QUI LOCRI, LICEO CLASSICO OLIVETI

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INES TABUSSO
00venerdì 4 novembre 2005 11:32

«La mafia ha la forma dell'acqua, si insinua e trova recipienti ovunque. Ecco perché lo Stato e la mafia rischiano di diventare vasi comunicanti. Aiutateci a prosciugare quest'acqua senza lasciarci soli».


www.osservatoriosullalegalita.org/
Locri : marcia contro la mafia
di red

Marcia contro la n'drangheta il 4 novembre a Locri, dopo l'assassinio del medico e consigliere regionale Francesco Fortugno, ucciso a bruciapelo da un killer.

Hanno aderito molte organizzazioni, ma resta l'iniziativa spontanea, che vedra' alla sua testa i giovani, fra cui l'associazione "Giovani per la Locride".
Gli studenti delle scuole superiori di Locri erano gia' scesi in piazza a manifestare dopo l'omicidio.
...
La Locride risponde anche cosi' all'esortazione del presidente Ciampi, che all'indomani dell'omicidio aveva parlato di "appoggio consapevole della società civile alle forze dell'ordine e alla magistratura" ed aveva auspicato che i giovani "sappiano trascinare con loro tutta la società civile".




www.unita.it/index.asp?sezione_cod=HP

L'UNITA'
04.11.2005
Notte in treno verso Locri… siamo tutti calabresi
di Giorgia Ariosto e Valentina Petrini

La notte di viaggio verso Locri inizia alla Stazione Termini. Maria è di un paesino vicino Reggio Calabria. Ritorna dalla sua terra dove è stata per far visita alla famiglia nel ponte del 1° novembre. «Non mi è piaciuto ciò che ho visto in televisione in questi giorni. La Calabria va conosciuta prima che se ne parli. E’ un luogo di non ritorno dove per decenni la gente ha sempre subito e fatto finta di non vedere e sentire». La sua denuncia è forte e chiara. Maria ha 24 anni: è andata via di casa a 18 per studiare Antropologia alla Sapienza di Roma, «perché in Calabria c’erano troppe cose che mi facevano stare male». «No, non credo al cambiamento. La paura ha sempre avuto il sopravvento su tutto il resto e presto anche questa sommossa popolare si spegnerà non appena telecamere e microfoni scompariranno».

Tuttavia non si può far finta di non rimanere colpiti nel vedere 700 studenti del l’istituto tecnico “Zanotti” assaltare il treno per unirsi al corteo di Locri. «Il preside aveva dato il permesso solo a due studenti per classe, ma noi volevamo esserci tutti. Così siamo qui».

Nella Locri che venerdì si prepara ad accogliere i visitatori di tutto il Centro Sud, quello del vice-presidente Fortugno è il quinto omicidio di un primario ospedaliero che si consuma. Mai, in nessuno degli agguati mafiosi precedenti, la reazione della gente era stata così spontanea e combattiva.

Il viaggio in treno verso Locri continua. La punta dello stivale che di solito è lontana dagli occhi del paese, oggi è sotto i riflettori. I giovani di Locri, scesi in piazza all' indomani dell' omicidio del vice presidente del Consiglio regionale calabrese, Francesco Fortugno, sono divenuti il simbolo della “Calabria contro”. Al loro fianco istituzioni, enti locali, partiti politici, sindacati, movimenti, chiamati a raccolta dal sindaco di Napoli, Rosa Russo Iervolino, e da quello di Cosenza, Eva Catizone, in una data altamente simbolica: il 4 novembre, Festa dell' Unità Nazionale.

C’è anche una giornalista canadese in treno verso la manifestazione. La ‘ndrangheta è arrivata anche li….«Da noi è diventata celebre una telefonata tra un boss calabrese e uno canadese in cui si parlava del Ponte sullo Stretto…».

L’appuntamento. Il concentramento è previsto per le 11.30 in piazza Nosside, sul lungomare della cittadina ionica. Il corteo si snoderà quindi per le vie cittadine e si fermerà, per un momento di raccoglimento, davanti a palazzo Nieddu, l’edificio ottocentesco teatro dell' omicidio di Fortugno. Quindi la marcia si concluderà in piazza Cinque Martiri di Gerace. Qui sono previsti gli interventi dei rappresentanti degli studenti di Napoli, Cosenza e Locri e dei sindaci delle tre città, Rosa Russo Iervolino, Eva Catizone, e Carmine Barbaro. Le conclusioni saranno affidate al presidente della Giunta regionale calabrese, Agazio Loiero.

Le adesioni. Crescono di ora in ora le adesioni alla manifestazione. Dai sindacati all’Anci. «Tutti i Comuni italiani – ha dichiarato il sindaco di Firenze Leonardo Domenici, presidente dell'associazione - sono insieme ai cittadini e le cittadine delle comunità calabresi che manifestano a Locri contro lo strapotere della criminalità». I gonfaloni dei Comuni d’Italia saranno quindi presenti alla “marcia della speranza”. L’elenco delle associazioni civili che hanno ufficializzato la loro presenza in questo giorno è vastissimo.
Messaggio di Ciampi. Ai ragazzi calabresi è andato anche il pensiero del presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi , che in un messaggio inviato alla Iervolino ha voluto sottolineare come «la risposta spontanea e immediata degli studenti delle scuole superiori di Locri, dopo il barbaro omicidio del professor Fortugno, è un segno di grande coraggio e di speranza, ed è un esempio per tutti».






«Noi abbiamo il dovere morale e civile di manifestare il nostro dissenso alla mafia e a tutto ciò che essa rappresenta, perché noi siamo il futuro della Calabria, ma anche dell’Italia»

«Ed ora ammazzateci tutti!» È diventato un appello alla legalità, prima ancora di essere uno slogan, per trovare il coraggio non solo di opporsi ma di sfidare la criminalità mettendo insieme le forze, proprio come hanno fatto i ragazzi calabresi . Proprio loro che con quel lenzuolo bianco e «quel grido muto» sono diventati l’icona di una Calabria che risolleva la testa. E che il 4 novembre si ritrova a Locri per una «marcia di speranza».


20.10.2005
«La ’ndrangheta non avrà il nostro futuro»
di Enrico Fierro inviato a Locri


I ragazzi di Calabria sono belli come tutti i ragazzi della loro età. Vivono in questa fetta d'Italia dove i paesi hanno nomi che fanno tremare (Africo, Siderno, Locri, Platì…) e hanno un problema che a Treviso i loro coetanei ignorano. Una lue che pesa sul loro presente e alita un fiato ammorbante sul loro futuro. Si chiama 'ndrangheta, mafia, ed è una consorteria di uomini ricchissimi e spietati. Gente che risponde ad una sola regola, la forza, e che per mantenere un potere arcaico che si trasmette in modo dinastico per grandi famiglie, ha bisogno di controllare tutto. La tua città, la tua casa, il tuo lavoro. Finanche la tua vita.

I ragazzi di Calabria che vivono nella Locride si sono ribellati. Gli chiedo di incontrarli proprio nel giorno dei funerali di Franco Fortugno. Mi chiedono di vederci davanti al loro liceo classico. «Ivo Oliveti», si chiama, ed è una vecchia scuola dalle aule grandi e austere, con il giardino di palme all'ingresso, il tricolore sbiadito e la bandiera dell'Europa. Penso che siano straordinari questi ragazzi di 14, 15, 16 anni per quello che hanno fatto: per la prima volta sono scesi in piazza a Locri, regno dei boss Cataldo e Cordì, per dire alla 'ndrangheta «ci fai schifo, fuori dal nostro futuro». Hanno trascinato migliaia di giovani come loro. «Vediamoci al nostro liceo». Quelle mura, i professori che insieme a loro leggono e commentano il giornale in classe, i libri. Si aggrappano a queste povere e preziose cose come dei naufraghi nell'Oceano ad un fragile pezzo di legno. Il loro Oceano si chiama mafia e sta provocando onde che rischiano di spazzare via la Calabria.

Arrivano. Sono una ventina. Parlano i ragazzi di Calabria. Il cronista, che è padre e sa che qui più che in altri posti, si ha il dovere di difendere i giovani dalla loro generosità, impone di non mettere nomi. Solo iniziali. Loro, per tutta risposta scattano foto con una digitale. «Te le mandiamo, le pubblichi sul giornale. Non abbiamo paura di mettere le nostre facce contro i mafiosi». Penso ai loro genitori. Quelle foto non le pubblicherò mai!.

La parola a loro. M.R. (ragazza): «Ci chiedi perché siamo scesi in piazza con quello striscione (\'Omertà la loro forza. Noi la loro fine?\'). Semplice: perché non se ne può più. Perché la mafia è il nostro passato. Un mostro che vuole divorare il nostro futuro. Ci chiedi se è stato difficile convincere gli altri. No. Lunedì, quando siamo tornati a scuola, le parole non sono servite…». A.M.P. (ragazza): «Sì, è stato quasi un miracolo. Non ci siamo parlati, ma tutti avevamo lo stesso pensiero in testa. Dobbiamo fare qualcosa. Reagire, dare noi la sveglia a Locri e a tutti i calabresi…». V.M. (ragazzo): «Qualche discussione l'abbiamo avuta, ma solo su come organizzarci. C'era da raccogliere i soldi, fare lo striscione. Dobbiamo dire no alla mafia, senza giri di parole. Fortugno lo hanno ammazzato i mafiosi che comandano qui, altro che \'orribile omicidio\', \'triste frangente\'. La mafia è mafia e uccide…». U.M. (ragazzo): «E nell'indifferenza. Guarda questo manifesto (titolo: “Fermiamo la carneficina”, elenco di dieci morti innocenti e senza giustizia), dice tutto. A maggio, il 24, a Siderno hanno ucciso un imprenditore di 34 anni, sotto casa sua solo perché non pagava il pizzo…». G.M. (ragazzo): «Sì, qui la 'ndrangheta la respiri giorno per giorno. Ci vivi gomito a gomito con i mafiosi. Si sanno i nomi delle \'famiglie\', si sa chi sono i picciotti. Li incontri al pub, sull'autobus, ne incroci gli sguardi…». F.Z. (ragazza): «E basta un'occhiata, un gesto che non capisci, una parola che in altri luoghi d'Italia ha un significato e qui un altro, per compromettersi». U.M. (ragazzo): «Lo sai qual è la frase più usata da questi? \'Nun sa cu sugnu eu\' (Non sai chi sono io) …». M.F. (ragazza): «E sai cosa ti chiedono sempre, in modo ossessivo? A chi appartieni…Una frase che dice tutto, l'appartenenza, la famiglia, quanto conti. Perché per loro questi sono i valori, non lo studio, un libro letto, la vita che ti costruisci con fatica, no: l'appartenenza…».

G.P. (ragazzo): «Non esagerate, che la mafia esiste pure a Milano…». F.Z. (ragazza): «Certo, ma qui la 'ndrangheta uccide, a Milano no: lì fa affari, investe i soldi che guadagna qui…». M.R. (ragazza): «Ci chiedi cosa faremo dopo il liceo? Io andrò via, non voglio restare più in questa terra. Il futuro è dovunque, non qui…». G.P. (ragazzo): «Bisogna restare, invece, dare l'esempio, costruirsi un futuro fuori e tornare qui a fare gli imprenditori, i medici, gli avvocati. Se andiamo via tutti resteranno solo loro, i boss, i vecchi, chi non ha avuto fortuna…». G.C. (ragazza): «Noi siamo fortunati. Abbiamo buone famiglie, frequentiamo il liceo, noi siamo l'elite, non possiamo fuggire». F.Z. (ragazza): «La nostra prof., che negli anni Settanta faceva le battaglie per la rinascita della Calabria, ci ha detto che è rimasta perché sperava nel cambiamento. Oggi si sente una sconfitta. Vivere qui, in un posto dove ci sono tre cinema nel giro di 80 chilometri è difficile. E se vuoi qualcosa in più per divertirti, vivere una serata diversa devi andare a Reggio, cento chilometri». M.Z. (ragazza). «Smettetela, non diamo sempre l'immagine di una Locride abbandonata. Qui c'è poco, si sa, ma qualcosa si muove. A Roccella c'è un ottimo festival jazz. A Gerace una rassegna di musica e architettura, a Caulonia il Taranta Power. Non è tutto abbandono». M.R. (ragazza): «Ci chiedi dei nostri genitori. No, non ci hanno ostacolato. Sono preoccupati, certo, ma ci hanno detto di andare avanti, mio padre è orgoglioso per quello che sto facendo. È vero ragazzi? (I ragazzi rispondono in coro: Sì…)». G.C. (ragazza): «Speriamo che dopo i funerali e le lacrime l'Italia non si dimentichi di noi. È accaduto già tante volte, troppe volte. Ecco, sarebbe bello se i grandi nomi della cultura, dello spettacolo, del giornalismo venissero nei nostri paesi a tenere conferenze, a fare spettacoli, semplicemente a farsi vedere in giro. Sarebbe un messaggio di fiducia. Non può finire così. Noi dobbiamo battere la mafia una volta per tutte. Abbiamo bisogno di atti concreti, ma soprattutto di non smarrire la speranza. Vogliamo sentirci italiani…




18.10.2005
Chi alimenta la ’Ndrangheta
di Enzo Ciconte


La ’ndrangheta che ha agito a Locri quando ha ucciso Francesco Fortugno non ha niente di arretrato o di arcaico, è una mafia forte che lancia una sfida alla politica calabrese e allo Stato. C’è in gioco la signoria del territorio, del comando. Chi deve governare la Calabria? Il potere delle istituzioni o quello della ’ndrangheta? Questo è il cuore della sfida che ha lanciato chi ha armato la mano del killer. Già! Chi l’ha armata? È pensabile che un omicidio così plateale sia stato ordinato solo a Locri da una qualche famiglia locale? O non si deve pensare a un concorso di più volontà da parte di quegli uomini che compongono la struttura di comando delle ’ndrine che è stata formata dopo la pace siglata nel 1991 che aveva concluso una guerra che era durata un lustro e che aveva lasciato sulle strade quasi un migliaio di morti?

Nella ’ndrangheta non c’è la commissione provinciale, ma una struttura più agile che si riunisce per decidere cose importanti che riguardano tutta l’organizzazione. Chi ha deciso quell’omicidio - al di là della motivazione immediata legata alla sanità locale - ha scommesso sulla debolezza della risposta dello Stato. Toccherà allo Stato attrezzare una nuova qualità della risposta che sia all’altezza della sfida lanciata. I giovani della locride hanno cominciato a reagire.
Sarebbe un imperdonabile errore lasciarli soli. La risposta deve essere diversa da quella del passato e deve essere legata alla comprensione della natura della criminalità mafiosa calabrese.

Nella storia plurisecolare delle mafie italiane la ’ndrangheta è stata la più sottostimata e la più sottovalutata. La responsabilità di ciò risale a tanto tempo fa. Storici, sociologi, giornalisti, intellettuali hanno inizialmente studiato la camorra poi, a partire dai primi decenni dopo l’unità d’Italia, lo studio della mafia catturò l’interesse di tutti. Sono innumerevoli i libri che si occupano della mafia siciliana seguiti da quelli che si occupano di camorra. Quelli che trattano di ‘ndrangheta si contano al massimo sulle punta delle dita di due mani.

La Calabria è stata considerata come una regione arretrata, culturalmente chiusa, con tratti di inspiegabile primitivismo. Le sue grandi, splendide montagne - la Sila e l’Aspromonte - evocano idee di selvatichezza ed arcaicità legate come sono all’epopea grandiosa ma disperata e dolorosa del brigantaggio o a quella più recente, e per niente eroica, dei sequestri di persona con il loro carico di dolore. La criminalità che era il prodotto di quelle terre non poteva che essere selvaggia, violenta, crudele, e gli uomini che ne facevano parte dovevano essere orridi, spietati, ignoranti. Così hanno ragionato in molti. La Calabria è in fondo allo stivale, terra lontana che politicamente e socialmente ha pesato molto di meno a fronte della Sicilia e della Campania. I mafiosi calabresi sembravano un po’ incomprensibili, intestarditi com’erano a usare i vecchi codici, a rispettare i rituali di affiliazione e a costruire la loro struttura organizzata attorno alla famiglia naturale del capobastone. Intellettuali di vaglia ritenevano ciò come la prova migliore dei residui di arretratezza; gli stessi mafiosi siciliani, come ricordava Buscetta, irridevano i calabresi per questa loro testardaggine. Chi da lontano guardava alla ‘ndrangheta la riteneva una mafia locale, un sottoprodotto criminale, una filiazione della mafia siciliana. Insomma, ad una Calabria dallo scarso peso politico e sociale corrispondeva l’immagine di una mafia di basso profilo.

Questa idea sulla mafia calabrese è circolata per un lungo periodo storico, circola ancora oggi ed è dura a morire. Pochi magistrati e intellettuali l’hanno contrastata. Nonostante tutto quello che è successo sono ancora molti quelli che stentano a credere che nella criminalità operante in Lombardia, in Piemonte, in Liguria, in Valle d’Aosta, nel Lazio, in Emilia-Romagna la ‘ndrangheta sia l’organizzazione prevalente e dominante; o che essa sia riuscita a soppiantare cosa nostra nei traffici di droga arricchendosi enormemente. Quando la bufera dei collaboratori squassò Cosa nostra, la ‘ndrangheta ne rimase al riparo proprio per la struttura familiare che ne reggeva l’impianto organizzativo. Quella modalità di affiliazione considerata arretrata e folcloristica aveva funzionato come un formidabile scudo protettivo. La ‘ndrangheta è rimasta fedele alle sue origini - legata al territorio, con struttura familiare - ma ha saputo trasformarsi e rinnovarsi.

Continuità e trasformazione: ecco il segreto. Ed è qui che bisogna colpirla usando, tra gli altri strumenti, la cultura e la confisca dei beni.

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