FURIO COLOMBO: MEDIA E POTERE

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INES TABUSSO
00lunedì 29 maggio 2006 00:30

L'UNITA'
28 maggio 2006
L’editoriale
Media e potere
Furio Colombo

C’è ancora in Italia chi ti spiega che la televisione non conta. È come dire a Newton che la mela cade dall’albero per capriccio e non per la legge di gravità.
Eppure un segnale dovrebbe pur venire da uno che se ne intende, l’ex premier Berlusconi, che per apparire dovunque in televisione ha violato (e disprezzato ad alta voce) leggi, consuetudini, pratiche consolidate delle democrazie dei Paesi avanzati, occupando per tutto il tempo, tutti gli spazi, ora dopo ora di illegale invasione delle reti, guadagnando voti fino a una quasi vittoria.
Il segnale dovrebbe venire dalla stampa internazionale che, senza alcuna eccezione, non separa mai l’immagine di Berlusconi, e la tremenda e umiliante campagna elettorale che abbiamo appena vissuto, dal fatto, clamoroso e unico, che in questo Paese qualcuno ha governato (e cercato fino all'ultimo di farsi rieleggere) disponendo di tutte le televisioni e usandole. Il segnale dovrebbe venire da una incontrovertibile evidenza: avendo molti avversari in tutti i settori della vita pubblica, Berlusconi ha scelto di colpire giornalisti, direttori di giornali e leader di opinione. Ha cominciato subito, con il fare fuori Indro Montanelli, prima ancora del famoso editto di Sofia contro Enzo Biagi, prima ancora di chiudere fuori Santoro e di stroncare ogni forma di satira. Dove? Fra i leader di opinione dei grandi giornali. E subito dopo in televisione.
Certo, per Berlusconi è venuto alla fine anche il momento di attaccare con furore gli industriali. Ma persino il caso Della Valle è stato celebrato in televisione. Un presunto avversario è stato accusato e dileggiato, senza alcuna possibilità di risposta, con tutto il clamore di una “diretta” televisiva, di fronte a milioni di spettatori. Esemplare, anche per future lezioni di giornalismo televisivo, il modo in cui Berlusconi ha scelto di usare la sua dichiarazione conclusiva dopo il secondo dibattito con Romano Prodi.
A causa di un curioso “errore” mai verificato, l’ultima parola è toccata a Berlusconi. In qualunque dibattito l’ultima parola serve a enfatizzare e confermare gli argomenti dibattuti.

Ciò fa parte delle regole e della decenza, ma anche della fermezza con cui una televisione indipendente impone l'osservanza delle regole. Alla fine del dibattuto di cui stiamo parlando Berlusconi ha barato sapendo di poter barare. Lo ha fatto in quanto controlla il mezzo che, in ogni altro Paese, gli si sarebbe rivoltato contro.
Invece, in questa Italia, in questa campagna elettorale, in questa televisione uno dei due contendenti, al momento di chiudere un dibattito (che vuol dire ripetere, confermare o chiarire il proprio pensiero) ha improvvisamente introdotto un argomento del tutto nuovo. Ha lanciato un annuncio non discusso e non più discutibile. Ha detto che il governo eliminerà una tassa che non è di governo ma comunale.
Lo ha annunciato mentre era ancora primo ministro, senza spiegare coperture o meccanismi di compensazione e mentre ancora non si conoscevano gli spaventosi dati di bilancio.
Ora in nessun dibattito è consentito di cambiare argomento e di dire, nell'ultima battuta, una cosa grave e diversa da tutto ciò che si è discusso. La trovata è brillante, se volete. Ma anche le grandi truffe, quando riescono, sono trovate brillanti. Il fatto è che il padrone della Tv ha potuto usare la Tv perché la violazione grave e totale delle regole è stata accettata come il colpo di genio di un genio delle comunicazioni. Si è trattato invece di un gravissimo abuso che avrebbe meritato lo stop, la cancellazione del tempo usato per quel pezzo di intervento non discusso e non più discutibile. Sarebbe stato necessario riaprire il confronto.
È stato efficace il colpo di mano Ici? L'opinione prevalente assegna un buon peso a quella trovata. Ma se si omette di notare che quella trovata costituisce un abuso grave, amichevolmente tollerato, in stato di vera e propria complicità, nella trasmissione Rai che avrebbe dovuto essere calibrata dalle regole fino ai dettagli, si perde il senso di tutta la campagna elettorale.
Il senso è questo. Un governo fallimentare e disastroso che ha portato l’Italia a zero è stato battuto con uno scarto di pochi voti non perché metà degli italiani siano tuttora travolti dall’amore per Berlusconi. Ma perché per metà degli italiani - o almeno per molti di essi - il vero stato delle cose è stato quasi del tutto oscurato, camuffato, contraddetto, da un uso latino-americano (ma parliamo di una vecchia America Latina golpista) della televisione. E questo uso golpista della televisione è stato reso possibile dal dominio privato e dal controllo pubblico di tutti i mezzi di comunicazione. Gli stessi che sono stati usati per ondate successive di dati falsi, notizie false e calunnie personali.
Nessun dettaglio è stato trascurato in alcuna edizione del Tg1 e del Tg2. Ciascuno di noi ricorda che durante tutte le settimane della campagna elettorale il candidato Prodi è sempre apparso brevemente e in strada (sempre, senza eccezioni, come se vivesse camminando con carte sottobraccio e una frase neppure finita da mandare in onda con sonoro imperfetto. Intanto Berlusconi aveva a disposizione larghe folle, lunghe frasi e i cieli azzurri degli interni preparati con cura dalle regie personali che il premier è sempre stato in grado di imporre a tutti i suoi media, privati e di Stato.
* * *
Ora proprio coloro che negano che la televisione abbia avuto un peso (posizione bizzarra che si riscontra esclusivamente in Italia e quasi solo nelle aree giornalistiche in cui si è cavallerescamente pronti a offrire tutte le carte possibili e tutta la comprensione possibile a favore del primo ministro più vendicativo della storia d'Europa) ti chiedono con la dovuta severità che cosa pensi della Rai e del come va riformata. E ti intimano che, se è vero quello che stiamo dicendo (in compagnia della stampa del mondo) allora l'unica soluzione è vendere tutto ai privati.
Poiché in questo Paese i mitici “privati” che dovrebbero garantire una nuova e libera televisione sono tutti residenti nella stessa area d'affari del gruppo privato Mediaset (e Diego Della Valle ha sperimentato quale trattamento ti spetta, in pubblico e senza replica, se ti scosti dall’abitudine di stare vicino a Mediaset) è dubbio che si possa ottenere una nuova stagione di rinascita liberale della Rai attraverso la svendita all’ingrosso di impianti e persone.
E poi, se mai, il problema è che troppe persone di una grande e rispettabile azienda pubblica sono già state parte di una vasta e accurata campagna acquisti da parte del servizio privato che fa capo all’ex presidente del Consiglio. È vero che Berlusconi non è più a Palazzo Chigi, e sta dimostrando in modo esemplare, come in un dramma di Brecht, quanto sia vera e palpabile quella estraneità alla democrazia che tanti, da questo giornale ai girotondi, da Sabina Guzzanti a Nanni Moretti, avevano denunciato preannunciando il pericolo anti-democratico con cui stiamo ancora vivendo.
Ma se - come dobbiamo risolutamente credere - ha vinto la democrazia (e infatti c’è un nuovo capo del Governo, c’è un nuovo Capo dello Stato) si pone il problema di riportare subito fuori dall'area infetta i mezzi di comunicazione di massa in Italia.
Questo impegno viene prima di riforme e cambiamenti, al modo in cui la cura di una malattia grave che minaccia la vita di una persona viene prima dei consigli sul come dovrà in seguito, se sarà salvo, cambiare il suo stile di vita.
L’Italia è al momento sotto la minaccia di televisioni ostili che hanno consentito a un candidato fallimentare di accumulare voti (sia pure perdenti) che non avrebbe mai avuto se la pura e semplice immagine giornalistica di ciò che ha fatto e distrutto in questi anni fosse apparsa, come è in realtà, come la raccontano la stampa e le televisioni del mondo: ridicola e tragica. Si veda, infatti, il voto degli italiani all’estero che, di fronte a un’altra stampa e a un’altra televisione, si sono ben guardati dal votare per Berlusconi. Si tenga conto di un prodotto, se volete marginale, ma molto importante della televisione ostile. Per tutti questi anni ha rovesciato la scena e ha fatto apparire strani, fuori posto, esagerati gli oppositori, li ha messi in condizione di essere irrisi.
E - se oggetto di persecuzione - quella persecuzione non appariva così assurda perché essi erano visti come la contraddizione ostinata e stupida alla verità.
Viene introdotto l’orrendo concetto di “verità” che ha sempre segnato le dittature. Quante volte Berlusconi l’ha invocata contro Prodi, intendendo per “verità” ciò che aveva fatto vedere lui in televisione?
Quando Berlusconi ha rotto clamorosamente le regole concordate per il “faccia a faccia” televisivo con Prodi e, in luogo di un “appello finale” ha lanciato un argomento estraneo al dibattito e senza possibile risposta dell’avversario, ha violato il principio stesso del contraddittorio. La domanda è: avrebbe potuto farlo qualcuno che non fosse proprietario, o controllore di tutti i mezzi di comunicazione di massa e agente attivo di pesanti intimidazioni sull’intero mondo giornalistico italiano?
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Evidente dunque la necessità di agire subito, prima di presentare piani di eventuale riforma della televisione pubblica. Il problema è nella situazione di monopolio che blocca la democrazia italiana (la definizione è di Romano Prodi). In apparenza si tratta di duopolio, Rai e Mediaset che controllano tutto il mercato. In realtà le due grandi strutture formano un cartello nelle mani di una sola persona che, a lungo, si è riservato di utilizzare indifferentemente l’una o l’altra struttura sia nelle notizie che nella scelta dei programmi.
Questo cartello è stato cementato sia dal forte interesse politico di dominio sia dal controllo di quasi tutta la pubblicità in tutti i settori che si servono del mercato pubblicitario.
Dunque sono necessari interventi immediati, diretti però a restituire democrazia, non ulteriori forme di controllo, sia pure con il buon proposito di far finire il dominio assoluto di Berlusconi, che altrimenti non sarebbe finito per il solo fatto di avere perso le elezioni.
Può essere utile riflettere sui punti che seguono.
Primo. Nessuna epurazione, neppure quelle più clamorose richieste dal pubblico esasperato, dovranno avvenire alla Rai. Con questa legislatura deve finire il ballo umiliante delle finte affinità politiche, delle sottomissioni dei nuovi credenti. Ciò vale tanto più per i conduttori di talk show radio e tv vistosamente compromessi col passato regime.
È giusto desiderare che, nella televisione di Stato di un Paese tornato libero persino il conduttore di «Zapping» , che ha passato cinque anni a svillaneggiare in diretta chiunque osasse mostrarsi anche cautamente ostile a Silvio Berlusconi e ai suoi associati, resti al suo posto e nella sua trasmissione.
L’unico augurio è che i giornalisti del passato regime evitino di diventare improvvisamente sensibili al cambio di governo. Restino dov'erano. I conduttori di talk show americani, conservatori o liberal (in quel Paese è di cattivo gusto ingannare i telespettatori con la pretesa di essere miracolosamente “sopra le parti”) continuano tranquillamente a condurre i loro popolari programmi, senza mutare un accento del loro credo politico, quando si passa da Reagan a Clinton, e quando si passa da Clinton a Bush.
Secondo. È inevitabile che tornino subito, e tornino senza nessun tipo di condizione, ma anzi con scuse - e, se del caso, risarcimento del danno subito - tutti coloro che sono stati cacciati per clamorose (e del resto dichiarate e vantate) ragioni politiche, durante e a causa del conflitto di interessi di Berlusconi, da Biagi a Santoro a Guzzanti e senza alcuna esclusione. Qualche ritorno è già in corso, ma noi ci crederemo quando li vedremo sullo schermo. Questi ritorni, dovuti e urgenti, ovviamente si accumuleranno con incredibili assunzioni, avvenute dopo.
Ma questo è un danno dovuto al regime mediatico, che - speriamo - si potrà ammortizzare un po’ per volta nel corso degli anni.
Terzo. Smettiamola di parlare di punizione, penalizzazione o vendetta nei confronti di Mediaset. Nessuna buona impresa televisiva del mondo ha mai beneficiato di essere allo stesso tempo proprietà privata e riserva di potere del capo del governo. E nessuna impresa televisiva del mondo è mai stata danneggiata dal non essere protagonista di un clamoroso conflitto di interessi come quello italiano.
Tutto ciò che è accaduto a Mediaset non ha nulla a che fare con i professionisti che vi lavorano. Ma sanno tutti, in Europa e fra gli specialisti di media nel mondo, che i proprietari di Mediaset hanno immensamente beneficiato della condizione di doppio domino, commerciale e politico. È questo beneficio indebito e pericoloso che dovrà cessare, non il buon lavoro, del resto radicato sul mercato, delle reti Mediaset.
Quanto al numero e alla dislocazione delle reti, per l’uno o per l’altro protagonista del duopolio ci sono state sentenze della Corte costituzionale che non sembrano di carattere vendicativo o eversivo, e corrispondono alle regole nel resto del mondo. E ci sarà una legge sul conflitto di interessi che sarà doveroso fare subito, con la migliore esperienza giuridica e mediatica, italiana e internazionale. Gli esperti di indiscussa qualità non mancano (basti citare un politologo come Giovanni Sartori che alla Columbia University è titolare di una cattedra prestigiosa come un premio Nobel).
E non mancheranno coloro che si vorranno unire al grande progetto di ritorno alla legalità, anche se eletti a destra. Chi ha detto che tutta la destra italiana debba fare il tifo per sempre per la illegalità personale e imprenditoriale di Silvio Berlusconi, una illegalità che la destra conservatrice del mondo rifiuta di riconoscere (si vedano l’«Economist», il «Financial Times», il «Wall Street Journal»)?
Si tratta di urgenti impegni preliminari. Poi si dovrà ricostruire un Paese che è stato giuridicamente, economicamente, moralmente vandalizzato e deliberatamente spaccato in due, in modo da poter continuare a reclamare il potere perduto.
Credo che, a questo punto, si possa osare una scommessa.
Date all’Italia un anno di pace e di normalità nel sistema delle informazioni, dei telegiornali, fate finire i commenti guidati, i falsi incontri stampa senza domande, i monologhi di autocelebrazione un po’ ridicola e un po’ esaltata dell’ex premier. Date questo intervallo di pace al Paese. E il Paese, pur restando legittimamente arricchito da una visione e da un progetto conservatore che si contrappongono al progetto di solidarismo e riforme, che adesso guida il governo, non sarà più spaccato. Si potrà tornare a definirlo semplicemente “democratico”.
In questi cinque anni e in questi ultimi giorni si è fatto di tutto perché cessasse di esserlo.
furiocolombo@unita.it


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