MICHELE SERRA E IL NUOVO LIBRO-INCHIESTA DI MARCO TRAVAGLIO

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INES TABUSSO
00sabato 9 dicembre 2006 22:40

LA REPUBBLICA
6 dicembre 2006
IL NUOVO LIBRO-INCHIESTA DI MARCO TRAVAGLIO
QUANDO I FATTI NON ESISTONO PIÙ
Ogni grano di verità coperto dai gossip
le calunnie contro i magistrati milanesi
MICHELE SERRA

La scomparsa dei fatti (il Saggiatore, pagg. 336, euro 15), per un libro sul giornalismo italiano, è un titolo terribile. Non "inquietante", che è uno degli aggettivi eufemistici più in voga. Proprio terribile: nel senso che enuncia una tesi, se dimostrata, decisamente spaventosa per ogni opinione pubblica che conti sul bene prezioso dell´informazione.
Di questa terribilità, Marco Travaglio è portatore consapevole da diversi anni. I detrattori la attribuiscono a una sorta di carattere ideologico-persecutorio del lavoro di Travaglio, che trarrebbe la sua implacabile attitudine alla denuncia giornalistica da una vena di polemista politico presto tracimata in amore morboso per lo scandalo. Peccato che non sia così.
Peccato nel senso che defalcare tra le opinioni estreme almeno una parte delle affermazioni, spesso molto gravi, di Travaglio, sarebbe tranquillizzante. Ma Travaglio non è un opinionista. È in senso stretto, un giornalista d´inchiesta (anche se lui preferisce riferirsi al giornalismo «d´analisi»). Lavora affastellando dati, sentenze, carte processuali, articoli di giornale, interviste, lanci d´agenzia, insomma i famosi fatti o quantomeno quella frammentaria ossatura della realtà dalla quale poi ciascuno di noi prova a trarre almeno qualche certezza. In maniera soggettiva, discutibile, ma non arbitraria: perché vincolata, appunto, dall´esistenza dei fatti.
E per ciò: chiunque voglia confutare Marco Travaglio deve prendersi la briga di contrapporgli non una facile etichettatura (in genere, è quella di "giustizialista"), ma di batterlo sul suo terreno. Nel caso di questo nuovo libro, che rilegge molte delle pagine più ignobilmente false oppure omertose dell´informazione nazionale, soprattutto televisiva, un eventuale anti-Travaglio dovrebbe dunque avere la forza di rovesciare un tavolo così ingombro di carte da risultare pesantissimo.
Si va dalla ricostruzione delle numerose (e dimostrate) calunnie contro i magistrati milanesi diffuse dai giornali e dalle televisioni di Silvio Berlusconi, alla panzana velenosa di Telekom Serbia. Dalla recente pandemia sensazionalista sul virus dei polli, poi rivelatosi un´eccellente campagna pubblicitaria per l´industria farmaceutica, alla tragicomica ricostruzione di molte scalette di telegiornale imbottite di gossip e di notizie "di colore" per potere espellere del tutto, o ridurre a pochi cenni, le notizie gravi e scandalose di quel giorno, specialmente su processi e affini.
Si fa cozzare pesantemente l´opinione vincente (formata attraverso anni di disinformazione) contro, appunto, il muro dei fatti: un esempio per tutti, il luogo comune bugiardo, eppure molto diffuso, secondo il quale Tangentopoli colpì solo le forze di pentapartito e risparmiò "i comunisti", mentre basta un decente archivio, se non un´onesta memoria, per sapere che il Pci milanese fu "raso al suolo" dall´inchiesta e tra i primissimi inquisiti ci furono i comunisti Li Calzi e Soave (seguirono il segretario cittadino e il segretario regionale).
Si passa attraverso le scuse promesse (e mai date) di Lino Jannuzzi a Ilda Boccassini, accusata a vuoto di avere indetto una riunione internazionale «per incastrare Berlusconi» Attraverso il memorabile e inconsapevole autodafé di Lamberto Sposini, conduttore del Tg5, che in segno di spregio e sfregio contro la paranoia dell´aviaria mangiò pollo in diretta, e pazienza se proprio il Tg5, come Travaglio dimostra, era stato in primissima fila nel gonfiare il panico. Si richiama alla memoria, tra le tante, la formidabile bugia di Berlusconi che a Porta a Porta spiegò la sua fatwa bulgara contro Santoro, Biagi e Luttazzi sostenendo che «non sapeva che fossero presenti dei giornalisti»: ma quella frase era stata pronunciata al microfono durante una affollata conferenza stampa, e nessuno dei giornalisti presenti da Vespa ebbe la presenza di spirito di farlo presente al premier.
E poi le bugie sulle armi di distruzione di massa. Il dilagare di programmi di approfondimento impastati di opinioni e quasi sempre refrattari a informare sulle cifre. Le campagne sull´ordine pubblico, allarmistiche alla vigilia delle elezioni e svanite nel nulla non appena la parte politica di riferimento va al governo, e chiede un´informazione ingentilita e distratta: in genere il gossip come droga legale contro il senso critico.
Qualche addebito può essere mosso all´autore quando, incorrendo nel difetto imputato ai suoi bersagli, addobba con qualche sarcasmo di troppo la sua scrittura, in genere molto asciutta e tipicamente cronistica. Tradendo anche lui, come tutti, simpatie e antipatie (soprattutto antipatie). Lasciandoci intuire che il mito dell´oggettività, delle notizie-notizie, non è percorribile per intero, e per fortuna, senza lasciare qualche traccia delle proprie intenzioni e delle proprie debolezze. Ma il corpus di questo libro, forse più ancora dei precedenti, è maledettamente materiale, e non consente eccessive evasioni dal duro terreno dei fatti. Ci sono scansioni di tempo, scansioni di parole, che dicono un gran male sulla qualità complessiva dei nostri riferimenti mediatici, pur salvando persone e occasioni, dalla ormai proverbiale caparbietà della Gabanelli alla serietà e all´onestà di cronisti giudiziari che non si piegano all´opportunità politica, all´esistenza di un giornalismo d´inchiesta ancora tecnicamente e deontologicamente degno del suo nome.
Ma alcune pagine, tra le tante, effettivamente lasciano di sale. E non perché non ne sapevamo niente, ma, all´opposto, perché leggendole ci torna in mente che sapevamo, eccome: eravamo riusciti a sapere, lì per lì. Ma ce ne eravamo quasi subito dimenticati, tanto forte e pervasivo è il potere di distrazione di apparati mediatici che tendono a ricoprire in fretta ogni piccolo grano di verità con una coltre spessa e grassa di pettegolezzo, chiacchiera, diversione, leggerezza stolta, disinformazione faziosa.
Due vicende su tutte, almeno secondo la mia sensibilità di lettore e di cittadino. La ricostruzione dell´incredibile non-scoop occorso al cronista giudiziario della Rai di Milano, Carlo Casoli, che nel novembre del 2005 viene a sapere che la Procura di Roma ha rinviato a giudizio Cesare Previti per corruzione, e si sente dire dalla sua azienda che la notizia, non essendo ancora uscita sui giornali, non interessa. E, alle sue rimostranze di cronista coscienzioso, si sente rispondere che magari sì, può fare un servizio sulla vicenda, «a patto che non faccia nomi». La seconda, fulminante, è un semplice titolo apparso sul Giornale Nuovo qualche anno fa, direttore Vittorio Feltri: "Berlusconi vende la Fininvest".



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