G.A. STELLA E IL CANDIDATO DAI DUE PASSATI

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INES TABUSSO
00venerdì 2 dicembre 2005 21:52
CORRIERE DELLA SERA
2 dicembre 2005
LATTERI
I due passati del candidato
di GIAN ANTONIO STELLA

Scrive che insegnò «traumatologia della strada» e che diresse il pronto soccorso del «Cannizzaro» e che è medaglia d’oro della Croce Rossa e un mucchio di altri dettagli compreso che è autore di 303 pubblicazioni scientifiche. Due sole cose Ferdinando Latteri si è scordato di mettere nella biografia sul sito dell’Unione con cui si offre agli elettori delle primarie: che fu deputato dc e che prima della conversione era vicino a Forza Italia.
Non l’avesse mai fatto! L’hanno sommerso di messaggi ostili. «Per non votarla, basterebbe già che Ella ha omesso d’indicare le Sue pregresse "esperienze"», scrive uno. «Se in Sicilia dovessero sfidarsi Latteri e Cuffaro, voterò scheda nulla», rincara un altro. «E ti dovremmo votare per le tue pergamene appese al muro? Tornatene da Berlusconi che qui non è casa tua!», striglia un altro ancora.
Lui, il magnifico rettore dell’Università di Catania, sbarra gli occhi azzurri che ispirarono a un creativo manifesti che si proponevano di trasmettere un’immagine «di seriosità tedesca»: «Non c’è scritto che ero vicino a Forza Italia? Non so nulla. Hanno fatto tutto loro. Non ho niente da nascondere. Certo che ero democristiano. A sinistra, con Ciriaco De Mita. Nel ’94 mi candidai l’ultima volta coi popolari, contro il candidato del Polo. Mi pare fosse Enzo Trantino. Poi, crollata la Dc, me ne restai fuori dalla politica. Verso il 1997 sì, mi avvicinai a Berlusconi. Fui uno dei tanti che pensarono che potesse imprimere una svolta. Invece...». Butta giù il caffè, fa spallucce: «Non feci neanche la tessera. Né ho mai avuto incarichi. E me ne sono venuto via deluso, prego precisare, quando Forza Italia era in auge. Insomma, non fu certo una scelta opportunistica...».
«Questa poi! L’amico Latteri non ha buona memoria: se era sempre lì a chiedermi assessorati per i suoi amici! - ride Gianfranco Micciché, l’uomo cui il Cavaliere ha affidato il partito nell’isola -. Intendiamoci: non era l’unico. Anche se da ragazzo ero fuoco e fiamme son diventato io pure un po’ doroteo. E non mi scandalizzo. Lo fanno in tanti. Ma l’amico Latteri era uno di quelli che chiedeva sempre più di quanto dava». Quanto alla tessera, «non si può dire che diventò rettore "in quota" nostra ma certo i docenti amici lo votarono perché lo consideravano come me in tutto e per tutto di Forza Italia». E non chiedetegli del momento in cui il nostro se ne andò: «Altro che noi "in auge"! Era la primavera del 2004, avevamo perso qualche elezione, tra di noi c’erano turbolenze... Mi chiese di essere candidato a sindaco di Catania al posto di Scapagnini, gli dissi di no e lui passò all’Ulivo. Che gli offrì un posto alle Europee».
È un destino, per Latteri, essere visto a due facce, profilo destro o profilo sinistro. Dal versante della Margherita Francesco Rutelli dice che è l’uomo giusto per sfidare Totò Cuffaro (o chi per lui) perché «ha la base e l’esperienza» indispensabili «per guidare una situazione complessa come quella siciliana» e può «recuperare i consensi dove il centrosinistra non li ha conquistati in passato». Tesi confermata da Enzo Bianco e soprattutto Salvatore Cardinale: «Rappresenta un certo mondo, è una persona di grande prestigio». Dal versante opposto obiettano che sì, d'accordo, però... E gli rinfacciano di essere «troppo»: troppo dicì, troppo potente, troppo trasversale, troppo dentro al potere, troppo distante dalla sinistra, troppo amico di un po’ tutti quelli che contano in Sicilia. Fermo restando, si capisce, l’obiettivo di vincere: «Farei accordi col diavolo pur di battere Berlusconi», ha spiegato Orazio Licandro, segretario regionale dei cossuttiani, «E Latteri non è il diavolo».
E se da una parte lo lodano perché è stato così abile ed equilibrato da riuscire a restare ininterrottamente in sella come rettore dall’aprile 2000 pur avendo rovesciato le alleanze, dall’altra l’accusano d’essere così legato alla poltrona da non avere rispettato l’impegno a dimettersi preso quando si schierò a sinistra.
E se di qua sottolineano la «concretezza» dimostrata già prima in anni e anni di gestione della Croce Rossa e poi della facoltà di Medicina, di là lo descrivono come un barone che «quando parla propone invariabilmente un progetto per aggiornare il vecchio progetto che doveva dar vita a un progetto superato da nuove progettualità».
Figlio di un potentissimo patriarca della sanità palermitana, titolare di un cognome che nella Sicilia occidentale è sinonimo della grande ospedalità privata, Latteri dice di essere stato tirato su «con la disciplina che c’era nelle famiglie di una volta». Appassionato di macchine, ha corso in gioventù un sacco di gare automobilistiche («Soprattutto in salita»), comprese cinque edizioni della «Targa Florio», e ammicca di avere «imparato a fare le diagnosi ai motori» prima di apprendere le tecniche per le diagnosi sanitarie. Esaurita al volante la dose personale di spericolatezza, ha passato il resto della vita a praticare la massima prudenza.
Più o meno indifferente all’accusa di essere un voltagabbana («No, non mi offendo, ma so che la mia coscienza è pulita»), saldo nella convinzione di «non essere un uomo delle tessere ma di godere nell’isola di una buona stima» testimoniata dalle 152 mila preferenze prese alle Europee, nega di aver mai detto che la mafia non è la prima emergenza della Sicilia: «Ho detto che non è la sola emergenza. Il mio slogan è: legalità e sviluppo». Oratore stitico ed estraneo alla torrenziale passionalità di certi suoi colleghi focosissimi, è capace di svolgere un comizio in sei minuti durante i quali già riesce, sorridono gli avversari, ad abbioccare gli astanti. E tutto avrebbe voluto, in questa campagna per le primarie, meno che trovarsi a far la guerra (sia pure soave e gommosa) a una come Rita Borsellino che un pezzo della sinistra siciliana vede come una specie di angelo immacolato soffuso di forza e bontà. E così tutta la sua campagna elettorale è diventata, come certe corse d’auto di un tempo, una gara in salita in cui cerca di togliersi di dosso l’etichetta di candidato «della Margherita» e spiega che la signora Borsellino «è una donna meravigliosa però...» e «una persona stupenda tuttavia...» e «una straordinaria testimone anche se...». Provateci voi, a scazzottare dolcemente con un angelo...
Gian Antonio Stella
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