LE ULTIME LETTERE DEL CENTROSINISTRA E LA NOVITA' DEL PARTITO DEMOCRATICO

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INES TABUSSO
00lunedì 7 agosto 2006 01:14
LA REPUBBLICA
13 luglio 2004
Le ultime lettere del centrosinistra
Michele Serra


Caro direttore, ho letto la lettera aperta di Rutelli ai prodiani pubblicata ieri da “la Repubblica”. Fa seguito alle epistole di Prodi ai rutelliani, purtroppo rimaste inedite.
Nella convinzione che la sinistra italiana, stante la crescente difficoltà di parlarsi a viva voce, stia diventando un romanzo epistolare, mi permetto di anticiparti almeno alcune delle prossime lettere, che, in quanto direttore di un giornale da sempre attento ai problemi della sinistra, dovrai prepararti a ricevere e volentieri pubblicare.

Caro direttore, essendo il Suo giornale da sempre attento ai problemi della sinistra, mi permetto di intervenire nel dibattito aperto da Francesco Rutelli, dal quale traspare chiaramente la volontà unitaria che gli ho sempre riconosciuto. Resta il fatto che la formula " Nuove Grandi Riforme" (rigo 15, pagina 1), polemicamente indicata da Rutelli come obiettivo confuso e paralizzante, non è certo all'ordine del giorno. Si è parlato, piuttosto, di Grandi Nuove Riforme. Allego documentazione, in quello spirito di chiarezza e collaborazione che tutti auspichiamo. Cordialità
Piero Fassino

Caro direttore,
ho accolto con grande interesse le considerazioni di Piero Fassino sulla natura profondamente riformista della coalizione, riassunta nel progetto delle " Grandi Nuove Riforme". Avrei preferito, come da tempo è noto, la formula delle Riforme Grandi e Nuove, che offro alla discussione, approfittando dell'ospitalità di un giornale da sempre attento ai problemi della sinistra. Suo
Giuliano Amato

Caro direttore,
mi stupisce molto che un giornale attento ai problemi della sinistra abbia, spero non volontariamente, accettato di confondere le carte sulle diverse nature del riformismo italiano. Nelle tre accezioni fin qui proposte (" Nuove Grandi Riforme", " Grandi Nuove Riforme" e " Riforme Grandi e Nuove"), nessuna contempla l'ipotesi che il nuovo e il grande siano dimensioni non necessariamente coincidenti. Suggerirei, molto meglio, la dizione " Nuove Piccole Riforme", passin passetto. Con amicizia
Arturo Parisi

Direttore!
La sapevo persona attenta ai problemi della sinistra. Come è stato possibile, dunque, che il suo giornale abbia dato spazio alle oziose polemiche nominalistiche dei giorni scorsi? Il riformismo, solo possibile collante unitario delle diverse nature del centrosinistra, non è né piccolo né grande: è medio, come tutto ciò che serve a conquistare il centro moderato. In quanto tale, fa schifo. Grazie per l'ospitalità
Gianni Vattimo

Signor direttore,
sospetto che le precedenti lettere sul riformismo pubblicate dal suo giornale, pur così attento ai problemi della sinistra, Le siano arrivate con affrancatura a carico del destinatario, tanto erano povere di idee e di contenuti. Povera sinistra e povera Italia!
Michele Salvati

Direttò,
strozzerei con le mie mani quelli che le scrivono, profittando della sua attenzione ai problemi della sinistra, per far perdere tempo agli elettori con le loro ciance da politicanti. Dia retta a me, sono i problemi della gente il punto cruciale.
Antonio Di Pietro

Signor direttore,
in quanto lettore affezionato del suo quotidiano, ho notato negli ultimi giorni una preoccupante escalation di lettere dedicate al dibattito interno alla sinistra. Le propongo, di qui in poi, di fare un giornale meno attento ai problemi della sinistra. Grazie
lettera firmata




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IL RIFORMISTA
EDITORIALE
lunedì 7 agosto 2006
prospettive. il nodo della laicità e l’approdo europeo.
Un’etica del dialogo per il partito democratico


Ha ragione Tiziano Treu (il Riformista 01/0[SM=g27989] quando sostiene che la discussione sul progetto di partito democratico appare inadeguata alla posta in gioco; che c’è una insufficiente attenzione alle idee rispetto a una eccessiva preoccupazione per le procedure, i tempi, gli schieramenti. Fanno eccezione in questo panorama le posizioni di chi, penso in particolare a Pietro Scoppola, ha avuto il merito di esplicitare con chiarezza, la natura del «disagio e delle perplessità» che la prospettiva di un nuovo partito solleva in un’area vasta del “cattolicesimo democratico”. Scoppola avverte il rischio che la nuova formazione politica si risolva in «un approdo tardivo al modello europeo» di partito riformista che prefigura «una presenza cattolica rilevante e significativa in un partito sostanzialmente socialdemocratico». La collocazione eventuale del nuovo partito nella famiglia del Pse ha assunto, per Scoppola e per altri, valore emblematico per motivare la loro contrarietà.
Tali perplessità meritano una risposta chiara e approfondita. La prima a me pare debba consistere nella decisa affermazione della novità del “partito democratico”: una formazione non caratterizzabile, semplicemente, come socialista. Questo è un tema impegnativo per la sinistra democratica. Essa è giunta, con ritardo purtroppo, alla compiuta assunzione del corredo di valori del socialismo europeo. E ora è chiamata a un nuovo passaggio identitario che comporta una riflessione su aspetti del profilo politico culturale della stessa socialdemocrazia. E’ comprensibile, perciò, l’affanno della sinistra riformista italiana. E tuttavia non è possibile sfuggire a questo nodo. Le basi ideali e di valore di una nuova formazione riformista debbono far emergere lo spessore innovativo che tale scelta introduce nello stesso patrimonio di motivazioni della tradizione socialista.
La seconda risposta riguarda il tema specifico dello spazio dei cattolici democratici nella nuova formazione. Su questo divergo dalle argomentazioni con cui Scoppola sceglie di motivare le sue «perplessità». Esse restano troppo ancorate alle dispute che hanno segnato le tradizioni politiche del secolo scorso nel nostro paese. Stenta ad emergere il cambiamento di piano e di prospettiva che la proposta del nuovo partito è chiamata a introdurre nel dibattito politico italiano. Non sono convinto, ad esempio, che abbia senso contestare l’approdo nel Pse proiettando sull’esperienza socialdemocratica europea riflessioni e considerazioni che hanno radici nelle particolarità della storia italiana. Ha fondamento davvero la supposizione di una “questione cattolica” riferita alla tradizione dei modelli socialdemocratici in Europa? Non può sfuggire a una ricostruzione storica attenta che l’ispirazione cristiana ha avuto una funzione, direi, fondativa e costituente dell’atto di nascita del socialismo riformista. Il problema posto da Scoppola - lo spazio dei cattolici nella nuova formazione - va visto, invece, su un piano diverso. Che non ripercorre, semplicemente, dilemmi della storia politica italiana e che richiama, invece, il rapporto che il “partito democratico” deve intessere con temi e preoccupazioni che oggi si manifestano nel pensiero religioso.
E’ un problema che necessita di attenta riflessione. La tavola di valori di una moderna piattaforma riformista non può rimuovere o trascurare i dilemmi umanistici dei confini da porre alle possibilità nuove della tecnologia; la considerazione dello spessore istituzionale del tema della famiglia; la relazione tra diritti individuali e spazio della solidarietà in una visione matura della convivenza liberale moderna. Opporre a tali problematiche la pura rivendicazione della difesa della laicità mi pare riduttivo e perdente. La laicità si fonda sulla non identificazione tra lo Stato e le confessioni religiose ma che il tema religioso faccia parte del dibattito pubblico è una consapevolezza che non può non essere comune. Ha ragione Tiziano Treu, non basta rimescolare le risposte politiche di cento o anche di cinquanta anni fa per rispondere alle domande con cui oggi siamo chiamati a fare i conti. Occorre una cultura politica nuova. Essa potrà emergere dall’incontro e dalla integrazione tra le culture riformiste della storia italiana. Non è impossibile. Lo dimostra la convergenza raggiunta dall’Ulivo su uno dei temi più delicati e complessi sul tappeto: la ricerca sulle cellule staminali. Vedo in quell’accordo un passo avanti importante nel processo di aggregazione dei riformisti. A prevalere in quel caso è stata l’etica del dialogo. L’etica aperta al confronto tra posizioni diverse che non si arrocca su principi non negoziabili.
Infine una domanda a Scoppola e a Treu. Se la caratterizzazione di un partito riformista del nostro tempo è partecipare di impostazioni politiche sempre più sovranazionali, credo sia indiscutibile convenire sul fatto che quei confini più ampi siano forniti in Europa dal Pse in cui si ritrovano le fondamentali forze riformatrici del continente. Occorre rinnovare e adeguare cultura e programmi del Pse. Non c’è dubbio. Ma è difficile pensare che una formazione politica riformatrice come sarebbe il partito democratico in Italia possa restare fuori da quella dimensione. Forse è il caso di discuterne ancora.
Umberto Ranieri



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