LAICI

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
INES TABUSSO
00giovedì 1 settembre 2005 00:23

LA STAMPA
28 agosto 2005
Relativismo? No, grazie. Noi laici siamo pluralisti
GIAN ENRICO RUSCONI

E? diventato un luogo comune parlare di imperante «relativismo dei valori»,
anzi di «dittatura del relativismo». Sommessamente contestiamo la perentorietà
di questa affermazione. Dietro all'accusa di relativismo, indirizzata contro
i laici, si cela infatti spesso il disconoscimento della pluralità dei valori
che sono presenti nella nostra società comunque secolarizzata. Relativismo
e pluralismo sono due concetti molto diversi. Naturalmente per argomentare
questa tesi - che è decisiva per definire l'etica pubblica - occorre pazienza,
tempo e attenzione per le dovute distinzioni e per trovare le parole giuste.
Ma è fatica sprecata di fronte alla potente vocalità di tanti prelati e laici
pentiti, che magari hanno tenuto banco alle assise di Cl a Rimini. Ma allora
che senso ha - da parte di eminenti uomini di Chiesa - invocare un dialogo
serio con i laici, se poi questi sono collocati nella palude del relativismo?
Il presupposto di ogni dialogo è il reciproco riconoscimento di rappresentare
valori, anche se non sono condivisi. Invece nella congiuntura attuale si
ha l'impressione che i valori «veri» siano innanzitutto quelli associati
alla religione. Gli altri, quelli laici, sono valori di seconda categoria.
Dietro a questo atteggiamento c'è un altro luogo comune che va denunciato.
È la convinzione che la discriminante tra laico e non laico sia in prima
istanza quella tra non credente e credente. Non è vero. Ci possono essere
laici credenti e laici non credenti, ma soprattutto diversamente credenti
rispetto alla dottrina della Chiesa. Anche se è impossibile quantificare
la tipologia dei «diversamente credenti», che in Italia non hanno voce, queste
differenze sono importanti quando la questione della laicità investe l'etica
pubblica. Il tono intimidatorio di chi nel dibattito pubblico pone l'alternativa
«Dio o non Dio» cela l'equivoco secondo cui i professionisti di verità religiose
(teologi e vescovi) si ritengono automaticamente competenti anche dell'«ordine
naturale umano» che da quelle coerentemente deriverebbe. A livello di discorso
pubblico gli esponenti della religione-di-chiesa assicurano di sostenere
posizioni di pura razionalità o moralità «naturale», «umana». In realtà la
forza della loro influenza nel nostro paese poggia su un cortocircuito tra
determinate raccomandazioni morali e postulati religiosi, che spesso non
sono esplicitati e comunque rimangono sottratti alla critica. Laicità, invece,
è saper pensare parlare con competenza di «umano» e «natura» senza impropri
supporti religiosi o teologici. Senza con ciò negare o rinunciare ad esprimersi
su questioni teologiche. Soprattutto quando queste collidono con le acquisizione
della ricerca scientifica. Questa non è una rivendicazione meramente culturale
o scientifica, perché la posta in gioco è l'etica pubblica, cioè la giustificazione
e la determinazione di norme di comportamento vincolanti per tutti, credenti,
non credenti e diversamente credenti, che dialogano tra loro. È in gioco
l'etica pubblica verso la quale la Chiesa (italiana) impropriamente rivendica
una sorta di protettorato o di supplenza. Una società può dirsi laica quando
dà spazio ad una pluralità di stili di vita o ethos, che possono essere dissonanti
rispetto a quelli che la Chiesa considera i soli morali o «naturali». Qui
ritorna il problema da cui siamo partiti: ciò che per gli uomini di Chiesa
è relativismo morale, per i laici è pluralismo etico, da regolare con procedure
consensuali. Per i laici la democrazia è lo spazio pubblico entro cui tutti
i cittadini, credenti, non credenti e diversamente credenti confrontano liberamente
i loro argomenti e vivono i loro stili morali di vita, che sono riconosciuti
tramite procedure consensuali di decisione, senza che prevalgano in modo
autoritativo alcune credenze o convincimenti su altri. Va precisato che questo
intendersi tramite procedure non è una formalità convenzionale, revocabile
a piacimento, «relativista». Ma è un agire che impegna ad un comportamento
coerente e corrispondente. Impegna alla lealtà verso le norme legalmente
definite, anche se soggettivamente non sono condivise. Laicità vuol dire
accettare come moralmente legittimi atteggiamenti o comportamenti che appaiono
soggettivamente sgradevoli. Laicità è ammettere una ragionevole disimmetria
tra l'etica pubblica e singole moralità private. Sono disposti gli uomini
di Chiesa (e i laici pentiti) ad accettare questo tipo di laicità ? Un esempio
facile da fare oggi riguarda l'accettazione e il riconoscimento giuridico
di modelli di vita omosessuali. Non che questo problema sia moralmente o
statisticamente rilevante più di tanti altri, ma ha acquistato un carattere
simbolico rilevante proprio a motivo dell'atteggiamento della Chiesa e degli
argomenti da essa usati. Siamo di nuovo riportati alle argomentazioni pubbliche
a sostegno dei diversi stili di vita e alle procedure democratiche per garantirli
giuridicamente. Di nuovo incontriamo un contrasto tra l'approccio laico e
quello della Chiesa: mentre i laici coltivano singolarmente opinioni molto
diverse sulle diverse questioni, la dottrina della Chiesa si presenta completa
e compatta, creando così l'immagine di grande coerenza. La Chiesa enuncia
un insieme di certezze che vanno da quella sull'origine della vita embrionale
ai giudizi sui rapporti omosessuali o sulla liceità delle coppie di fatto,
mantenendo un univoco riferimento a Dio, creatore e diretto legislatore morale.
Di contro, il valore fondante della laicità è l'autonomia di giudizio personale,
nel senso che le certezze e le norme di comportamento non hanno altro fondamento
che la ragionevolezza morale e la razionalità (scientifica, ma non solo)
da valutare questione per questione, tenendo conto ovviamente anche degli
spazi di libertà e di autonomia degli altri. E per molti laici tutto questo
non è in contraddizione con una certa loro idea o fede in Dio, certamente
non conforme ai dettami della religione-di-chiesa. Sono disposti gli uomini
di Chiesa a dialogare alla pari con questi laici senza sospettarli di distruttivo
relativismo?




la Repubblica
31 agosto 2005
Che cosa vuol dire essere laici oggi
Giuliano Amato

Sino a poco più di cento anni fa, nei tanti e sanguinosi conflitti intercorsi
fra cristiani e musulmani nel sud est dell´Europa erano i cristiani che usavano
crocifiggere le bambine musulmane, in qualche caso sventrandole. È oggi inconcepibile.
E credo che tutti vogliamo che inconcepibile rimanga.
Se così è, dubito che le due strade, sulle quali più sembra orientarsi il
dibattito in Italia in tema di rapporti interreligiosi, siano tali da evitare
che tali rapporti divengano conflittuali. Il che non significa che esse portino
necessariamente verso il ripetersi dei tremendi episodi che la nostra storia
ha sulla coscienza. Ma di sicuro portano a minare la basi stesse della fisiologia
democratica che tutti riteniamo il naturale contesto della nostra vita associata.
In società nelle quali sono destinate a convivere più comunità di religione
diversa, solo se tali comunità saranno in grado di rendere armonica la convivenza
delle loro religioni, sarà possibile quella più generale convivenza fatta
non solo di tolleranza, ma di rispetto, di comprensione e in qualche modo
di compenetrazione reciproca che è propria delle democrazie. Se invece i
rapporti interreligiosi saranno conflittuali, tutto ciò sarà semplicemente
impossibile. E accadrà qualcos´altro.
A quali strade mi riferisco e perché dubito di entrambe
Mi riferisco da un lato alla strada suggerita con forza dai nostri "teocons",
autorevolmente guidati dal presidente del Senato, che porta alla fede cristiana
come fattore dirimente, e "ad excludendum alios", della nostra identità occidentale
ed europea. Dall´altro alla strada in qualche modo opposta, che, richiamandosi
al tradizionale laicismo di radice francese, confina il fattore religioso
ai rapporti privati e fonda non solo la cittadinanza, ma quella che si chiama
la sfera pubblica su valori e principi soltanto civili.
La strada "teocon" è quella di cui è più facile cogliere la carica conflittuale,
che conflittuale finisce per essere con gli stessi valori a cui si richiama.
Una cosa è infatti dire che i valori cristiani possono concorrere con efficacia
a mantenere vivo e robusto il tessuto etico delle nostre società, una cosa
diversa è ergerli come fattori costitutivi di un´identità da affermare contro
quella di altre religioni, in particolare la religione islamica, trattate
e fatte percepire come pericolose per i fondamenti stessi della nostra civiltà
e quindi nemiche. Si fa torto così alla religione islamica, che viene confusa
con l´estremismo islamista che odia e uccide in suo nome. E si fa torto allo
stesso cristianesimo, che è religione fondata sull´amore e non sull´odio,
sul riconoscimento dell´altro quand´anche appartenga a una fede diversa ("in
ogni uomo c´è il segno di Dio") e su una vocazione per ciò stesso universalistica,
che è contraddetta da qualunque impossessamento, che pretenda di segnare
con essa i propri confini.
Ben diversa è, come dicevo, la seconda strada (quella del laicismo di radice
francese), che, una volta confinata la religione, e quindi la stessa pluralità
delle religioni, ai rapporti privati, accetta per ciò stesso la convivenza
di più religioni, attribuisce a tutti i suoi cittadini gli stessi diritti
a prescindere dalle loro appartenenze religiose e pretende infine da tutti
lo stesso riconoscimento nei principi e nei valori definiti come comuni nelle
sedi istituzionali a ciò legittimate. Sono ben consapevole che questi tratti
non identificano soltanto il laicismo e definiscono largamente la stessa
democrazia, per la quale non sono meno irrinunciabili. C´è tuttavia un ma,
e il ma riguarda la premessa, vale a dire la chiusura delle religioni ai
rapporti privati e quindi la loro estraniazione dalla sfera pubblica, nella
quale i cittadini entrano lasciando a casa le loro identità, le loro credenze,
i loro simboli religiosi. Una tale premessa ha avuto una sua forte legittimazione
storica, negli anni in cui la laicità dello Stato dovette affermarsi contro
il confessionalismo, contro la religione di Stato, contro il trattamento
preferenziale dei credenti di una religione rispetto ai non credenti e ai
credenti in altri culti (ora proibiti, ora ammessi ed ora tollerati).
Ma oggi, da una parte tutto questo è superato, dall´altra viviamo in società
nelle quali le identità religiose tendono ad entrare con forza nella sfera
pubblica, sia per la problematicità delle nuove questioni che in tale sfera
ci si trova ad affrontare (quelle che fanno capo alla bioetica ne sono un
esempio eloquente); sia per gli intrecci che sono venuti emergendo tra sfera
privata e sfera pubblica (il professare compiutamente la propria fede può
implicare adattamenti di organizzazioni pubbliche alle quali si è temporaneamente
affidati, si tratti della scuola o del reparto di ostetricia); sia perché
si ritiene un proprio diritto essere riconosciuti anche per la religione
che si professa (molte ragazze portano lo chador nei nostri paesi, non in
nome della tradizione islamica, ma perché lo vivono come simbolo orgoglioso
della propria identità religiosa). Viviamo insomma, come è stato scritto
più volte, in società post secolari e in esse la vecchia premessa del laicismo
non regge più. E tanto meno regge in società che stanno diventando multi-religiose
e nelle quali i possibili conflitti fra le religioni non si risolvono, continuando
a mantenerle nella sfera privata: da un parte ciò è sempre più difficile
per le ragioni appena dette, dall´altra fa galleggiare la democrazia delle
eguaglianze formali su faglie che possono avviarsi ad uno scontro, che l´assetto
di superficie non è preparato a fronteggiare.
Non si sfugge perciò ad una prima conclusione: le religioni sono ormai parte
della sfera pubblica e i principi fondanti della democrazia (il dialogo e
non l´intolleranza, i diritti per tutti e non i privilegi per alcuni, gli
eguali obblighi in cui si compendia la virtù civica) vanno salvaguardati
non mettendo le religioni sotto il tappeto, ma rendendo dialogica e non intollerante
la loro compresenza nella convivenza comune.
Ne derivano conseguenze importanti, che esigono non l´abbandono, ma l´aggiornamento
della nozione stessa di laicità e che fanno sorgere cruciali responsabilità
in capo a credenti e a non credenti e in capo alle stesse organizzazioni
religiose. La laicità, in quanto connotazione necessaria della democrazia,
diviene non più fuga dalle religioni, ma apertura critica al confronto con
esse e fra di esse, alla ricerca dei principi in cui tutte e tutti si possano
riconoscere. Si dirà che ciò mette in crisi o la laicità, incompatibile con
le verità assolute proprie delle religioni, o le stesse religioni, che a
tali verità non possono rinunciare. Ma non è così. E´ vero infatti che la
democrazia laica per definizione non tollera assoluti inconciliabili, ma
è non meno vero che essa stessa si fonda su taluni assoluti: la dignità della
persona, la libertà di coscienza, l´eguaglianza, il rispetto dei diritti
di tutti e quindi la pace, che è a sua volta legata alla capacità di capire
e non negare le buone ragioni degli altri.
Stato laico, allora, ben può essere quello che rispetta e fa rispettare questi
assoluti, che nega in nome loro privilegi all´una o all´altra religione,
ma non nega, invece, l´influenza che le religioni possono avere nella stessa
vita pubblica (come scrisse, già molti anni fa, Valerio Zanone nella voce
"laicismo" per il Dizionario di Politica diretto da Norberto Bobbio, Nicola
Matteucci e Gianfranco Pasquino). Mentre l´influenza delle religioni nella
vita pubblica ben può esprimersi e farsi valere nel radicare ed estendere
la forza nelle coscienze di questi stessi assoluti, che sono quelli su cui
hanno dimostrato di convergere, sia pure tra perduranti difficoltà e incomprensioni,
i dialoghi interreligiosi susseguitisi in questi anni.
Ma è chiaro che tutto ciò è possibile, se della ricerca dei principi comuni
o quanto meno della compatibilità fra i principi di ciascuno si sentono,
come dicevo, responsabili credenti e non credenti e le stesse organizzazioni
religiose. Anche tra i non credenti affiorano assoluti (dalla libertà senza
limiti della scienza a un diritto di disporre di sé che arriva ad includere
la vita), che vanno resi compatibili con le ragioni di chi non li condivide.
Mentre non tutte le religioni sono riuscite sino ad oggi ad accettare che
le loro verità di fede non possono essere imposte, ma devono entrare nelle
coscienze di chi le fa proprie e non coartare quelle degli altri.
In un tale ingresso delle religioni nella sfera pubblica dello Stato laico,
il ruolo del cristianesimo, lungi dall´essere quello teorizzato dai teo cons,
è quello indicato dalle "radici" cristiane, delle quali tanti dei loro improvvisati
assertori sembrano ignorare l´humus prezioso che esse hanno fornito all´Europa:
il valore della persona, la dignità umana riconosciuta a ciascuno e, non
dimentichiamolo, i primi fondamenti dei diritti individuali inalienabili,
che gli storici fanno risalire, prima ancora che ad Altusio e a Grozio, al
diritto canonico e ai canonisti medioevali. Del resto, i meritori perdoni
che Giovanni Paolo II ha chiesto per gli errori del passato non sono stati
un richiamo a queste radici, un ripudio dei rami dell´intolleranza che erano
cresciuti su di esse e la premessa per fare del cristianesimo non il baluardo
dell´Occidente, ma l´antesignano e il motore di un dialogo fra le religioni
(e non solo fra loro), che concorra ad evitare al mondo il futuro di una
Babele armata
Questa è dunque la strada, l´unica strada per evitare Babele non solo nel
mondo, ma in ciascuna delle nostre società. Tutti dobbiamo essere laici.
Tutti, per esserlo, dobbiamo misurarci con i valori degli altri, religiosi
e non religiosi. Tutti dobbiamo sapere che alla fine non c´è una "correttezza"
politica e morale senza scelte e senza priorità, ma ci può e ci deve essere
la condivisione più larga possibile di quegli assoluti che, partiti da radici
religiose ed elaborati poi dal pensiero razionalista post rinascimentale,
sono divenuti fondanti delle democrazie del nostro tempo.
Lo disse l´allora cardinale Ratzinger che l´alleanza tra fede e ragione è
essenziale per combattere il fanatismo. E di questo appunto si tratta.



Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 08:40.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com