OLIVIERO BEHA

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INES TABUSSO
00domenica 14 agosto 2005 00:21

da l'Unità del 12 agosto 2005

Motoscafi Killer
di Oliviero Beha

Caro direttore, sarebbe fin troppo facile indignarsi sui «motoscafi killer»,e
ancora più facile ironizzare su chi li «metabolizza» mediaticamente sulle
prime pagine dei giornali con affreschi di costume: sul palcoscenico solito
della Costa Smeralda finanzieri e faccendieri, vip e meno vip, aperitivi
a bordo, scrittori e giornalisti. Però col morto.
Con il seguito dei «non ho sentito niente, solo un colpo, e il sangue nel
mare», e la notifica di una tragedia.
Qui non è un problema di indignazione,né di ironia sul solito «pacchetto»
di noti o tender-noti con corte incorporata. Semplicemente, stiamo raccogliendo
ciò che abbiamo seminato: lo stile di vita, «questo» stile di vita, tratta
il mare come le strade. Ci sono regole da rispettare, che nessuno o quasi
rispetta, e il morto è sempre un «tragico accidente». Ci sono troppe barche,
di diverso cabotaggio, che confluiscono nella voce tecnica e anodina dei
«natanti» che mettono a repentaglio i «bagnanti». Il tutto nella più assoluta
mancanza di rispetto per il rischio delle persone, di una «debole» come la
signora morta a Cala di Volpe ma tuffatasi da un panfilo «forte» nella jungla
marittima, e per quella strana, anacronistica faccenda che una volta si chiamava
semplicemente «educazione». Scomparsa, dappertutto, a piedi, in auto, sugli
sci. E in mare.
Non ho a portata di mano i dati sulle vittime stagionali di questo tipo di
vacanza, quindi non posso neppure escludere che non siano aumentate, come
fortunatamente è accaduto sulle strade soprattutto all'inizio dell'introduzione
della patente a punti, il cui deterrente sembra però praticamente purtroppo
esaurito. Ma il punto non è nei numeri, ma di nuovo nello stile di vita.
Le regole ci sono, ma come in tutto mancano i controllori, le capitanerie
non riescono a star dietro alla quantità abnorme di barche per insufficienza
di organico, la patente non serve per motoscafi tender come il Wally, materialmente
reo dell'omicidio colposo dell'italoamericana di mercoledì. E del resto se
la poveretta stava nuotando in «acque non protette» dai divieti, come leggo,
il disgraziato subacqueo investito a largo di santa Marinella aveva fatto
tutto a puntino, con l'avviso, la boa, ma ci ha lasciato la pelle lo stesso.

Troppa densità, dunque, come sulle strade (mentre curiosamente le cosiddette
«autostrade del mare» per il trasporto merci non vengono tuttora abbastanza
attivate, neppure alla memoria dell'Avvocato cui industrialmente non convenivano...),
totale menefreghismo delle regole tradotto in un cinismo comportamentale
ributtante e spesso inconsapevole, un pessimo, intollerabile, perverso «stile
di vita» al contrario, in negativo, non uno stile ma una rincorsa all'indifferenza
ignorante, di cui non si parla mai, o non si parla abbastanza.
Perché per esso, per questo stile senza stile, per tentare di cambiarlo e
rinnovarlo, non basta Lunardi (anzi...!), le capitanerie, i pezzi da Elettra
in sedicesimo che troviamo sui giornali. Per rimettere al primo posto il
rispetto di sé e degli altri ci vorrebbe una rivoluzione culturale.
E qui le parole si ammutinano, come fossimo su un piccolo «natante» che siamo
costretti a tenere lontano dalla costa, per non travolgere i «bagnanti»,
complementari agli «analfabeti del mare», con il chiodo fisso di quella vacanza
lì, in quel posto, guardando da lontano magari Briatore. Con la solita domanda
finale che sventola come una bandiera rossa su tutte le nostre coste: ma
che fine ha fatto questo paese?


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