La Sicilia e le sue fole mitiche

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Aronne1
00lunedì 7 novembre 2005 09:33


Scilla e Cariddi


Secondo la leggenda Scilla era una bellissima ninfa e di lei si era profondamente innamorato il dio marino Glauco che perciò respinse l'amore di Circe.

La maga, offesa e indispettita, decise di vendicarsi mediante le sue magie: preparò uno strano succo a base di erbe misteriose, si recò presso la sorgente dove Scilla era solita bagnarsi e vi versò la terribile pozione.

Non appena Scilla si bagnò, il suo corpo subì un'orrenda trasformazione: mentre la parte superiore rimase immutata, dalla parte inferiore comparvero sei feroci cani, ciascuno con una orrenda bocca fornita di tre file di denti appuntiti, che latravano in modo impressionante.

Essi erano dotati di lunghissimi colli a forma di serpenti i quali afferravano gli esseri viventi a cui potevano arrivare e li divorava . Diventata così mostruosa, Scilla andò a nascondersi presso lo stretto di Messina in un antro là dove la costa calabra si protende verso la Sicilia. Da lì seminava strage e terrore contro i naviganti che imprudentemente le passavano vicino.

La leggenda racconta che, quando Eracle attraversava l'Italia con il bestiame di Gerione, Scilla divorò alcuni buoi e perciò l'eroe la uccise. Ma il dio Forco che era il padre di Scilla, con l'aiuto di alcuni incantesimi richiamò in vita il mostro.

Tra le leggende più belle appartenenti al patrimonio culturale dell'antica Messina, la più nota è, senza dubbio, la leggende che ricorda l'esistenza del mostro Cariddi, mitica personificazione di un vortice formato dalle acque dello stretto di Messina.

Cariddi, ninfa mitologica greca , figlia di Poseidone e di Gea (la terra) era tormentata da una grande voracità.

Quando Eracle passò dallo stretto di Messina con l'armento di Gerione (un mostro o gigante fornito di tre teste e tre corpi uniti all'altezza della cintola), essa gli rubò alcuni buoi e li divorò. Per questo fu colpita dal fulmine di Giove, precipitata in mare e trasformata in un mostro.
Il primo a raccontare questo mito fu Omero che lo descrisse in modo così perfetto da farlo sembrare credibile; spiegò anche che Cariddi si trova di fronte a Scilla. Omero racconta che il mostro ingoiava tre volte al giorno un 'enorme quantità d'acqua e poi vomitava trattenendo tutti gli esseri viventi che vi trovava.

Anche Virgilio parla di Cariddi nel suo poema intitolato Eneide.

Lupomannaroxte
00martedì 8 novembre 2005 19:53

Aretusa ed Alfeo

Lui cacciatore (Alfeo), lei ninfa: Aretusa, la più bella, fra quante Diana solesse condurre seco alla caccia, e la più abile nell'arte di tender le reti.
Tornava, ella, un giorno, al calare del sole, da una battuta appunto, d'ogni. altra più ardua e gravosa, contro i mostri rapaci delle Paludi stinfalie, ai pie' di Cillène, l'eccelsa montagna d'Arcadia, madre di gente pugnace. Era stanca ed arsa, nè alito spirava che temperasse i calori della grande estate nell'aria sitibonda.

Un lieve sussurro d'acque correnti la invitò a sostare in ascolto: non s'era ingannata. Un limpido fiume scorreva lì presso, tra vellutate sponde selvose. Staccatasi dalle compagne, volle prendervi un bagno e, scivolata che fu tra le onde trasparenti, se ne lasciò lambire ed avvolgere le belle membra tornite, sfavillando di sottile piacere nei begli occhi socchiusi, che ridevano al cielo dal capo leggiadro abbandonato sul fiore dell'acqua.

Così la scorse Alfeo e, avvicinatosi cauto tentò ghermirla come già aveva fatto Plutone con la vaga figliuola di Cerere, Proserpina siciliana. Ma l'udì Aretusa, trasalendo, e atterrita fuggì come cerva inseguita. Per monti e per valli corse, la meschina, senza ascoltare le ardenti preghiere di lui, che, incalzandola, già era per prenderla allorchè Diana a cui Aretusa si era consacrata con decisa rinunzia all'amore, la sottrasse all'inseguimento trasportandola a Ortigia, mutata in limpida fonte.

AIfeo pianse lacrime ardenti di folle dolore e Venere, degli amanti patrona, pietosa lo volle soccorrere. Un fiume fece di lui, ricco d'acqua e di forza impetuosa, come l'amore che, per la bella Aretusa, egli nutriva nel seno.
Lungo vie sotterranee, non visto, e per gli abissi profondi del mare, lo spinse affettuosa fino a quando, della fonte di Ortigia, egli stesso udito non ebbe il dolcissimo canto.
Aretusa effondeva così la sua pena di vivere sola e, allorché l'onde di Alfeo, sussurrandole amore, nel suo lucente cristallo, palpitò, conobbe il sapore della gioia senza fine.
Queste meravigliose leggende sembrano esser narrate, più che dalla tradizioni,. dalla stessa natura dei luoghi incantevoli dove il mormorio delle acque pare sia una continua canzone d'amore appassionata.

Poeti greci e latini cantarono queste leggende popolari rivestendole di una meravigliosa forma che le ha preservate dal tempo.

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