FALCONE E BORSELLINO: RICORDARE SENZA RETORICA E FAR CAMMINARE LE LORO IDEE

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INES TABUSSO
00mercoledì 23 maggio 2007 15:01
24ore
Palermo, 09:30
FALCONE: LA SORELLA "ITALIA ASPETTA VERITA' SU MANDANTI"

"Ci sono tanti indizi che portano alla pista dei cosiddetti mandanti occulti. L'Italia aspetta sempre di sapere quali furono i gruppi di affari che ebbero una convergenza di interessi con Cosa nostra nelle stragi del '92". Maria Falcone torna a porre il nodo dei mandanti occulti che organizzarono la stagione stragista 15 anni fa. Cosi' nel giorno dell'anniversario dell'eccidio di Capaci ricorda come "anche il pm Ilda Boccassini nella richiesta di rinvio a giudizio dei boss di Cosa nostra sostenne che c'erano punti di indagine che portavano a questa ipotesi". Maria Falcone, pero', da' anche una lettura di speranza di quello che sta accadendo nella societa' civile e cita il comitato Addiopizzo di Palermo che "sta portando avanti una lenta e difficile rivoluzione contro il racket e contro l'accettazione piu' o meno consapevole dei condizionamenti mafiosi".



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Corriere della Sera
23 maggio 2007
Amnesie pericolose
Vittorio Grevi

Sono passati soltanto 15 anni da quel 23 maggio 1992 quando, alle 17.58, Giovanni Falcone fu fatto saltare in aria con la moglie Francesca e tre agenti della scorta, mentre percorreva il raccordo tra Punta Raisi e Palermo, nei pressi di Capaci. Nemmeno due mesi dopo, anche il suo amico e collega Paolo Borsellino sarebbe stato assassinato dall'esplosivo mafioso insieme a 5 agenti della scorta nella palermitana via D'Amelio. Eppure, quando oggi si parla ai giovani di Giovanni Falcone, si ha spesso la sensazione di dare per scontata la conoscenza di qualcosa che invece è ignorato. E questo vale anche per molti tra i meno giovani, che hanno la memoria corta, o magari preferiscono non ricordare.
Invece bisogna ricordare. Non solo perché Falcone — al pari di Borsellino — è stato e rimane un magistrato simbolo sul fronte del contrasto dello Stato contro la criminalità mafiosa. Ma anche perché la sua esperienza e i suoi suggerimenti hanno segnato una svolta fondamentale nelle strategie della magistratura impegnata su tale versante. E per questo fu ucciso.
Bisogna ricordare, anzitutto, che si deve specialmente alla tenacia di Falcone (e con lui di altri magistrati palermitani, sotto la guida di Antonino Caponnetto) se fu possibile raccogliere le prove per celebrare, alla fine degli anni Ottanta, il primo grande processo contro i mafiosi al vertice di Cosa nostra, e contro gli esecutori di molti omicidi e di altri delitti decisi da tali mandanti: processo che si concluse con una lunga serie di condanne, che proprio a fine gennaio '92 erano divenute definitive. Inoltre, alla base del medesimo processo vi erano le deposizioni provenienti da diversi «pentiti» (a cominciare da Tommaso Buscetta) che proprio grazie all'opera di Falcone si erano convinti a collaborare con gli inquirenti, fornendo contributi decisivi per conoscere composizione e meccanismi della «cupola» della mafia siciliana, oltreché delle sue ramificazioni.
Bisogna ricordare, d'altro lato, che si deve soprattutto a Falcone la grande spinta che condusse al varo della legge volta a favorire il fenomeno dei «collaboratori di giustizia». E ciò sulla base della profonda convinzione che una struttura gerarchizzata e piramidale come Cosa nostra, dominata dal ferreo costume dell'omertà, potesse essere scardinata soltanto attraverso indagini patrimoniali, ovvero attraverso apporti probatori provenienti dai suoi affiliati, che a tali forme di collaborazione dovevano essere incoraggiati anche attraverso meccanismi di tipo «premiale». Come pure bisogna ricordare che allo stesso Falcone si deve anche l'idea che solo una magistratura adeguatamente organizzata potesse riuscire a contrastare, sul piano giudiziario, il fenomeno della «criminalità organizzata» di stampo mafioso. Proprio di qui, anzi, era nata, alla fine del 1991, la particolare struttura di coordinamento imperniata sulla Procura nazionale antimafia (struttura riprodotta anche in sede europea, attraverso Eurojust), a capo della quale sarebbe dovuto essere nominato lo stesso Falcone.
Di tutto questo bisogna ricordarsi, nel momento in cui si rende omaggio alla memoria di Falcone. Ma se non si vuole cadere nella retorica celebrativa, occorre nel contempo adoperarsi affinché le sue idee continuino a essere coltivate — 15 anni dopo — soprattutto nella prospettiva di una organizzazione giudiziaria e di una disciplina processuale che siano davvero idonee, in termini di legittimità e di efficienza, a fronteggiare la criminalità mafiosa. E, oggi, non sono pochi gli interrogativi che si affacciano, al riguardo. Per esempio di fronte a certe rilassatezze nel regime carcerario dei condannati per delitti di mafia; di fronte al ritorno di proposte abrogatrici dell'ergastolo; di fronte ai troppi limiti frapposti alle collaborazioni con la giustizia; di fronte all'incapacità dello Stato di gestire i patrimoni confiscati ai mafiosi; e ancora di fronte all'inettitudine degli strumenti predisposti per incidere sui rapporti tra mafia e politica, anche sul piano elettorale. E' su questo terreno, dunque, è attraverso la soluzione di questi problemi che deve mantenersi vivo il messaggio di Falcone.





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