia racchiusa nei capitoli 56-66. Questa sezione è conosciuta come Terzo Isaia, perché va collocata nel periodo della ricostruzione (mentre il Primo Isaia, capitoli 1-39, è da collocare nel periodo che precede l'esilio e il Secondo Isaia, capitoli 40-55, nel periodo dell'esilio). I capitoli 56-66 sono uno splendido canto di ringraziamento a Dio perché ha fatto ritornare il suo popolo dall'esilio. Al centro di questi capitoli è la città di Gerusalemme, cantata nella sua duplice dimensione di città ricostruita e di immagine del popolo biblico ricostruito dal peccato. La distruzione di Gerusalemme e la deportazione dei suoi abitanti sono interpretate nella Bibbia come conseguenza del «silenzio» di Dio, piuttosto che conseguenza del prevalere del-la potenza babilonese. Questo «silenzio» non è dovuto a una scelta di Dio, che ama sempre il suo popolo e l'uomo da lui creato, ma alla decisione del popolo biblico di rivolgersi ad altri dèi e ad altri alleati per avere protezione e difesa. Non più riconosciuto e invocato come «alleato», il Dio biblico «ritira la sua mano e tiene in seno la destra» (cfr. Sal 74,11) e lascia che il popolo si inoltri in una strada senza più ritorno, la strada dell'esilio. Israele ha così sperimentato la situazione più tragica che la Bibbia conosca, quella del «silenzio di Dio» («Se tu con me ti fai muto, io... vengo annoverato fra quelli che scendono nella fossa», che è la fossa dell'esilio, cfr. Sal 28,1). Con il ritorno dall'esilio e con la ricostruzione di Gerusalemme, questa situazione è capovolta: Dio «parla» di nuovo al suo popolo, alla sua città riedificata («Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non staro tranquillo», Is 62,1). La parola di Dio nella Bibbia è sempre creatrice e costruttrice. Il silenzio invece è desolazione, deserto, vuoto, abisso (Gn 1,2). Nella sua realtà di città ricostruita, Gerusalemme è come di nuovo creata, è come tornata a essere l'interlocutrice di Dio, come lo erano il primo uomo e la prima donna, quando «il Signore passeggiava (con loro] nel giardino alla brezza del giorno» (Gn 3,8). Ad essa Dio parla come nei «sei giorni» in cui, con la sua parola, ha dato inizio alla prima creazione («Dio disse... e subito avvenne», Gn 1, 1-2,4a). Gerusalemme ricostruita è perciò il simbolo dell'uomo al quale Dio ha restituito lo splendore delle origini, quello della sua immagine e somiglianza. La Bibbia ama esprimere questo splendore attraverso le immagini del linguaggio sponsale. Nella simbologia di questo linguaggio Gerusalemme è la sposa che Dio circonda con l at «corona» e il «diadema di regina», con cui in Oriente gli sposi esprimono lo stupore del loro incontro e la gioia di appartenersi («Sarai una splendida corona nella mano del Signore, una tiara regale nella palma del tuo Dio», Is 62,3). A G erui salemme viene dato il nome che, dal profondo della sua tenerezza, ogni sposo sa dare alla sua sposa («Sarai chiamata "amore mio '», cfr. Is 62,4). Ad essa, infine, viene rivolto Ùj# quanto di più intimo e affettuoso la bocca di Dio sa comunicare all'uomo, là dove prima con il silenzio aveva regnato la devastazione: «Non ti si dirà più Abbandonata!, poiché sarai chiamata Il mio piacere è in essa e la tua terra Sposata» (Is 62,4). Aveva ragione il credente israelita che così pregava in esilio: «Se mi dimenticassi dite, Gerusalemme, s'mandisca la mia destra» (Sal 137,5). Infatti, come si può «dimenticare» o «abitare lontano» dal «luogo della salvezza», dal «luogo» nel quale le «mani» del Dio della creazione e la «destra» del Dio dell'esodo si intrecciano nella fedeltà sponsale con le mani e la destra del suo popolo? Uscito dalle mani di Dio creatore, l'uomo deve a lui ritornare. |