SICILIA: IL PENTITO CAMPANELLA E I SINDACI

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INES TABUSSO
00mercoledì 8 marzo 2006 20:13
CORRIERE DELLA SERA
8 marzo 2006
Palermo, il blitz dopo le dichiarazioni del pentito Campanella. Coinvolti gli ex primi cittadini di Villabate e Catania
Clan di Provenzano, arrestati manager e politici
L’indagine sul centro commerciale da 200 milioni. Una festa per il rientro del boss da Marsiglia
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI

PALERMO - Da una parte, i mafiosi di Villabate, gli stessi che nel 2003 organizzarono viaggi e ricovero di Bernardo Provenzano a Marsiglia, festeggiandone il ritorno e, come si scopre adesso, prenotandogli per il 22 novembre di quell’anno una suite al Jolly di Palermo con le vetrate sulla marina e su Montepellegrino. Dall’altra, insospettabili manager romani come Pierfrancesco Marussig e Giuseppe Daghino, dinamici uomini d’affari pronti a sventolare il «codice etico» della loro società, la Asset, ma anche a pilotare un appalto poi sfumato da 200 milioni di euro per un mega centro commerciale ideato con i boss del paese incollato alla periferia palermitana, la cosca di Nino Mandalà, noto in zona come «l’avvocato», patron di uno dei primi club di Forza Italia poi sciolto dal partito.
Sono loro tre dei 18 personaggi fra i quali un ingegnere, due architetti, due ex sindaci ed una sfilza di gregari finiti in manette ieri fra Palermo, Roma, Catania, Modena e Ravenna. Un blitz scaturito dalle rivelazioni fatte un mese fa al processo su Totò Cuffaro e le «talpe» dal pentito Francesco Campanella, il «Cagliostro» che s’è diviso fra politica e mafia inaugurando una nuova stagione, quella della «mafia che si fa antimafia».
Tutto ruota attorno a delibere, varianti ed appalti manovrati piegando un’intera amministrazione comunale, a cominciare dall’ex sindaco Lorenzo Carandino, anche lui arrestato ieri, come egli stesso temeva da quando Campanella ha raccontato di quel bollo falsificato sulla carta di identità utilizzata da Provenzano. Si sentiva sicuro il sindaco di Villabate. Anche perché con Campanella allora organizzava i comitati per la legalità ingannando perfino una madrina dell’antimafia come Cristina Matranga, posta al vertice di una «consulta», e premiando il famoso «Capitano Ultimo» con una cittadinanza onoraria consegnata al suo interprete televisivo, Raoul Bova. Tutti fotografati allo stesso tavolo.
Così, usando le parole dell’antimafia, questi spregiudicati protagonisti della metamorfosi di Cosa Nostra provavano a rigenerare la loro cosca puntando ad una tangente di 300 milioni delle vecchie lire. Lo stesso Campanella ne avrebbe discusso con Marussig, a sua volta pronto ad ostentare le sue credenziali eccellenti, perfino la presunta intesa con un grande editore, organizzando cene con imprenditori, giornalisti ed esponenti della società civile, «molti dei quali in perfetta buona fede», come assicurano i pm Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino, Maurizio De Lucia e Nino Di Matteo.
Per molti Marussig e Daghino erano maghi della finanza capaci di far nascere un polo commerciale da mille posti di lavoro, con 120 negozi, parcheggi per 10 mila auto e 10 sale cinematografiche. Ma per Campanella lui e Daghino erano gli uomini da spremere con pagamenti «estero su estero». Attraverso una finanziaria di Catania, la Esves, società di Angelo Francesco Lo Presti, un ex sindaco socialdemocratico della città dell’Etna, anch’egli arrestato ieri per avere camuffato l’operazione attraverso una collegata maltese, la «TLC Innovation & Trade ltd». Secondo l’accusa, avevano cominciato con una prima tranche da 25.000 euro, pagamento di una fantasiosa consulenza affidata ad un prestanome, Matteo D’Asaro, un commerciante ortofrutticolo col bancone al mercato del paese.
Prova di un’arroganza che campeggia nei profili di altre pedine di questa storia pilotata dai fiancheggiatori di Provenzano falsificando perfino una delibera dell’Anas. Tutto per garantire il via libera al polo commerciale da piazzare su terreni agricoli con i nulla osta della Regione. Come Campanella sostiene parlando di una tangente chiesta da Cuffaro («Cinque miliardi delle vecchie lire») e di presunti avalli alle variazioni del piano regolatore offerti da Renato Schifani, il capo gruppo al Senato di Forza Italia. Ma questo è un capitolo appena sfiorato di un’inchiesta che prosegue.
Felice Cavallaro


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Quell’intreccio tra sindaci e Cosa Nostra nei paesi dove si nasconde il capo dei capi
Cosche e Istituzioni
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI

PALERMO - Il capomafia - o presunto tale, ché finora ci sono solo accuse - indossa un maglioncino girocollo color arancio, pantaloni marroni, occhiali dalla montatura leggera. Pochi capelli bianchi, pizzetto bianco, orecchie pronunciate. Aria accigliata, braccia conserte. L’hanno arrestato all’alba e al pomeriggio si presenta nell’aula del tribunale dov’è imputato per altri fatti, sempre di mafia. A sera tornerà in cella. Nino Mandalà, professione avvocato, 67 anni da compiere tra qualche giorno, è indicato come capo della famiglia mafiosa di Villabate, comune alle porte di Palermo. Dieci anni fa fondò un club di Forza Italia, e in tribunale siede a pochi metri dal coimputato Gaspare Giudice, deputato dello stesso partito (due legislature alle spalle, una terza in vista con le prossime elezioni), pure lui accusato di associazione mafiosa.
Insieme a Mandalà i carabinieri ieri hanno arrestato anche l’ex sindaco di Villabate Lorenzo Carandino, di cui il neo-pentito Francesco Campanella (già presidente del consiglio comunale) ha detto: «Prima di candidarlo, Mandalà mi disse che lo voleva incontrare e voleva fargli capire che c’era questo placet e questa autorizzazione, diciamo... Abbiamo fatto un incontro al ristorante-bar "La Rotonda" di Casteldaccia e ci siamo visti io, il Mandalà e il Carandino, e lì il Mandalà gli disse che avevamo scelto lui come candidato...».
La vicenda del Comune di Villabate è solo l’ultimo capitolo della storia dei rapporti tra mafia e politica nella provincia di Palermo, centri più o meno grandi tra il mare e le montagne dove gravitava e probabilmente gravita ancora il super-boss Bernardo Provenzano, latitante da oltre 40 anni. Una storia che ha cominciato a raccontare, a metà del 2002, il pentito Nino Giuffrè e che i pubblici ministeri di Palermo De Lucia, Di Matteo, Prestipino e Sava, coordinati dai procuratori aggiunti Lari e Pignatone e prima dall’attuale procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, hanno scritto e riscontrato sollevando il velo sulle amministrazioni colluse con le cosche. Un modo di affrontare i rapporti tra Cosa Nostra e le istituzioni partendo dal basso, che però è già arrivato alla porta del governatore della Regione Totò Cuffaro, imputato di favoreggiamento dell’organizzazione mafiosa. A queste relazioni pericolose si riferiva, pochi mesi fa, il procuratore Grasso quando denunciò: «La latitanza di Provenzano è coperta da rappresentanti delle professioni, politici, imprenditori e forze di polizia».
A pochi chilometri da Villabate c’è Bagheria, dove il sindaco Fricano, passato dai Ds all’Udeur, eletto in una lista civica, è indagato per concorso in associazione mafiosa. S’era scelto come consigliere Campanella, che gli portava «in dote» i suoi rapporti con Nino Mandalà. Ora una commissione prefettizia approfondirà eventuali infiltrazioni delle cosche, come pure a Cerda, dov’è sindaco un agente di polizia che s’è presentato con Forza Italia, Lillo Dionisi. Di lui ha parlato la pentita Carmela Iuculano, moglie e grande accusatrice del boss Pino Rizzo, la quale ha descritto uno strano intreccio: alle elezioni suo marito e suo zio appoggiavano un altro candidato sindaco, ma «di nascosto» Pino Rizzo aiutava il fratello della Iuculano (a sua volta imputato di mafia) «che poi è andato a fare il consigliere comunale con la lista di Dionisi».
A metà strada tra Bagheria e Cerda, affacciata sul mare c’è Trabia. Lì il mese scorso è stato arrestato l’ex sindaco Giuseppe di Vittorio, di Forza Italia, sempre con la stessa accusa: concorso esterno nell’attività di Cosa Nostra. Di lui il pentito Giuffrè ha detto che «si tratta di persona a noi vicina». Ma dei rapporti di Di Vittorio con la famiglia mafiosa di Trabia parlò anche - nel 2001, senza sapere di essere intercettato - il boss mafioso Diego Rinella, che disse a un interlocutore: «È un amico innanzitutto... era stato deposto per infiltrazione quando ci fu il commissariamento... Lo abbiamo riproposto ed è salito...». E ancora: «Ho portato il sindaco là sopra, gli ho detto questa strada di qua, la vedi com’è? Perché non vedete di fare l’allargamento di questa minchia di strada... Gli ho detto, tanti soldi da spendere, perché non si fa? E l’ho convinto».
Scendendo a sud, nell’entroterra, si arriva a Vicari. Negli uffici del Comune, dieci giorni fa, i carabinieri hanno sequestrato documenti su appalti e altre attività nell’ambito di un’inchiesta in cui è indagato l’ex sindaco Biagio Todaro, eletto in una lista civica sostenuta dal centrodestra. Lì il capomafia, secondo inquirenti e giudici, è Salvatore Umina, che in un colloquio intercettato nel luglio 2003 si lamenta che Todaro e la sua amministrazione affidano troppi appalti all’imprenditore Francesco Dolce (anch’egli accusato di collusione con le cosche): «L’unico che lavora sempre è Ciccio Dolce... questa amministrazione ha solo Ciccio Dolce... Però glielo devi dire, o la finite o vi saluto, devi dire... E alle prossime elezioni ci vediamo, poi...».
A Roccamena invece, un po’ più a ovest, il 7 gennaio è stato arrestato il sindaco in carica, Salvatore Gambino, «per avere mantenuto molteplici contatti con Cascio Bartolomeo, finalizzati alla gestione illecita degli appalti del Comune»; Cascio, a sua volta, è finito in carcere «per avere organizzato e diretto la famiglia mafiosa di Roccamena». Nella sua stanza il sindaco (che risultava eletto con l’Udc, anche se il partito ha negato l’iscrizione) teneva una pistola. In una telefonata del febbraio 2003, quando Gambino era vicesindaco, l’altro indagato per appartenenza alla mafia Franco Diesi gli si rivolge in termini piuttosto perentori: «Tu mi dici che il sindaco sale sicuro domattina? Perché io ho una scadenza, e mi dovete firmare una carta, tu e lui pure... Hai capito?».
Giovanni Bianconi


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