LA RISPOSTA DEL RIFORMISTA DI SINISTRA E DI FRONTIERA

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INES TABUSSO
00sabato 17 giugno 2006 19:37


IL RIFORMISTA
EDITORIALE
sabato 17 giugno 2006
REFERENDUM
Professor Sartori, i miei ringraziamenti
Però non continuiamo a farci del male
di Paolo Franchi


Giovanni Sartori non è solo lo studioso illustre che tutti sanno. E’ anche un grandissimo comunicatore. Devo prima di tutto ringraziarlo, quindi, per aver esortato ieri i lettori della Stampa, in un’intervista rilasciata alla bravissima Antonella Rampino, a non perdersi per nessun motivo il Riformista: sono qui solo da due giorni, ma che la pubblicità è l’anima del commercio lo so da un pezzo.
Grazie, dunque, professore. Ma proprio non posso fermarmi ai ringraziamenti. Perché secondo il mio amico Sartori il Riformista bisognerebbe leggerlo soprattutto per capire come mai «in Italia la sinistra non è una cosa seria». Peggio: perché saremmo una specie di testimonianza vivente del marcio che c’è nella Danimarca del centrosinistra. La prova provata di tanta nefandezza? Eccola. A furia di dar retta ad Augusto Barbera e a Stefano Ceccanti, brutta gente che «divide il fronte del no», il Riformista ha «addirittura invitato a votare sì» il 25 giugno.
Roba pesante. Roba, si sarebbe detto un tempo, da quinta colonna, da sabotatori, da collusi con il nemico, e neanche solo oggettivamente. In due parole: agenti del nemico da smascherare e da additare, (anche in questo caso: come si sarebbe detto un tempo) al disprezzo del popolo .Confesso di essere rimasto un po’ stupito di fronte a un simile argomentare dal sapore antico, vagamente staliniano, che dal professor Sartori non mi sarei sinceramente mai aspettato. Pazienza, sono cose che capitano. E comunque non è questo (o non è solo questo) il punto.
Il punto è che l’idea di lanciare appelli o più modestamente di avanzare suggerimenti di voto in favore del sì non è mai passata per l’anticamera del cervello né di Barbera né di Ceccanti né del Riformista. Lo spirito e le ragioni del nostro No pieno e rotondo, e le nostre proposte, abbiamo provato a dirle, oltre che sul giornale, in un libretto arancione che già dal titolo parla chiaro: «Un No per le riforme, non uno scontro di civiltà». Come usa, o dovrebbe usare, tra le persone dabbene, specie quando sono impegnate in un confronto che vorrebbero serio e civile e non in una guerra per la vita o per la morte, di qua la Democrazia in cammino, di là la Reazione in agguato, i curatori del libretto in questione hanno trovato un po’ di spazio per due posizioni eterodosse, il No di Marco Follini e il Sì di Carlo Fusaro. Tutto qui, e vorrei aggiungere che non vedo un solo motivo al mondo per non riconoscermi in una scelta assolutamente logica per chi pensa, come noi pensiamo, che vincere il referendum è decisivo, certo, ma per rimettere sul binario giusto il treno delle riforme, non per mandarlo definitivamente al deposito.
Sartori ha ovviamente tutto il diritto, ci mancherebbe, di non condividere le posizioni del Riformista, di criticarle, e anche di contestarle, nel merito e nel metodo. Ma prendere spunto dalla sezione «Spazi eterodossi» del libretto arancione per attribuire a Barbera, a Ceccanti e al Riformista posizioni che non hanno mai avuto, per rappresentare il loro No come un Ni o addirittura come un Sì mascherato non è né una critica puntuta né una contestazione severa. E’ semplicemente qualcosa che non si fa, o almeno che non si dovrebbe fare; e che in ogni caso davvero non aiuta a raggiungere l’obiettivo, la vittoria nel referendum, che fino a prova contraria ci ostiniamo a considerare comune. In sintesi estrema: grazie ancora, professore, ma non continuiamo a farci del male.





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IL RIFORMISTA
EDITORIALE
venerdì 16 giugno 2006
DIRETTORI
Di sinistra e di frontiera,
l’Arancione lo vedo così


Alla domanda canonica che ti viene rivolta in questi casi, che giornale vuoi fare, caro direttore, fosse per me risponderei soltanto: un bel giornale, se ci riesco. Argomentato e nello stesso tempo combattivo. Ricco di notizie ma anche di approfondimenti e di analisi. Impegnato, nel suo piccolo, a raccontare l’Italia e il mondo, cercando di sfuggire all’egemonia insopportabile del luogo comune. Capace di divertirsi e di divertire spaccando il cappello in quattro, e pure di arrabbiarsi (e di far arrabbiare) per le sue polemiche e magari anche per le sue campagne.
Ma capisco che al nuovo direttore del Riformista è giusto chiedere qualcosa di più. Perché questo è un quotidiano sui generis, non di nicchia (almeno nelle ambizioni mie e di chi da oggi lavora con me) e però di frontiera e di tendenza: chi è stato chiamato a dirigerlo deve quindi ai lettori in primo luogo delle delucidazioni, sulla linea politica che intende seguire. In materia non ho dubbi e non coltivo retropensieri. Sto saldamente (stiamo saldamente) da una parte, quella della sinistra e del centrosinistra, così come può starci gente che ha iniziato a considerarsi riformista quando a sinistra riformismo era ancora una parolaccia impronunciabile, e che adesso, magari, comincia a temere che riformismo stia diventando una parola, se non proprio malata, quanto meno pericolosamente inflazionata.
Proprio la nettezza di questa collocazione già oggi ci autorizza, ma domani in qualche modo ci costringerà, a confrontarci ogni giorno severamente, e impietosamente, con i guai e i problemi di casa nostra: si tratti della partenza stentata (usiamo pure questo eufemismo: il primo giorno è d’obbligo essere cortesi) del governo Prodi o di quell’oggetto tuttora assai misterioso che va sotto il nome di Partito democratico.
Non è e non sarà mai, il Riformista, l’organo ufficioso, o la velina, di questo o di quello. Ma se un impegno posso prendere già oggi, nella convinzione serena di riuscire a mantenerlo, è che non ambirà mai, almeno finché a dirigerlo ci sarò io, nemmeno al ruolo di grillo parlante o di mosca cocchiera. Dal nostro punto di vista sarà molto più importante indicare i problemi (quelli che una sinistra e un centrosinistra sempre più autoreferenziali fingono di ignorare, o forse letteralmente ignorano) piuttosto che le soluzioni. E ancora più importante sarà discutere, e (spero) far discutere tutto un mondo, dall’impresa all’università, dal sindacato ai movimenti che di politica ha voglia, ma da questa politica non si sente rappresentato.
Staremo, come riformisti, non come destra della sinistra, da una parte. Ma proprio per questo guarderemo con estrema attenzione a ciò che avviene dall’altra, eleggendo a nostri interlocutori privilegiati (sempre che lo vogliano, ovviamente) quei politici e quegli intellettuali che l’attuale centrodestra vogliono cambiarlo e, se mi si passa il termine, civilizzarlo, così come noi vorremmo cambiare e, perché no, civilizzare il centrosinistra: c’è un tratto importante di strada da fare insieme.
Infine. Ringrazio tutti quelli che hanno voluto manifestarmi la loro simpatia. Ma soprattutto ringrazio chi mi ha preceduto alla guida di questo giornale. Antonio Polito, che, prima ancora di dirigerlo, lo ha letteralmente inventato. E Stefano Cingolani, che lo ha diretto in questi mesi non facili. Nel bene e nel male il mio Riformista sarà, è ovvio, diverso dal loro. Ma sapere che saranno tra i nostri collaboratori più importanti accresce le mie speranze di farcela. (p.fr)

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