Sulla «pregiudiziale amministrativa»

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marco panaro
00venerdì 10 agosto 2007 12:57
Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna, sezione staccata di Parma (Sezione Prima), sentenza 432/2007
Con le ordinanze n. 13659, 13660 e 13911, tutte del 2006, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite perviene a conclusioni opposte rispetto al Consiglio di Stato e al preponderante indirizzo seguito – in conformità alla citata sentenza dell’Adunanza Plenaria – dai Tribunali Amministrativi regionali, ritenendo possibile la proposizione di un’azione risarcitoria “pura” nei confronti della P.A. dinanzi al giudice amministrativo.
A siffatto risultato le Sezioni Unite pervengono sulla base di un’interpretazione dell’art. 7 della L. n. 205 del 2000 secondo la quale “…il legislatore di fine secolo non ha inteso ridurre la tutela risarcitoria al solo profilo di completamento di quella demolitoria, ma l’ha riconosciuta con i caratteri propri del diritto al risarcimento del danno..”.

Ritiene il Collegio che tale argomentazione non possa essere condivisa sia perché la stessa non sembra trovare alcun fondamento nel chiaro contenuto della disposizione sia perché la stessa si pone in assoluto contrasto con quanto statuito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 204 del 2004, laddove, come si è detto, il giudice delle leggi ha chiarito che l’azione risarcitoria prevista dall’art. 7 L. n. 205 del 2000 “…non costituisce sotto alcun profilo una nuova materia attribuita alla sua giurisdizione, bensì uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione.”
ferrari.m
00venerdì 10 agosto 2007 13:18
Questo si che è ragionare!
[SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811]
marco panaro
00venerdì 10 agosto 2007 21:29
Testardo il tuo TAR [SM=g27827]
ferrari.m
00sabato 11 agosto 2007 09:25
La testardaggine mi sembra supportata da un ragionamento perfettamente logico sulla base di una sentenza della Corte costituzionale. [SM=g27811]
Direi che la differenza di vedute che si riscontra tra tar e cassazione è quella tipica delle due magistrature, più "formale" quella amministrativa e più "sostanziale" quella ordinaria.
lillo1
00domenica 26 agosto 2007 16:22
oddio. mi pare che il tar parma citato non faccia altro che ribadire una giurisprudenza costante del consiglio di stato su questo punto. e cioè, che il risarcimento è riconoscibile solo previa impugnazione (ed annullamento) del provvedimento lesivo..
o non ho capito niente? [SM=g27833]
Giuseppe Debenedetto
00domenica 26 agosto 2007 20:24
Re:
lillo1, 26/08/2007 16.22:

oddio. mi pare che il tar parma citato non faccia altro che ribadire una giurisprudenza costante del consiglio di stato su questo punto. e cioè, che il risarcimento è riconoscibile solo previa impugnazione (ed annullamento) del provvedimento lesivo..
o non ho capito niente? [SM=g27833]




Si, ma ci sono due elementi nuovi che occorre considerare:
1) il TAR Parma si discosta dalle 3 decisioni della Cassazione a sezioni unite, rese in materia di giurisdizione (da tenere conto che nel nostro ordinamento la Cassazione è l'organo istituzionalmente deputato a dirimere questioni che riguardano il diritto oggettivo nazionale), quindi l'azione potrebbe sembrare temeraria (in realtà altri TAR e la 4^ sez. del Consiglio di Stato hanno fatto altrettanto);
2) non possiamo più parlare di giurisprudenza "costante" del Consiglio di Stato poichè la V^ sezione (sentenza n. 2822 del 31/5/2007) è di contrario avviso: quindi sembra che si cominci a sgretolare il monolitico orientamento dei giudici di Palazzo Spada.

Personalmente non riesco a condividere le decisioni delle Sezioni Unite del 2006: saranno più attente alle esigenze dei cittadini, ma di fatto espongonono le amministrazioni a richieste di risarcimento danni "sine die"; poi, secondo me non è questione di giurisdizione, ma di carenza di presupposto per proporre ricorso (cioè, in assenza di preventivo annullamento dell'atto illegittimo, manca l'ingiustizia del danno).
Comunque, basta leggere le numerose sentenze dei TAR per capire che la questione è estremamente delicata.
Attendiamo fiduciosi il responso dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (che, a quanto pare, è stata adita dal CGARS con un'ordinanza di marzo 2007).
ferrari.m
00domenica 26 agosto 2007 20:32
La sentenza ribadisce l'orientamento del Consiglio di Stato, ma soprattutto smentisce l'orientamento abbastanza consolidato della Cassazione.

Ti incollo la sentenza:
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SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 230 del 2004, proposto da:
Pettenati Gian Franco, rappresentato e difeso dall'avv. Lorenza Santella, con domicilio eletto presso lo studio della medesima, in Parma, via N.Sauro n.11;
contro
Comune di Noceto, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Roberto Ollari, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo, in Parma, borgo Zaccagni, n.1;
per l'accertamento
del diritto del ricorrente ad ottenere il risarcimento del danno subito a causa del comportamento tenuto dal Comune di Noceto, in relazione al procedimento conclusosi con la mancata approvazione, da parte dell’Amministrazione Provinciale di Parma , della parte di variante parziale al P.R.G. comunale in cui si modificava, come richiesto dalla ricorrente al Comune, la destinazione urbanistica di un terreno in precedenza acquistato dalla ricorrente al fine di costruirvi un capannone per la propria attività commerciale.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Noceto;
Viste le memorie difensive presentate dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, all'udienza pubblica del giorno 05/06/2007, il dott. Umberto Giovannini e uditi, per le parti, i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con il presente ricorso, uno dei comproprietari di un terreno ubicato nel Comune di Noceto svolge azione per il risarcimento dei danni che il medesimo ritiene di avere subito a causa del comportamento omissivo tenuto dalla civica amministrazione nel corso dell’iter procedimentale di variante parziale al P.R.G..
Il Comune, in sede di adozione della suddetta variante, introduceva la modificazione della destinazione urbanistica della suddetta area in precedenza richiesta dal ricorrente, ma tale procedimento, tuttavia, non giungeva a buon fine, poiché l’Amministrazione Provinciale di Parma non approvava tale modificazione.
Sostiene il ricorrente di essere titolare, in quanto comproprietario dell’area in questione, un interesse legittimo pretensivo all’approvazione della variante al P.R.G., per la parte in cui il Comune, nell’adottarla, aveva recepito la sua richiesta di modificarne la classificazione urbanistica.
Sulla base di tale premessa, l’interessato sostiene che il Comune, al fine dell’approvazione di tale parte della variante e dell’assentimento della successiva richiesta di permesso di costruire inerente la realizzazione di un capannone per svolgervi la propria attività di commercio di prodotti per la zootecnia, avrebbe dovuto tenere un comportamento improntato a diligenza e correttezza per tutto il corso dell’iter procedimentale.
Tale condotta, invece, non ha avuto luogo, stante che la Provincia non ha approvato la parte di variante di interesse del ricorrente che pure era stata recepita dal Comune in sede di adozione della variante stessa, affermandone l’inopportunità sul piano urbanistico e paesaggistico.
Ritiene il ricorrente che la Provincia, qualora il Comune si fosse effettivamente attivato disponendo i più opportuni accorgimenti per mitigare l’impatto ambientale dell’intervento e riducendone altresì l’area interessata dalla realizzazione del capannone, avrebbe approvato anche tale parte della variante adottata.
Il Comune, invece, pur accogliendo, in sede di controdeduzioni, la valutazione espressa dalla Provincia, in realtà non ha poi provveduto di conseguenza, predisponendo adeguate misure di mitigazione ambientale dell’intervento.
In definitiva, il ricorrente sostiene che, a causa di tale comportamento inerte del Comune, l’Amministrazione Provinciale sia stata costretta a stralciare la richiesta di modificazione presentata dal ricorrente.
A dire dell’interessato, l’inadempimento del Comune risulta ancora più grave, alla luce del fatto che lo stesso si era già auto – vincolato, con la precedente risposta positiva datagli riguardo alla conformità della modificazione richiesta in relazione alla normativa urbanistica comunale e regionale.
Gli ulteriori accertamenti richiesti al Comune non sono stati effettuati dall’Ente, dato che la Provincia ha dovuto formulare una ulteriore richiesta integrativa concernente una valutazione d’impatto ambientale che, logicamente, già avrebbe dovuto corredare l’istanza.
In definitiva, il comportamento assunto dal Comune di Noceto non risulta conforme ai principi di correttezza, efficienza e buona amministrazione, posto che dopo avere dato prevalenza all’interesse del ricorrente inserendo la modificazione da questi proposta nella variante adottata, non ha poi coltivato tale interesse con la dovuta diligenza, facendo conseguentemente prevalere l’interesse pubblico primario.
L’omissione colposa, da parte del Comune, di una propria attività connotata da discrezionalità amministrativa, rende ammissibile la richiesta risarcitoria del danno derivante dalla illegittima lesione dell’interesse legittimo del ricorrente.
La richiesta del ricorrente risulta inoltre ammissibile alla luce dell’orientamento inaugurato dalla Corte di cassazione SS.UU. con la sentenza n. 500 del 1999, che ha ritenuto non necessario, a tale fine, che il soggetto che intenda agire in sede giurisdizionale per ottenere tutela risarcitoria per la lesione di un proprio interesse legittimo, abbia tempestivamente chiesto ( e poi dal giudice amministrativo ottenuto) l’annullamento del provvedimento ritenuto illegittimo.
Nel caso di specie, infine, il comportamento omissivo tenuto dal Comune ha evidente caratterizzazione colposa.
Dagli atti depositati emerge infatti che l’Amministrazione Comunale fin dall’inizio non abbia corredato dalla necessaria attività istruttoria l’istanza del ricorrente e che, dopo la valutazione espressa dalla Provincia, la stessa non abbia dato riscontro alcuno alla richiesta di attivazione proveniente dall’ente provinciale.
Per quanto concerne la quantificazione del danno subito, il ricorrente ritiene che essa debba essere effettuata in base ai principi fissati dall’art. 1223 cod. civ., tenendo quindi conto sia della perdita subita che del mancato guadagno.
L’Amministrazione Comunale intimata, costituitasi in giudizio, in via pregiudiziale chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile per non avere il ricorrente impugnato “in parte qua” la deliberazione della giunta provinciale di Parma che ha approvato la variante parziale al PRG di Noceto e perché il ricorso non è stato notificato all’Amministrazione Provinciale di Parma.
Nel merito, il Comune chiede che la pretesa risarcitoria sia respinta, in quanto il comportamento tenuto dalla stessa amministrazione nel corso del procedimento in oggetto è sempre stato rispettoso delle norme sostanziali e procedimentali in materia di approvazione dello strumento urbanistico generale e delle varianti allo stesso.
Pertanto, ritiene l’Amministrazione Comunale che nessun comportamento colposo e “contra jus” sia ad essa ascrivibile, con conseguente infondatezza della pretesa risarcitoria.
Alla pubblica udienza del 5/6/2007 la causa è stata chiamata e, quindi, essa è stata trattenuta per la decisione, come da verbale.

DIRITTO

La presente controversia concerne una richiesta di risarcimento del danno c.d.“pura”, in quanto non collegata con vincolo di strumentalità ad un’azione principale di tipo impugnatorio.

Nella fattispecie in esame, uno dei comproprietari di un terreno ubicato in Comune di Noceto aziona la pretesa risarcitoria nei confronti della civica amministrazione, imputandole un comportamento omissivo connotato da scorrettezza e negligenza nel corso dello svolgimento dell’iter procedimentale relativo all’approvazione di una variante parziale al P.R.G. comunale.

La presente vicenda contenziosa trae origine dalla richiesta del ricorrente e degli altri comproprietari della suddetta area di modificare la destinazione urbanistica dell’area stessa al fine di potervi costruire un capannone per l’esercizio di attività commerciale di prodotti zootecnici.

Il Consiglio Comunale di Noceto, non ravvisando ostacoli a detta modificazione nel contesto della normativa urbanistica ed edilizia locale, recepiva la richiesta dei proprietari nella deliberazione di adozione della variante.

L’Amministrazione Provinciale di Parma, tuttavia, in sede di approvazione della variante, stralciava la parte d’interesse del ricorrente.

Da qui il ricorso in esame, incentrato sul preteso comportamento omissivo e negligente del Comune che, in una prima fase non avrebbe svolto la necessaria approfondita istruttoria riguardo all’impatto ambientale che detta modificazione di destinazione urbanistica avrebbe avuto sulla zona “de qua” ed in una seconda fase non avrebbe provveduto ad individuare e realizzare le misure di mitigazione ambientale che la Giunta Provinciale, pur stralciando “in parte qua” la variante adottata dal Comune, avrebbe tuttavia indicato al fine di una successiva approvazione della modificazione di destinazione urbanistica della zona.

Il Collegio deve osservare, condividendo, sul punto, la pertinente eccezione sollevata dall’Amministrazione Comunale resistente, che il ricorso è inammissibile, non avendo provveduto il ricorrente ad impugnare, con ordinario ricorso di annullamento, i provvedimenti direttamente lesivi della propria situazione giuridica e che possono individuarsi nella deliberazione della Giunta Provinciale di Parma che non ha approvato la parte di variante al P.R.G. comunale che conteneva la modificazione di destinazione urbanistica dell’area di cui il ricorrente è comproprietario.

E’ evidente, pertanto, che non possa essere seguita l’impostazione prospettata dall’interessato che, forzatamente ignorando la palese portata lesiva di detta deliberazione per la propria situazione giuridica, tenta di spostare il fulcro della propria pretesa risarcitoria sul ritenuto comportamento negligente ed omissivo tenuto dal Comune sia in sede di adozione della variante, sia successivamente in sede di valutazione delle motivazioni per le quali la Giunta Provinciale non ha approvato la parte di variante d’interesse per il ricorrente.

Il Collegio ritiene che, sulla base di quanto disposto dall’art. 7 della L. n. 205 del 2000 e del costante e del tutto condiviso indirizzo della giurisprudenza amministrativa sulla questione relativa alla c.d. “pregiudiziale amministrativa”, non possa ritenersi ammissibile una azione risarcitoria in riferimento alla quale, come è avvenuto nel caso in esame, il soggetto che chiede di essere risarcito da un danno derivante dalla ritenuta lesione di un proprio interesse legittimo da parte di un provvedimento della P.A. non abbia tempestivamente impugnato detto provvedimento dinanzi al giudice

Innanzitutto occorre rilevare che nel vigente sistema di giustizia amministrativa, nel quale sono previsti rigidi termini per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi ed è tassativamente preclusa - ad eccezione dei regolamenti – la possibilità per il giudice amministrativo di disapplicare tutti gli altri atti amministrativi, non è consentito un accertamento “incidenter tantum” – ai soli fini di un giudizio risarcitorio – sulla legittimità dell’atto amministrativo.

A ciò consegue che l’azione risarcitoria risulterà ammissibile e resterà procedibile solo a condizione che sia stato tempestivamente impugnato il provvedimento ritenuto illegittimo e che, all’esito del giudizio impugnatorio il giudice abbia annullato lo stesso.

Inoltre, il vigente ordinamento come risultante dall’introduzione dell’art. 23 bis e dalla modifica dell’art 7, comma 3, ad opera della L. n. 205 del 2000, configura l’azione di risarcimento del danno derivante da lesione di interessi legittimi ad opera della P.A. quale forma di tutela del cittadino nei confronti dell’amministrazione ulteriore rispetto a quella ordinaria diretta all’annullamento dell’atto amministrativo illegittimo, con conseguente sussistenza “ope legis” di vincolo di strumentalità tra la subordinata azione risarcitoria e la principale azione impugnatoria.

Tale inquadramento dell’azione risarcitoria nel contesto del processo amministrativo è stato condiviso anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 204 del 2004, laddove la Consulta nel ridefinire i confini del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, ha precisato che il risarcimento del danno nei confronti della P.A. previsto dall’art. 7 della L. n. 205 del 2000 non costituisce una nuova materia di giurisdizione esclusiva attribuita alla cognizione di quest’ultimo ma costituisce “..uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione”.

L’azione risarcitoria ex art 7 L. n. 205 del 2000 è, quindi, anche nella interpretazione del giudice delle leggi, strumento di completamento di quella tutela che il giudice amministrativo appresta, in via principale, mediante l’annullamento del provvedimento impugnato.

La suddetta disposizione è stata invece di recente interpretata diversamente dalle SS.UU. della Corte di Cassazione.

Con le ordinanze n. 13659, 13660 e 13911, tutte del 2006, la Corte a Sezioni Unite perviene a conclusioni opposte rispetto al Consiglio di Stato e al preponderante indirizzo seguito – in conformità alla citata sentenza dell’Adunanza Plenaria – dai Tribunali Amministrativi regionali, ritenendo possibile la proposizione di un’azione risarcitoria “pura” nei confronti della P.A. dinanzi al giudice amministrativo.

A siffatto risultato le Sezioni Unite pervengono sulla base di un’interpretazione dell’art. 7 della L. n. 205 del 2000 secondo la quale “…il legislatore di fine secolo non ha inteso ridurre la tutela risarcitoria al solo profilo di completamento di quella demolitoria, ma l’ha riconosciuta con i caratteri propri del diritto al risarcimento del danno..”.


Ritiene il Collegio che tale argomentazione non possa essere condivisa sia perché la stessa non sembra trovare alcun fondamento nel chiaro contenuto della disposizione sia perché la stessa si pone in assoluto contrasto con quanto statuito dalla Corte Costituzionale con la citata sentenza n. 204 del 2004, laddove, come si è detto, il giudice delle leggi ha chiarito che l’azione risarcitoria prevista dall’art. 7 L. n. 205 del 2000 “…non costituisce sotto alcun profilo una nuova materia attribuita alla sua giurisdizione, bensì uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione.”


Si deve infine rilevare che, alla accertata inammissibilità del presente gravame per mancata impugnazione della deliberazione della Giunta Provinciale di Parma relativa alla approvazione della variante al P.R.G. del Comune di Noceto consegue ulteriormente un ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso derivante dal fatto che lo stesso non è stato notificato alla suddetta Amministrazione Provinciale.

Il Collegio ritiene, tuttavia, in considerazione del suddetto opposto orientamento della Corte di Cassazione SS.UU. sulla questione della c.d. “pregiudiziale amministrativa”, che sussistano giusti motivi per compensare integralmente, tra le parti, le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale dell’Emilia – Romagna, Sezione Staccata di Parma, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 230 del 2004, di cui in epigrafe, lo dichiara inammissibile.

Spese Compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 5 giugno 2007 con l'intervento dei signori:

Ugo Di Benedetto, Presidente

Umberto Giovannini, Consigliere, Estensore

Italo Caso, Consigliere
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lillo1
00domenica 26 agosto 2007 21:17
la sentenza l'avevo letta, e proprio per questo non capivo dove stesse la novità (rispetto alla giurisprudenza amministrativa, ovviamente)
come dice debeppe la questione è delicata, oltre che molto rilevante da punto di vista sostanziale.
condivido le sue perplessità rispetto alle posizioni della cassazione, a cui aggiungerei, come elementi di debolezza, il rischio del contrasto di giudicati e la impossibilità di assicurare il contraddittorio nel caso di causa per il mero risarcimento del danno senza impugnazione del provvedimento lesivo.
forse mi sbaglio, ma leggendo le sentenze della cassazione in materia, mi pare che si stia tentando una progressiva erosione della sfera di competenza del giudice amministrativo, da sempre labile per le note difficoltà a distinguere diritti soggettivi da interessi legittimi... chissà che prima o poi non si arrivi ad abolire la suddivisione tra magistratura amministrative e ordinaria (ovviamente previa modifica della costituzione)?
ferrari.m
00domenica 26 agosto 2007 22:42
Ho iniziato a scrivere il mio intervento quando ancora quello di De Benedetto non era inserito... [SM=g27813]
lillo1
00giovedì 30 agosto 2007 22:51
devo rileggerla per bene (è storia lunga e complicata) ma mi pare che l'adunanza plenaria del cds (sentenza n. 10 del 30 luglio 2007) ribadisca con buone argomentazioni la validità della pregiudiziale amministrativa. oltre a riassumere efficemente i principi cardine della questione.

(...)
Il giudice amministrativo è diventato il giudice del risarcimento del danno arrecato dall’illegittimo esercizio della funzione pubblica, innanzi al quale sono concentrate sia la domanda annullatoria che quella risarcitoria. Ciò a seguito dell’art. 7 della l. n. 205/2000, il quale, sostituendo il primo periodo del comma 3 dell’art. 7 della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, ha previsto che “Il tribunale amministrativo regionale, nell'àmbito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali”.
Nella fattispecie per cui è causa è accaduto che il Comune si è immesso nella detenzione di beni privati in virtù di un provvedimento di requisizione, manifestazione di esercizio di potere, che riconosceva alla requisizione “validità temporanea” di dodici mesi. Una volta scaduto il termine i beni non sono stati riconsegnati alla società proprietaria, avendo il Comune continuato a persistere nell’occupazione.
La detenzione, avvenuta in virtù del provvedimento, è continuata con le stesse modalità e i medesimi contenuti di prima. Tanto è vero che il Comune risulta avere corrisposto, sino al 31 dicembre 2002, un’indennità per l’utilizzo dei locali in questione; sia per il periodo iniziale di dodici mesi sia per il periodo successivo e sempre in misura corrispondente all’importo dell’indennità di requisizione, a sua volta definita, con la citata deliberazione consiliare n. 207/2001, applicando il valore di mercato (si veda quanto esposto dal Comune di Palermo alle pagine 7 e 15 del primo ricorso in appello principale).
Ciò che arreca danno è la complessiva condotta in esecuzione del provvedimento impugnato, atteso che anche la condotta successiva alla scadenza del termine di dodici mesi trova occasione, collegamento e sviluppo nel medesimo provvedimento, come emerge con chiarezza dalle premesse dello stesso riportate al paragrafo 5.1. della presente decisione. Così che l’illecito consegue pur sempre all’adozione del provvedimento illegittimo da parte dell’amministrazione, anzi avviene proprio in virtù dello stesso; e, collegandosi la tutela risarcitoria a quella della situazione soggettiva incisa dal provvedimento amministrativo illegittimo, si rapporta alla lesione di una situazione di interesse legittimo che fa da contraltare all’esercizio del potere.
Inoltre, una volta annullato il provvedimento impugnato a seguito dell’accertata illegittimità del potere, la situazione di abusiva occupazione non resta limitata al periodo successivo ai dodici mesi ma si verifica dall’inizio, dato che, a causa dell’effetto retroattivo dell’annullamento giurisdizionale, il titolo autorizzativo all’occupazione è come se non fosse mai intervenuto. Tra l’altro, nella specie, la situazione di abusiva occupazione si era verificata già nel corso del giudizio di primo grado, avendo il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sede di Palermo, sezione seconda, con le ordinanze 1° aprile 1999, nn. 618 e 619, sospeso il provvedimento impugnato a meno di due mesi dalla sua esecuzione.
Il fatto illecito, quindi, si concretizza astrattamente e unitariamente in una situazione di abusiva occupazione che si verifica sin dal momento in cui il Comune, per effetto dell’ordinanza di requisizione, si è immesso nella detenzione dei beni e i danni conseguono pur sempre all’esercizio del potere.
Si tratta di situazione unitaria e con riguardo alla quale era stata presentata, da ciascuna delle società ricorrenti in primo grado, una domanda annullatoria e un’unica domanda risarcitoria per tutti i danni conseguenti all’illegittima apprensione del bene.
La circostanza per cui la presente controversia ha a oggetto in via primaria la contestazione del provvedimento di requisizione, la differenzia da quella esaminata dalla Cassazione (civ., sez. un., 3 luglio 2006, n. 15203), la quale, con riferimento a una domanda di restituzione del terreno requisito e di risarcimento del danno per il protrarsi dell'occupazione, ha ritenuto la giurisdizione del giudice ordinario ove, per la scadenza del termine stabilito dall'ordinanza di requisizione, essa sia divenuta inefficace; ma proprio perché il provvedimento di requisizione, non essendo stato impugnato, non era in contestazione e la controversia non aveva a oggetto atti o provvedimenti amministrativi.

Esigenze di concentrazione innanzi a un unico giudice dell’intera tutela del cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica oltre che di effettività della tutela giurisdizionale (costituzionalmente garantite: artt. 24 e 111 della cost.), su cui si fonda l’attribuzione alla giurisdizione del giudice amministrativo della tutela risarcitoria (evidenziate da Corte cost. n. 191/2006 e da Cass. civ., sez. un., 31 marzo 2005, n. 6745 e 22 luglio 1999, n. 500), inducono a non “spezzettare” la domanda risarcitoria - unica, fondata su medesimi presupposti e conseguente a fattispecie unitaria di illecito - attribuendola a due giudici diversi con riguardo solo a differenti periodi temporali. Diversamente opinando si penalizzerebbe il soggetto leso dal provvedimento limitativo, il quale dovrebbe adire il giudice amministrativo per conseguire l’annullamento dell’ordinanza di requisizione e i danni contestuali, nonché il giudice ordinario per chiedere il risarcimento conseguente alla successiva detenzione illecita.

L’adunanza plenaria ritiene che quanto statuito dalla stessa sia anche in sintonia con la recente evoluzione giurisprudenziale e, in particolare, con le seguenti affermazioni:

a) <> (Corte cost. n. 204/2004);

b) la giurisdizione del giudice amministrativo resta in ogni caso delimitata dal collegamento con l'esercizio in concreto del potere amministrativo secondo le forme tipiche previste dall'ordinamento: ciò sia nella giurisdizione esclusiva che nella giurisdizione di annullamento (Corte cost. n. 204/2004);

c) "al precedente sistema che, in considerazione della natura intrinseca di diritto soggettivo della situazione giuridica conseguente all'annullamento del provvedimento amministrativo, attribuiva al giudice ordinario le controversie sul risarcimento del danno conseguente all'annullamento di atti amministrativi (così l’art. 35, comma 5, del d.lgs. n. 80 del 1998, come modificato dall’art. 7, lettera c della legge n. 205 del 2000), il legislatore ha sostituito (appunto con l'art. 35 cit.) un sistema che riconosce esclusivamente al giudice naturale della legittimità dell'esercizio della funzione pubblica poteri idonei ad assicurare piena tutela, e quindi anche il potere di risarcire, sia per equivalente sia in forma specifica, il danno sofferto per l'illegittimo esercizio della funzione" (Corte cost. n. 191/2006);

d) “la tutela giurisdizionale contro l'agire illegittimo della pubblica amministrazione spetta al giudice ordinario, quante volte il diritto del privato non sopporti compressione per effetto di un potere esercitato in modo illegittimo o, se lo sopporti, quante volte l'azione della pubblica amministrazione non trovi rispondenza in un precedente esercizio del potere, che sia riconoscibile come tale, perchè a sua volta deliberato nei modi ed in presenza dei requisiti richiesti per valere come atto o provvedimento e non come mera via di fatto”. Non si verifica il collegamento con l’esercizio del potere “quando l'amministrazione agisca in posizione di parità con i soggetti privati, ovvero quando l'operare del soggetto pubblico sia ascrivibile a mera attività materiale, con la consapevolezza che si verte in questo ambito ogni volta che l'esercizio del potere non sia riconoscibile neppure come indiretto ascendente della vicenda” (Cass. civ., sez. un., 15 giugno 2006, n. 13911, nonché 13 giugno 2006, nn. 13660 e 13659);

e) il venire meno, per annullamento giurisdizionale, di atti che sono espressione di una posizione di autorità, non rende rilevanti solo come comportamenti gli effetti “medio tempore” prodottisi in loro esecuzione, ma determina la concentrazione della cognizione dinanzi allo stesso giudice amministrativo, il quale verifica il corretto esercizio del potere (Cons. Stato, ad. plen., n. 2/2006);

f) va considerata come controversia riconducibile all'esplicazione del pubblico potere qualunque lite suscitata da lesioni del diritto di proprietà provocate dall’esecuzione di provvedimenti autoritativi degradatori, venuti meno o per annullamento o per sopraggiunta inefficacia (Cons. Stato, ad. plen., n. 4/2005).
lillo1
00sabato 20 ottobre 2007 14:58
ho letto un breve ma interessante intervento del consigliere di Stato f. caringella sull'argomento, che, a partire dalla posizione della cassazione, elenca una serie di argomenti a sostegno della necessità che la giurisprudenza amministrativa abbandoni l'anacronistica difesa della pregiudiziale amministrativa, ritenendola non compatibile nè con l'ordinamento comunitario, nè con l'ordinamento interno.

l'intervento, che invito a leggere (è breve e molto divertente), non mi convince del tutto, ma è interessante.

Si apre con la seguente domanda che cito per intero perchè mi pare davvero simpatica:

"Ora, mi domando, ha ancora senso una guerra di religione che abbia per oggetto la pregiudiziale amministrativa?
E soprattutto, ha ancora significato, dopo il pronunciamento delle Sezioni Unite, la difesa a spada tratta della pregiudiziale da parte del giudice amministrativo?
Non c’è il rischio, scusatemi la suggestione non rituale – alla quale accedo solo per sdrammatizzare i toni del problema teorico, confortato dalla ricchezza di spirito dell’uditorio- ,che, in questa difesa ad oltranza, il Giudice amministrativo appaia uno di quei soldati giapponesi che, nel fitto della foreste di una delle isole del pacifico, machete alla mano, coltello tra i denti e fascia che cinge la testa, combatte una seconda guerra mondiale che non sa essere finita da oltre sessant’anni? Ossia che si arrovelli su di un problema ormai risolto, ponendosi interrogativi esistenziali ed identitari che hanno già avuto, in qualche modo nei fatti, piena ed adeguata soluzione?"


sintetizzando la posizione espressa dall'autore:

- le motivazioni che la giurisprudenza amministrativa pone a sostegno della necessità di sopravvivenza della pregiudiziale, sono sostanzialmente (e giustamente) le seguenti:

- la garanzia della certezza dei rapporti giuridici connessa alla stabilità del provvedimento inoppugnato;
- la necessità di non premiare comportamenti maramaldeschi dei privati che non impugnino gli atti lesivi al solo fine di far lievitare le voci di danno

ma a tali necessità, secondo l'autore, si possono trovare risposte sul piano sostanziale, invece che arrampicarsi sui vetri per sostenere l'inammissibilità, sul piano processuale, di una domanda di risarcimento non preceduta dall'impugnazione del provvedimento lesivo. inammissibilità tra l'altro non sostenibile, sul piano giuridico, perchè nessuna norma consente di estendere analogicamente il termine decandenziale per l'impugnazione del provvedimento lesivo alla diversa domanda di risarcimento del danno, configurabile come azione autonoma a difesa di una posizione sostanziale diversa (diritto soggettivo al risarcimento del danno ingiusto)

le risposte, sul piano sostanziale, possono fondarsi sulle seguenti norme:
art 2043 c.c.: sono risarcibili sono i danni ingiusti;
art. 1223 c.c: sono risarcibili solo i danni costituenti conseguenze normali dell’illecito
art. 1225: che, in mancanza di dolo, con norma da taluno reputata estensibile anche alla materia extracontrattuale, considera risarcibili sono i danni prevedibili
art. 1227 comma 2 c.c. : sono risarcibili solo i danni non evitabili nonostante un comportamento diligente del danneggiato

quest'ultima norma, in particolare, è considerata decisiva:

"l’omesso ricorso ai mezzi impugnatori idonei ad evitare il danno non rileva quale porta stagna che impedisce l’accesso ad ogni pretesa risarcitoria ma funge da condotta colposamente omissiva che esclude la risarcibilità dei soli danni che una tempestiva e diligente impugnazione avrebbe scongiurato"

in altre parole

" l’omessa impugnazione (del provvedimento amministrativo lesivo), piuttosto che fungere da cieco fattore di preclusione processuale della domanda risarcitoria, rileva come condotta colposa che impedisce il risarcimento dei danni che l’impugnazione avrebbe verosimilmente evitato mentre è neutra con riferimento ai danni (invero residuali se non scolastici) che si sarebbero prodotti comunque, rispetto ai quali cioè detta condotta omissiva è eziologicamente muta. Con un esito che non è una pronuncia in rito di inammissibilità ma una di merito di reiezione della domanda; nonché con il soddisfacimento, sostanzialmente per equivalente, delle esigenze che muovono i fautori della pregiudizialità nuda e pura."




marco panaro
00sabato 20 ottobre 2007 22:51
Come a dire, se ho capito bene: ti riconosco il risarcimento del danno, oltre il termine d'impugnazione, solo se ritengo che qualora avessi impugnato il provvedimento in termini, avrei comunque potuto solo concederti il risarcimento per equivalente.
lillo1
00venerdì 26 ottobre 2007 21:50

evvai. altra sentenza della cassazione contro la pregiudiziale amministrativa....

(per inciso: la vicenda di merito riguardava una istanza per ottenere l'autorizzazione all'importazione di loricati ... quiz: chi sa cosa sono i loricati? senza guardare sul dizionario, naturalmente. e neanche su internet... ferrari, non barare)



CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE - SENTENZA 17 ottobre 2007, n.21850

massima
Nel caso in cui sia stata introdotta, davanti al giudice ordinario una domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c. nei confronti della P.A. per illegittimo esercizio di una funzione pubblica, il giudice potrà procedere ad accertare direttamente l’illegittimità del provvedimento amministrativo, non essendo più ravvisabile la necessaria pregiudizialità del giudizio di annullamento davanti al giudice amministrativo, in passato costantemente affermata per l'evidente ragione che solo in tal modo si perveniva all'emersione del diritto soggettivo, e quindi all'accesso alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c., e potendo, al contrario, detto accertamento essere svolto dal giudice ordinario nell'ambito dell'esame della riconducibilità della fattispecie sottoposta al suo esame alla nozione di fatto illecito delineata dall'art. 2043 c.c. secondo la nuova lettura della norma accolta dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 500 del 1999
2. Agli effetti della risarcibilità, ai sensi dell'art. 2043 c.c., si considera ingiusto il danno arrecato in difetto di una causa di giustificazione, che non può restare a carico della vittima, ma deve essere trasferito all'autore del fatto, in quanto lesivo di interessi giuridicamente tutelati, quale che sia la qualificazione formale di detti interessi e senza, in particolare, che ne sia determinante la strutturazione come diritti, soggettivi perfetti.

3. La risarcibilità degli interessi legittimi - la cui lesione è qualificabile in astratto come danno ingiusto - dipende in concreto dall'accertamento dell'effettività del danno e della sua ingiustizia, dall'esistenza di un nesso causale tra l'evento e il comportamento illegittimo della P.A. e da una componente di dolo o colpa dell'amministrazione-apparato, che non può considerarsi in re ipsa nella sola illegittimità dell'esercizio della funzione amministrativa (né, pertanto, conseguire ipso facto all'accertata illegittimità dell'atto amministrativo), ma deve essere verificata caso per caso dal giudice in ragione di un esercizio dell'azione amministrativa che risulti in violazione di regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, quali limiti esterni alla discrezionalità.


lillo1
00venerdì 26 ottobre 2007 22:11
sul punto, cmq, c'è una recentissima pronuncia dell'adunanza plenaria del cds, in data 22 ottobre, che non ho ancora letto, ma che dirà certamente esattamente il contrario... [SM=g27812]
lillo1
00domenica 28 ottobre 2007 18:23
et voilà.

puntualmente.

(massima)

4. La consequenzialità della tutela risarcitoria rispetto a quella di annullamento comporta che il provvedimento amministrativo lesivo di un interesse sostanziale può essere aggredito in via impugnatoria, per la sua demolizione, e “conseguenzialmente” in via risarcitoria, per i suoi effetti lesivi, nel rispetto, in ogni caso, del vincolo della c.d. pregiudiziale amministrativa, implicante il previo annullamento dell’atto amministrativo al fine dell’ammissibilità della domanda di risarcimento del danno.


1. I “comportamenti” che esulano dalla giurisdizione amministrativa esclusiva (cfr sentenza corte cost. 191/2006 su art. 53 dpr 327/2001 - t.u. su espropri) non sono tutti i comportamenti, ma solo quelli che, tenuto conto dei riferimenti formali e fattuali di ogni concreta fattispecie, non risultano riconducibili all’esercizio di un pubblico potere.

2. Il potere di risarcire il danno ingiusto non costituisce una nuova materia attribuita alla cognizione del giudice amministrativo ma uno “strumento di tutela ulteriore “ rispetto a quello demolitorio, strumento che, in armonia con l’art. 24 Cost. ne completa i poteri “non soltanto per effetto della esigenza di concentrare davanti ad un unico giudice l’intera protezione del cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica, ma anche perché quel giudice è idoneo ad offrire piena tutela” oltre che agli interessi legittimi “ai diritti soggettivi, anche costituzionalmente garantiti coinvolti nell’esercizio della funzione amministrativa (cfr corte cost. 204/2004 su art. 33 e 34 decreto legislativo 80/1998)

3. La domanda risarcitoria avente ad oggetto i danni da occupazione appropriativi appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo attesa la permanente efficacia degli atti presupposti al decreto di espropriazione illegittimo e la riconducibilità dell’attività amministrativa all’esercizio di un pubblico potere autoritativo.

ferrari.m
00martedì 30 ottobre 2007 00:07
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.12/2007

Reg.Dec.

N. 8 Reg.Ric.

ANNO 2007

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 8/2007 dell’Adunanza Plenaria (n. 1614/2006 della Sez. IV del Consiglio di Stato) proposto dalla Provincia di Mantova, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dal Prof. Avv. Paolo Colombo e dall’avv. Alessandro Sperati, elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Roma, Piazza Mazzini, n. 27.
CONTRO

Gatti Marino, rappresentato e difeso dall’avv. Elia Di Matteo, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Francesco Da Riva Grechi in Roma, viale Bruno Buozzi, n. 109.
NONCHÉ CONTRO

Corso Eugenio, Merchiori Anna, Rabitti Marcello, Vanz Gloria e Nico Costruzioni s.r.l. non costituiti in giudizio.
PER L'ANNULLAMENTO

della sentenza non definitiva del TAR per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia 19 dicembre 2005, n. 1342.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del signor Gatti Marino;

Vista l’ordinanza della Sezione IV. n. 3288/2007 del 19 giugno 2007 con cui è rimesso all’Adunanza Plenaria il ricorso n. 1614/2006;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore, alla pubblica udienza del 15 ottobre 2007, il Presidente Giovanni Ruoppolo e uditi l’avv. Paolo Colombo e l’avv. Elia Di Matteo;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

La Sezione quarta, rimettendo, con sentenza 19 giugno 2007 n. 3288/07, all’Adunanza plenaria di decidere sulla questione di giurisdizione proposta dalla Provincia di Mantova con l’atto di appello in epigrafe, ha accertati e chiariti i fatti in maniera puntuale e completa.

In questa sede, perciò, ci si può limitare a riferire sugli aspetti ancora rilevanti della vicenda rinviando, per una completa disamina, alla sentenza di remissione.

Con provvedimento 30 aprile 1999 n. 119 la Giunta provinciale di Mantova, acquisite le correlate deliberazioni del Comune di Mendole e della Regione Lombardia, approvava il progetto per la esecuzione della circonvallazione di Mendole, ne dichiarava la pubblica utilità e fissava il termine di cinque anni, decorrenti dalla data della delibera, per la conclusione dei lavori e della procedura.

Con successive deliberazioni 2 giugno 2000 n. 137 e 5 dicembre 2002 n. 423 la stessa Giunta, approvando varianti al progetto esecutivo e rinnovando la dichiarazione di pubblica utilità , confermava lo stesso termine finale in precedenza fissato.

Seguivano, intanto, altri atti della procedura relativi alla occupazione d’urgenza (18 ottobre 2000), alla immissione in possesso delle aree (26 ottobre 2001), alla consegna dei lavori ( 26 aprile 2001), alla determinazione delle dovute indennità provvisoria (6 marzo 2001) e definitiva ( 6 dicembre 2002), al frazionamento delle aree interessate alla procedura espropriativa ( 13 settembre 2004), al deposito presso la Cassa DD.PP. delle somme ancora dovute.

Il 17 gennaio 2005, con decreto n, 3273/05, si disponeva infine il trasferimento della proprietà delle aree private in conformità delle risultanze del frazionamento.

L’intera procedura era incisa, insieme agli atti presupposti, da plurimi ricorsi proposti, in tempi diversi, dai soggetti privati titolari delle aree coinvolte che deducevano motivi di violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere nei confronti della Provincia, del Comune e della Regione, dei cui provvedimenti si chiedeva l’annullamento.

Il TAR per la Lombardia, Sezione di Brescia, nel contraddittorio ritualmente formatosi, disposta la riunione di tutti i ricorsi e ritenuta la giurisdizione, con sentenza non definitiva 27 dicembre 2005, n. 1342/05 :

- dichiarava estinti, per rinuncia, i giudizi, avviati con ricorsi 257/99, 697/00, 1284/00, nei confronti dei Signori Ferrardi , Branzini e Cerruti;

- dichiarava improcedibili, per sopravenuta carenza di interesse, i ricorsi n. 1544/97, 1548/97, 257/99 e 697/00 e, per quanto riguarda i profili impugnatori, 1284/00 ad eccezione, per questo ricorso, della pretesa risarcitoria già avanzata e dal Signor Gatti e dai Signori Corso e Marchiori, rispettivamente acquirente ed alienante di una delle aree coinvolte;

- accoglieva parzialmente il ricorso n. 476/05 annullando il decreto di espropriazione di 17 gennaio 2005 n. 3273/05 e dichiarando la intervenuta, irreversibile trasformazione dei beni occupati;

- disponeva la prosecuzione del giudizio per il completamento della consulenza tecnica già disposta ai fini della pronuncia sulla istanza risarcitoria.

Proponeva appello, con atto notificato al Signor Gatti, nonché ai Signori Corso e Marchiori, la Provincia di Mantova deducendo alcune questioni pregiudiziali, contestando la ritenuta tardività del decreto di espropriazione e rilevando, per il caso di acclarata decadenza della dichiarazione di pubblica utilità, difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

Si costituiva il solo Signor Gatti proponendo ricorso incidentale.

Questi e la Provincia illustravano con specifiche memorie le proprie posizioni e concludevano, il primo, in via principale di merito, per la conferma della sentenza di primo grado e per la condanna della Provincia al risarcimento del danno, la seconda, per la declaratoria del difetto di giurisdizione.

La Sezione quarta, accertato che l’espropriazione era stata decretata, in data 7 giugno 2005, dopo la scadenza dei cinque anni decorrenti dalla data della deliberazione della Giunta Provinciale 30 aprile 1999, ha rimesso l’esame della questione di giurisdizione all’Adunanza Plenaria.

Le conclusioni delle parti sono state rassegnate con memorie in data 26 e 30 settembre 2007.

Motivi della decisione.

I - La Sezione quarta, dubitando della permanente attualità – dopo la pubblicazione della sentenza Corte Cost. 11 maggio 2006, n. 191 e delle correlate pronunce delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione - dei principi ripetutamente affermati dalla Adunanza Plenaria ha correttamente rimesso a quest’ultima il rinnovato esame della individuazione del giudice amministrativo quale giudice cui spetta di pronunciarsi in tema di c.d. accessione invertita, allorché la formale espropriazione intervenga dopo la sopravvenuta inefficacia, per decorso del suo termine finale, della dichiarazione di pubblica utilità.

Correttamente, si è detto, alla stregua delle esigenze che, positivamente poste nei confronti del giudizio per cassazione (art. 374 cod.proc.civ. come sostituito dall’art. 8 D.Lg.vo 2 febbraio 2006, n. 40), derivano da generali principi di certezza del diritto e di economicità della funzione giurisdizionale che ovviamente coinvolgono il processo innanzi al Consiglio di Stato, nel quale è per altro già prevista la opportunità, qui di nuovo sottolineata, della rimessione in ordine a questioni di diritto che abbiano dato luogo o possano dar luogo a contrasti giurisprudenziali ovvero allorché si renda necessaria la risoluzione di questioni di massima di particolare importanza ( art. 45 co. 2 e 3 T.U. 26 giugno 1924, n. 1054 come sostituiti dall’art. 5 L.21 dicembre 1950, n. 1018 ).

II - La rimessione in parola, è necessario premettere ad ulteriore chiarificazione delle proposte questioni pregiudiziali, concerne esclusivamente il ricorso 1284/2000 ed il ricorso 476/2005 e motivi aggiunti con i quali Signori Corso – Marchiori e Cerruti hanno proposto, siccome accertato dal Tribunale regionale amministrativo e ritenuto dalla Sezione quarta, domanda risarcitoria.

Gli altri ricorsi inizialmente proposti risultano, infatti, oggetto di dichiarazione di estinzione per rinunzia ovvero di improcedibilità per carenza di interesse, improcedibilità estesa, dal predetto Tribunale, anche ai motivi del ricorso 1284/2000 relativi alla impugnazione per annullamento di alcuni degli atti emessi nel corso del procedimento di espropriazione il cui atto conclusivo (decreto n. 3273/05 della Provincia) è stato espressamente annullato dal Tribunale, con connessa dichiarazione di irreversibile trasformazione dei beni occupati.

In tale situazione la Sezione remittente ha ritenuto di superare le deduzioni della Provincia relative alla pretesa non integrità del contraddittorio in primo grado e del Gatti relative alla omessa notifica dell’appello a Regione, Comune, Niero s.r.l. e Signori Rabitti e Vanz. Invero, mentre contro questi ultimi soggetti nessuna domanda risarcitoria è proposta, né si configura alcun loro interesse e mentre Comune e Regione sono stati intimati in primo grado ( il primo si è anche costituito) in relazione agli atti da loro emessi (ric. 1544/97, 1548/97 e 257/99), ed hanno ricevuto notificazione della sentenza appellata, la domanda risarcitoria fu proposta nei soli confronti della Provincia, ente espropriante, e concerne, una volta definiti come s’è ricordato gli altri giudizi, esclusivamente i rapporti tra la stessa Provincia e, ormai, il Signor Gatti ed i suoi danti causa.

Ne risulta l’infondatezza delle domande di integrazione del contraddittorio ritualmente instaurato e in primo grado e in appello.

L’annullamento, poi, dell’atto finale della procedura di espropriazione e la pronuncia di intervenuta accessione invertita, di per sé non impugnata dal Signor Gatti, e per altro satisfattiva della richiesta tutela , rendono prive di rilievo le di lui deduzioni relative ad atti e comportamenti e della Regione e del Comune, ormai irrilevanti a seguito del predetto annullamento, e della Provincia dalle quali mai potrebbe conseguire la restituzione, e su questa non si insiste nelle conclusioni rassegnate il 7 marzo 2006 ed il 30 settembre 2007, delle aree coinvolte dalla costruzione della strada, pressoché terminata ed aperta al traffico (v. note in atti del Responsabile del procedimento in data 25 febbraio 2004 e 19 aprile 2005) già al 25 febbraio 2004 e, comunque, “parecchi mesi prima dello stesso 19 aprile 2005” e, perciò, nel corso dei termini della dichiarazione di pubblica utilità.

Dato atto di ciò, deve infine rilevarsi che il Tribunale non si è in alcun modo pronunciato sulla domanda risarcitoria, proposta e perfino quantificata nel corso del relativo grado di giudizio (v. oltre alle istanze notificate il 23 febbraio ed il 29 ottobre 2001 le ammissioni nelle memorie della Provincia del 19 dicembre 2000 e del 11 aprile 2001 nonché l’istanza di sospensiva del giudizio indennitario dalla stessa proposta alla Corte di Appello e la correlata ordinanza e v., ancora, il ricorso 11 aprile 2005 notificato il successivo 12 aprile), sulla quale ha soltanto disposto il completamento dell’istruttoria in corso: sono, pertanto, intempestive le relative deduzioni della Provincia nonché degli appellati e perciò inammissibili in questa sede le loro richieste.

III - Si rileva, venendo perciò al punto di diritto in contestazione, che permangono, nella giurisprudenza più recente, significativi contrasti in tema di discriminazione della giurisdizione, contrasti forse avvertiti con maggior disagio di quelli pur vivi nel secolo scorso ora che sussistono condizioni di ulteriore sviluppo sociale ed economico, di correlato aumento della legislazione e delle discipline così civili come amministrative e, perciò, di più forte richiesta di decisioni di merito pronte, facilmente accessibili, coerenti con le esigenze operative e con le aspettative di tutela delle pubbliche amministrazioni, delle imprese e di ciascun componente la comunità nazionale.

I recenti, ripetuti richiami della Corte Costituzionale ( v. da ultimo, sent. 12 marzo 2007, n. 77) ai precetti dell’art. 24 Cost. confermano un orientamento perseguito con ancor più determinata convinzione; orientamento che, sottolineando il valore servente delle forme, pur ferme e vincolanti, rispetto alle aspettative sostanziali, merita di essere condiviso e seguito, come pare sia condiviso dallo stesso legislatore ( cfr., di recente, in tema di giurisdizione e di procedure, la L. 21 luglio 2000, n. 205 e, puntualmente in tema di nullità, la L. 7 agosto 1990, n. 191 ) le cui rinnovate dichiarazioni di volontà semplificatrice si traducono tuttavia, in qualche caso, in complicazioni di discipline di non sottile spessore e di non agevole applicazione da parte di una Amministrazione costretta a troppo frequenti mutamenti dei suoi complessi moduli organizzativi ed operativi ed a tal fine, specie in sede locale, non sempre munita di necessari mezzi e di adeguate strutture.

In generale, ed omettendo analisi storiche altrove e da altri svolte con puntualità e completezza, la discriminazione è positivamente fissata, nel quadro dei rigidi precetti posti dagli artt.24, 102,103, 111 e 113 Cost., dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, - in vigore dal 1 agosto 2000 e seguita dalla L. 11 febbraio 2005, n. 15 e dal D.Lg.vo 12 aprile 2006, n. 163 - , che, anche riformulando le disposizioni del D.Lg.vo 31 marzo 1998, n. 80, ha sostanzialmente definito il disegno innovatore avviato con l’art. 13 della L. 19 febbraio 1992, n. 142 ed organicamente posto dalla legge di delega 15 marzo 1997, n. 59:

Su questa disciplina è ripetutamente intervenuta e, per quanto qui rileva, specialmente con le sentenze 17 luglio 2000, n. 292, 6 luglio 2004, n. 204, 28 luglio 2004, n. 281, 11 maggio 2006, n. 191, 12 marzo 2007, n. 77 e 27 aprile 2007, n. 140, la Corte Costituzionale.

Punti fondamentali dell’assetto normativo che ne è derivato e che, salvo le integrazioni e le precisazioni appresso indicate, vige attualmente sono: 1) resta fermo, e vincola lo stesso legislatore, che criterio generale di discriminazione è quello fondato sulla natura della situazione giuridica di cui si chiede tutela, nel senso che giudice dei diritti soggettivi è il giudice ordinario e giudice degli interessi legittimi è il giudice amministrativo;

2) resta fermo che è nella, per così dire, ragionevole discrezionalità del legislatore attribuire alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in particolari materie (e non in blocchi indiscriminati di materie) specialmente caratterizzate dalla compresenza o dalla difficile qualificazione di diritti soggettivi ed interessi legittimi, anche la tutela di diritti soggettivi;

3) il giudice amministrativo conosce, nell’ambito della sua giurisdizione, sia essa di sola legittimità ovvero, pur con differente dizione, esclusiva, “ anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno ingiusto, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali conseguenziali “ ;

4) il giudice ordinario, cui non spetta mai giurisdizione sugli interessi legittimi, non ha il potere di annullare i provvedimenti amministrativi nè quello di risarcire il danno conseguente all’annullamento degli stessi da parte del giudice amministrativo, e tuttavia, vertendosi in tema di lesione dei diritti soggettivi non ricompresi nella cennata giurisdizione esclusiva, può disapplicare gli atti dell’amministrazione e provvedere al risarcimento dell’eventuale danno.

IV - Con riferimento al nuovo assetto così sommariamente descritto si sono riproposti alla giurisprudenza spinosi problemi interpretativi già vivi nel quadro della precedente disciplina ed ulteriori questioni sostanziali e procedurali ha posto l’ampliamento della giurisdizione esclusiva e dei poteri del giudice amministrativo.

Deve ricordarsi, al primo proposito, il permanere dalle difficoltà di discriminazione poste dalla dicotomia diritto soggettivo – interesse legittimo nell’ambito di una legislazione che dalla considerazione della loro natura il più delle volte prescinde preferendo enucleare dalle situazioni soggettive e disciplinare puntualmente, con riferimento alla attività amministrativa, tal volta spezzoni qualificabili come facoltà, più spesso aspetti analitici solo mediatamente riferibili ad individuabili situazioni di diritto o di interesse.

Si tratta, nell’uno e nell’altro caso, di situazioni mai direttamente definite dalla legge e di derivazione dottrinale e giurisprudenziale spesso collegate ad esigenze di preconcetti ed immobili schemi sistematici piuttosto che ad ordinamenti e norme i quali supporrebbero, nel loro continuo aggiornarsi, il continuo aggiornamento di un “ sistema “ che, dismessa la pretesa di imporsi alla legge, da questa ricevesse la sua necessaria legittimazione.

Il dibattito, in proposito, è continuo e basti segnalare, di recente, la distinzione proposta dalla Corte di Cassazione (Sez. un. 1 agosto 2006, n. 17461 ) che rivendica la giurisdizione del giudice ordinario in ogni caso quando si sia in presenza di “ posizioni soggettive a nucleo rigido “ (es. in tema di salute e di ambiente ) che, a differenza di quelle “ a nucleo variabile “, sarebbero assolutamente incomprimibili. Siffatta tesi, espressamente contraddetta dalla Corte Costituzionale (sent. 27 aprile 2007, n. 140 ), reca in se il corollario della inesistenza del provvedimento amministrativo che, pur emesso in applicazione di legge, siffatti incomprimibili diritti in concreto incidesse.

Corollario che sembra meritare attenti approfondimenti nel punto in cui pare prescindere e dalle attribuzioni esclusive della Corte Costituzionale in tema di verifica della costituzionalità delle leggi e dalle attribuzioni del giudice amministrativo in tema di provvedimenti che conformemente a legge incidono su situazioni soggettive degradandole, come si è soliti ripetere, ad interesse legittimo.

Riconosciuta a quest’ultimo giudice, com’è doveroso per chiunque, “ piena dignità di giudice “ e tenuto conto della compiuta effettività della sua tutela, organizzata positivamente come efficace e sollecita, non si vede la ragione perché le regole di discriminazione della giurisdizione debbano essere, a fronte dei diritti c.d. “ a nucleo rigido “, di categoria, cioè, suscettibile di estensione ben oltre i casi esemplificati, né si comprende la sottesa, asserita pretesa di una minore incisività della giurisdizione amministrativa .

Di tale opinione non è, per altro, lo stesso legislatore che, in maniera espressa ed univoca, ipotizza, con l’art. 21 co. 8 della L. 1034/71, come integrato dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, provvedimenti cautelari del giudice amministrativo anche in tema di “interessi essenziali della persona quali il diritto alla salute, alla integrità dell’ambiente, ovvero ad altri beni di primario rilievo costituzionale”.

E’ ben vero che allo stato si riscontra positivamente in relazione a talune situazioni soggettive del genere di quelle indicate e di altre ancora una ordinaria e prevalente giurisdizione del giudice civile che in nessun modo si contesta; epperò, mentre non può escludersi che in astratto ed in concreto si profilino situazioni di interesse legittimo ovvero di attribuzione di giurisdizione esclusiva, è seriamente controvertibile una tesi che, muovendo dalla categoria dei diritti soggettivi incomprimibili e varcando la soglia della sola descrittività, sancisca aprioristicamente limiti assoluti e non costituzionalmente posti alla giurisdizione amministrativa.

Ai fini della concreta verificazione di questa è necessario poi ribadire che configurano situazioni soggettive di interesse legittimo non solo quelle che come tali originariamente nascono in capo al loro titolare sibbene anche quelle che pur qualificandosi genericamente ed in astratto di diritto soggettivo siano, in presenza di una norma che ciò consenta e di un procedimento ovvero di un provvedimento in tal senso indirizzato, successivamente apprezzabili in concreto come di interesse legittimo. Certo è necessario che procedimento e provvedimento siano svolti e decisi da un’autorità a ciò competente, senza che concorrano violazioni di legge, senza che intervengano sviamenti e note carenze. Questi, tuttavia, sono puntualmente i vizi rimessi allo scrutinio della giurisdizione amministrativa, individuabile anche in base al fondamentale criterio, appresso approfondito, della riconducibilità della lesione sofferta all’esercizio del potere autoritativo in astratto conferito all’autorità. Il criterio innovativo come innovativa è stata la citata legislazione, è per altro frutto anche del consapevole contributo di tutte le riflessioni che, in più di un secolo di elevato e fertile impegno, dottrina e giurisprudenza hanno arrecato : dalla distinzione delle norme di azione dalle norme di relazione, dalle dottrine del diritto condizionato ed affievolito fino alla stessa rilevata notazione dei c.d. diritti a “nucleo rigido “ non v’è nulla di totalmente superato ovvero di superabile con improvvisazione e in ogni riflessione si riscontra un elemento di validità che è di ausilio per sciogliere nodi che legislazione e pronunce costituzionali tendono oggi a rendere meno aggrovigliati nel contestuale riconoscimento della unitarietà, quoad effectum, della giurisdizione, attribuita sì a giudici diversi, ma di uguale dignità, muniti di analoghi poteri ugualmente compiuti ai fini della completezza delle tutele di merito loro commesse, ugualmente intesi ad attuare i precetti degli artt. 24 e 111 Cost. (cfr. Cort. Cost., 12 marzo 2007, n. 77).

Questi aspetti unitari, che valgono ad attenuare, almeno nella concretezza delle vicende giudiziarie, il rilievo di talune estreme questioni di giurisdizione, non consentono, tuttavia, di inferirne il corollario, come avanti si vedrà in tema di “pregiudiziale amministrativa”, della necessità, formale e sostanziale, della uguaglianza della tutela.

V - Si sono posti, al secondo proposito, con riferimento, cioè, al nuovo assetto come sopra descritto, il problema della estensione della giurisdizione esclusiva, sia con riferimento a materie ritenute di solo diritto soggettivo sia con riferimento a precisazioni del legislatore ordinario dell’ambito di cognizione concreta del giudice amministrativo ed il problema, inoltre, della connessione tra la domanda di annullamento e la domanda risarcitoria.

Su questi ed altri problemi, approfonditi in dottrina, è ripetutamente intervenuta, con puntuali pronunce, la Corte Costituzionale che, con le sentenze innanzi citate ha precisato:

a) i confini della giurisdizione esclusiva relativa alla materia dei pubblici servizi e della giurisdizione esclusiva relativa alla materia urbanistica ed edilizia e delle espropriazioni;

b) la natura del potere del giudice amministrativo di provvedere sulle domande risarcitorie e sugli altri diritti patrimoniali consequenziali alla pronuncia di annullamento.

Così in materia di pubblici servizi, dalla quale sono state espunte controversie ritenute di diritto soggettivo e, perciò, di pertinenza della giurisdizione ordinaria, come in materia di urbanistica ed edilizia nonché delle espropriazioni, la Corte Costituzionale, confermata la nodale relazione tra l’esercizio di poteri pubblici autoritativi e la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ha segnato il limite di quest’ultima.

Ha cioè dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 33 co. 1 D.Lg.vo 31 marzo 1990, n. 80, come sostituito dall’art. 7 lett. b. della L. 21 luglio 2000, n. 205, dell’art. 34 co. 1 del medesimo decreto, nonché dell’art. 53, co.1, del D.Lg.vo 8 giugno 2001, n. 325 ( v. D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 53 ) nella parte in cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva le controversie relative a “ i comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati non esclude i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediamente, all’esercizio di un pubblico potere “ (così Cort. cost. 11 maggio 2006, n. 191 con riferimento alla giurisdizione esclusiva in tema di espropriazione per pubblica utilità e, in precedenza, Cort. cost. 6 luglio 2004, n. 204 ).

Puntualizzato, da una parte, che l’aggettivo "mediatamente" si riferisce, come sopra ricordato, ai casi in cui l’esercizio del potere si realizza nelle consentite forme negoziali, e , d’altra parte, che sussiste, nelle motivazioni delle due sentenze, ancora riprese da quelle successive, un espresso legame sì che esse, integrandosi costituiscono un unico, coerente disegno nei limiti del quale la Corte ammette la legittimità costituzionale delle norme scrutinate, deve subito fissarsi un primo punto.

I “comportamenti”, cioè, che esulano dalla giurisdizione amministrativa esclusiva non sono tutti i comportamenti, ma solo quelli che, tenuto conto dei riferimenti formali e fattuali di ogni concreta fattispecie, non risultano riconducibili all’esercizio di un pubblico potere.

Altrimenti detto, quando può affermarsi che nella specie sia rilevabile un oggettivo, e non meramente intenzionale, svolgersi di un’attività amministrativa costituente esercizio di un potere astrattamente riconosciuto alla pubblica amministrazione o ai soggetti ad essa equiparati, sussiste ogni elemento sufficiente ad affermare la giurisdizione amministrativa.

Caratterizzante, perciò, non è la legittimità dell’esercizio del potere, che, se fosse richiesta, finirebbe per privare di causa la tutela appunto prevista per i casi di incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere, né lo è il maggiore o minore spessore della illegittimità ovvero della situazione giuridica tutelata.

Caratterizzante è , invece, la mera emersione di un agire causalmente riferibile ad una funzione che per legge appartenga all’amministrazione agente e che per legge questa sia autorizzata a svolgere e che, in concreto, risulti svolta.

Se così è, l’in sé dell’esercizio del potere deve rilevarsi, prioritariamente, in materia comportamentale, non tanto dalle intenzioni e dalla generiche dichiarazioni del soggetto pubblico agente quanto dalle oggettive vicende procedimentali che, mentre nella grande maggioranza dei casi precedono ed accompagnano il fenomeno comportamentale, testimoniano esse, oggettivamente, della rilevanza e della finalità e della consistenza del comportamento consentendo di individuarne la genesi e di distinguerlo dai casi di semplice generica presupposta esistenza del pubblico interesse.

La illegittimità di questo o quel momento procedimentale , cioè di quella serie formale strumentalmente rivolta a realizzare l’interesse pubblico e sintomatica dell’agire autoritativo consentito dalla legge , può sì far concludere per la illegittimità e, nei congrui casi, per la illiceità del comportamento con effetti anche analoghi o uguali a quelli propri della accertata carenza del potere, ma tale conclusione spetta al giudice cui, con garanzie ed effettività di certo non inferiori a quelle apprestate dal giudizio ordinario, compete alla stregua dell’ordinamento: al “giudice naturale della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica“.

E a questo “giudice naturale“ compete, in diretta applicazione dei principi di effettività e di concentrazione della tutela nonché delle norme poste dal legislatore ordinario, di conoscere non solo delle domande intese all’annullamento dell’attività autoritativa e, comunque, impugnatorie ma “di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno ingiusto, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali”; risarcimento che, nell’ambito della giurisdizione esclusiva, è “disposto” con procedure anche innovative (v. art. 7 e 8 L. n. 205 del 2000).

In proposito la Corte Costituzionale, chiarita la irrilevanza della natura giuridica intrinseca alla pretesa risarcitoria, se di per sé di diritto soggettivo o meno, ha escluso la configurabilità della giurisdizione ordinaria “per ciò solo che la domanda abbia ad oggetto esclusivo il risarcimento del danno” ed ha dichiarato costituzionalmente legittimo il nuovo sistema di riparto che riconosce esclusivamente al giudice naturale della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica poteri idonei ad assicurare piena tutela, e quindi anche il potere di risarcire, sia per equivalente sia in forma specifica, il danno sofferto per l’illegittimo esercizio della funzione.

Ciò in quanto il potere di risarcire il danno ingiusto non costituisce una nuova materia attribuita alla cognizione del giudice amministrativo ma uno “strumento di tutela ulteriore “ rispetto a quello demolitorio, strumento che, in armonia con l’art. 24 Cost. ne completa i poteri “non soltanto per effetto della esigenza di concentrare davanti ad un unico giudice l’intera protezione del cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica, ma anche perché quel giudice è idoneo ad offrire piena tutela” oltre che agli interessi legittimi “ai diritti soggettivi, anche costituzionalmente garantiti coinvolti nell’esercizio della funzione amministrativa“ ( Cort. cost. 27 aprile 2007, n. 140).

L’illegittimità dell’esercizio del potere, nel senso sopra precisato, comporta, dunque, sempre nel caso di lesione di interessi e, nell’ambito della giurisdizione esclusiva, anche nel caso di lesioni di diritti soggettivi, di qualsiasi spessore, la configurabilità della sola giurisdizione amministrativa così nel caso che la domanda risarcitoria venga proposta congiuntamente a quella demolitoria come nel caso che venga proposta autonomamente, derivandosi anche in tal caso la risarcibilità del danno dalla ipotizzata illegittimità dell’attività amministrativa.

La Corte di Cassazione, pur convenendo su tali conclusioni generali (v. già Cass. 23 gennaio 2006, n. 1207), sottolinea ancora , non senza rimarchevoli oscillazioni, perplessità di non lieve momento.

Adducendo ora la perdurante vigenza della L. 20 marzo 1865, all. E, artt. 2 e 4, e non solo dei suoi generali principi così come costituzionalmente recepiti, ora, con non felice espressione, una asserita difficoltà del giudice amministrativo a penetrare le regole civilistiche sul risarcimento del danno ingiusto, ora la individuabilità di diritti in assoluto riservati alla tutela ordinaria, la indicata Corte :

1) limita i casi in cui si è in presenza di “un concreto esercizio del potere“ ai casi in cui l’esercizio stesso sia riconoscibile come tale perché a sua volta deliberato nei modi e in presenza dei requisiti richiesti per valere come atto o provvedimento e non come mera via di fatto ( Sez. un. 13 giugno 2006, n. 13659) “in consonanza con le norme che lo regolano “ (Sez. un. 15 giugno 2006, n. 13911; Cass. 7 febbraio 2007, n. 2691);

2) costruisce una categoria di diritti incomprimibili in maniera assoluta e perciò sempre da comprendere nell’ambito della giurisdizione ordinaria ;

3) asserisce che la giurisdizione amministrativa è rifiutata ove, in presenza di autonoma domanda risarcitoria, il giudice non provvede all’esame di merito per la ragione che nel termine per ciò stabilito non sono stati chiesti l’annullamento dell’atto e la conseguente rimozione dei suoi effetti. In tali circostanze avverte la Corte, il rifiuto si espone a cassazione ex art. 362, co. 1, cod.proc.civ. (Sez.un. 13 giugno 2006, n. 13659 e n. 13660; 5 gennaio 2007, n. 13; 19 gennaio 2007, n. 1139).

Si tratta, come ognuno vede, di perplessità gravi nella misura in cui sostanzialmente evocano, per via di una definizione resa fortemente restrittiva dal suo carattere analitico, la dicotomia sussistenza del potere – esercizio del potere nei termini, anch’essi ambigui , precedenti il nuovo assetto di riparto della giurisdizione; nella parte in cui confliggono con le univoche dichiarazioni della Corte Costituzionale 27 aprile 2007, n. 140 in tema di c.d. diritti incomprimibili e 12 marzo2007, n. 77 in tema di limiti, ex art. 362 e 386 cod.proc.civ., inerenti il controllo dei confini esterni della giurisdizione; nella parte in cui, varcando tali limiti, assoggetta a nuove forme di sindacato le sentenze del giudice amministrativo.

Al primo proposito si rileva che, proprio con riferimento alla materia delle espropriazioni, la Corte di Cassazione, nel suo indirizzo più radicale (v. Sez. un. 7 febbraio 2007, n. 2688, 2689, 2691; 13 febbraio 2007, n. 3048; 19 febbraio 2007, n. 3723; 12 aprile 2007, n. 9323) che sembra attenuato da altro pur recentemente confermato indirizzo (Sez. un. 20 dicembre 2006, n. 27190 e 27192), configura la giurisdizione ordinaria non solo, com’è pacifico, nei casi in cui l’amministrazione agisce, fuori di ogni schema procedimentale, in via di fatto, ma anche nei casi in cui la dichiarazione di pubblica utilità risulti “radicalmente nulla “ per omessa indicazione dei termini per l’espropriazione o per scadenza degli stessi, ovvero per imprecisioni nella indicazione delle aree.

In tali casi, ed inoltre nei casi di decreto di espropriazione emesso fuori termine, rilevandosi anche violazione dell’art. 42 Cost., si sarebbe, secondo la Corte, in presenza di vizi di spessore maggiore di quelli che, in altri casi, inducendo il giudice amministrativo all’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità o del decreto di espropriazione, legittimerebbero, sia pure per sole esigenze di concentrazione, la giurisdizione amministrativa (v. Sez. un. 2 luglio 2007, n. 14594).

Ora la perplessità che tale indirizzo suscita non attiene soltanto alla identificazione di una categoria di speciali vizi che non sembra trovare conforto positivo e che anzi contrasta con le disposizioni analiticamente introdotte con l’art. 14 della L. 11 febbraio 2005, n. 15, ma nella sostituzione del criterio della riferibilità dell’esercizio del potere all’agire autoritativo, riferibilità che come sopra si è visto chiama in causa l’intero procedimento, con il criterio del sindacato concreto della legittimità del provvedimento della cui applicazione si tratta, che non si vede come possa tal volta competere al giudice ordinario e tal altra al giudice amministrativo.

In materia di espropriazione, poi, si prescinde del tutto – non solo dal nuovo regime della nullità introdotto, ad integrazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, dall’art. 14 della L. 11 febbraio 2005, n. 15 – ma anche dall’entrata in vigore, il 30 giugno 2003, del T.U. approvato con D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, il cui art. 43 sembra, come si preciserà più avanti, avere apportato sul punto definitivi chiarimenti.

Dei diritti c.d. incomprimibili s’è detto.

VII - Quanto, infine, al problema della c.d. pregiudizialità amministrativa, istituto risalente nel tempo ed utilizzato di recente in tema di appalti (v. art. 13 L. 19 febbraio 1992, n. 142 e, per qualche profilo generale, Corte cost. 8 maggio 1998, n. 165), esso è estremamente complesso (v.Ad. plen. 26 marzo 2003, n. 4) e qui non pertinente se non per la sua connessione, già richiamata dalla Corte di Cassazione, con la questione della giurisdizione.

Basti, perciò, enunciarne taluni profili problematici, relativi:

- il primo, alla struttura stessa della tutela del giudice amministrativo che, come si è visto è, specialmente articolata sia in sede di giurisdizione di legittimità sia in sede di giurisdizione esclusiva, nel senso che il provvedimento amministrativo lesivo di un interesse sostanziale (e non, perciò, il mero comportamento) può essere aggredito e in via impugnatoria, per la sua demolizione, e “conseguenzialmente” in via risarcitoria, per i suoi effetti lesivi, ponendosi, nell’ uno e nell’altro caso, la questione della sua legittimità.

Il carattere “conseguenziale” ed “ulteriore” della tutela risarcitoria, espressamente ed inequivocamente posto, in armonia con gli artt. 103 e 113 co. 3 Cost., dall’art. 35. co. 1 e 4 del D.Lg.vo 31 marzo 1988, n. 80 e confermato dal successivo co. 5 che comunque abroga “ogni disposizione che prevede la devoluzione al giudice ordinario della controversie sul risarcimento del danno” ancora una volta visto come “conseguente all’annullamento di atti amministrativi”, sembra invero incontestabile.

Ed è confermato dalla ritenuta riferibilità della pronuncia di condanna all’insieme dei poteri strumentali attribuiti al giudice per rimediare compiutamente alla lesione della situazione soggettiva concettualmente, prima ancora che positivamente, unica e ciò sia che l’esercizio dei poteri del giudice sia chiesto contestualmente sia che, giudizialmente accertatasi la illegittimità, sia richiesto, per vero con condivisa interpretazione estensiva non del tutto allineata, tuttavia, con le convenienze della “contestualità”, l’esercizio di ulteriori poteri prima non sollecitati.

Non c’è traccia, nella pronunce della Corte Costituzionale di alcun sospetto di illegittimità costituzionale di siffatto disegno ed, anzi, sembra agevole inferirne il contrario.

L’istituto, per altro, autorevolmente confermato da motivate pronunce della stessa Corte di Cassazione (v. 10 gennaio 2003, n. 157; 27 marzo 2003, n. 4538; 23 gennaio 2006, n. 1207), ha, oltre a radici storiche e letterali di univoco rilievo, ragioni del pari univoche.

Deve considerarsi, in proposito, che diritto ed interesse, benché molto spesso partecipi di una assimilabile pretesa ad un c.d. bene della vita, sono situazioni soggettive fortemente differenziate e tali ritenute già a livello costituzionale.

Il primo, per dirla nei noti, riassuntivi termini, è assistito da una tutela tendenzialmente piena e diretta e, nei suoi confronti, è sempre circoscritta la eventualità di condizionamenti esterni, anche se imputabili ad una amministrazione pubblica e, perciò, ad interessi generali.

Il secondo origina da un compromesso, chiaramente solidaristico, tra le esigenze collettive di cui è portatrice, ex art. 97 e 98 Cost.., la amministrazione stessa e la pretesa, di colui che dalla loro legittima soddisfazione è coinvolto, di veder preservati quei suoi beni giuridici che preesistono all’attività pubblica ovvero che nel corso di questa si profilino.

Ne deriva un coinvolgimento costante dell’interesse del singolo nell’interesse della collettività che si esprime nell’attività, non libera, ma doverosa e funzionalizzata dell’amministrazione e questo legame genetico spiega non solo la previsione di una giurisdizione a ciò specificamente deputata ma, insieme, le differenze, che rimangono marcate, che possono individuarsi e in tema di discipline processuali e in tema di connotati della tutela .

I commendevoli contributi acquisiti, in sede dottrinale e giurisprudenziale, in tema “giudizio sul rapporto“, non sembrano condivisibili ove approdino al disconoscimento della natura principalmente impugnatoria dell’azione innanzi al giudice amministrativo, cui spetta non solo di tutelare l’interesse privato ma di considerare e valutare gli interessi collettivi che con esso si confrontano e, non solo di annullare, bensì di “conformare” l’azione amministrativa affinché si realizzi un soddisfacente e legittimo equilibrio tra l’uno e gli altri interessi.

Queste essenziali circostanze, mentre si riflettono sui diversi caratteri del giudizio amministrativo rispetto a quello civile, nel quale si contrappongono pretese ascrivibili ad analoghe fonti e di regola sottratte ad interferenze esterne da parte dell’autorità pubblica, sembrano spiegare e giustificare e la priorità dell’azione impugnatoria, nel cui ambito soltanto è possibile e doveroso esercitare compiutamente l’anzidetto vaglio di legittimità nonché misurare spessore e valenza così della dedotta situazione soggettiva come della denunciata lesione, e la posta “conseguenzialità “ rispetto ad essa, dell’azione risarcitoria.

Non si trascuri che il risarcimento del danno, oltre che “conseguenziale” è previsto, nell’ambito della processualmente qualificante giurisdizione di legittimità, anche come “eventuale” con un attributo, cioè, che mentre è di regola oggetto di ingiustificata pretermissione, riassume e sottopone alla consapevolezza del giudice i travagli che le relative norme hanno inteso risolvere e che, in dottrina, hanno persino indotto a configurare come “speciale” la figura in discorso.

Si ricorderà che la stessa Corte costituzionale aveva avuto modo, nel sottolineare l’urgenza di “prudenti” soluzioni normative, di ipotizzare “scelte tra misure risarcitorie, indennitarie, reintegrative in forma specifica e ripristinatorie” nonché la “delimitazione delle utilità economiche suscettibili di ristoro patrimoniale nei confronti della pubblica amministrazione” (v.ord.8 maggio 1998, n, 165 e sent. 25 marzo 1980, n. 35) nella considerazione della inesistenza della copertura di rilievo costituzionale della pretesa “regola generale di integralità della riparazione ed equivalenza al danno cagionato” (Cort. Cost. 2 novembre 1996, n. 369), con evidenti rilessi anche di natura processuale.

E’ su queste premesse che, rimasta inattuata la articolata delega di cui all’art. 20 co. 5, lett. h, della legge 15 marzo 1997, n. 59, il legislatore è, infine, pervenuto a stabilire, con formula che privilegia le ritenute esigenze di concentrazione dei giudizi, il criterio della conseguenzialità - evidentemente inteso a confermare la priorità del processo impugnatorio e in vista della prevalenza dell’interesse collettivo al pronto e risolutivo sindacato dell’agire pubblico e in vista della convenienza, per la collettività, dell’esercizio del sindacato stesso secondo criteri e modalità che, essendo positivamente propri del giudizio di annullamento, da esso non consentono di prescindere - ed il criterio della “eventualità “ del risarcimento del danno arrecato all’interesse legittimo, criterio rafforzato dalla diversa prescrizione in tema di giurisdizione esclusiva e che, perciò, non solo esclude automatismi ma impone i predetti apprezzamenti specifici, possibili soltanto allorché sia in causa, siccome suo oggetto principale e diretto, il provvedimento, con le sue ragioni ed i suoi effetti.

E’ su queste premesse, perciò, che dev’essere apprezzato il vulnus che si ritiene connesso alla c.d. pregiudiziale amministrativa che, in effetti, da un lato corrisponde ad avvertite esigenze di controllo, convenientemente sollecitate dalle azioni impugnatorie, della legittimità e della trasparenza dell’azione autoritativa e, d’altra parte, consente il compiuto rilievo degli interessi collettivi e generali coinvolti, rilievo certamente monco e claudicante anche con riferimento alla giurisdizione esclusiva, pur sempre relativa anche ad interessi legittimi e a diritti “degradati”, nell’ambito di un processo di solo tipo risarcitorio, nel quale, per altro, gli interessi economici coinvolti appaiono non più rilevanti degli interessi spesso anche di libertà che si fanno valere, senza che la relativa decadenza sia motivo di censura, nel processo di annullamento.

Lo stesso soggetto leso sembra avere convenienza, a fronte dei non gravissimi disagi correlati alla previsione di decadenza, agevolmente superabili con il doveroso uso della diligenza media e certamente più ridotti rispetto a quelli che la legislazione consente o impone in altre anche se diverse materie, a sperimentare preventivamente l’azione di annullamento, nella cui procedura e nella cui finalità strumentale, gli è consentito rilevare vizi ed approfondirne lo spessore con risultati ben utili ai fini dell’accertamento compiuto dell’an e del quantum della richiesta riparazione.

Ragioni sostanziali, dunque, non meno che formali, sembrano assistere le conclusioni già raggiunte dall’Adunanza plenaria;

- il secondo, alla c.d. presunzione di legittimità, che, mentre involge radicati poteri della pubblica amministrazione e positivi caratteri dei suoi provvedimenti, come la efficacia e la esecutorietà, emergenti da una legislazione costante nel tempo, si tramuta da relativa in assoluta allorché, nel termine di decadenza, - certamente eluso in ipotesi di vanificazione della pregiudiziale - siasi omessa impugnazione ovvero finchè, in presenza di discrezionale apprezzamento, non sia intervenuto annullamento d’ufficio (v. L. 11 febbraio 2005, n. 15 );

- il terzo, alla articolazione della tutela sopra ricordata che, in entrambi i suoi casi, concerne la stessa illegittimità del provvedimento strumentalmente invocata, “principaliter”, e ai fini del buon esito della domanda impugnatoria e ai fini del buon esito della domanda risarcitoria con la conseguenza che, costituisca il “danno ingiusto” fatto o, come sembra preferibile, fattispecie, esso non può essere configurato a fronte di una illegittimità del provvedimento che, per l’assolutezza della cennata presunzione, è, de jure, irreclamabile ;

- il quarto, alla incidenza della lamentata “decadenza” che attiene, a ben vedere, all’azione impugnatoria invece che all’azione risarcitoria, impedita, piuttosto che dalla decadenza, dalla non configurabilità, in presenza di un provvedimento inoppugnabile così come in presenza di un provvedimento inutilmente impugnato, di una sua condizione che la contraddizione legittimità-illeceità rende essenziale, la formale inesistenza, cioè, della ingiustizia del danno che è nucleo essenziale, anche se non sufficiente, della illiceità;

- il quinto, alla concreta equivalenza del giudicato che, rilevando immediatamente la inesistenza della appena ricordata condizione, dichiari la improponibilità della domanda col giudicato che, pronunciandosi, come si pretende, nel merito dichiari infondata – e questa volta con pronuncia inequivocabilmente sottratta a verifica ex art. 362 cod.proc.civ. - la domanda per difetto della denunziata illegittimità;

- il sesto, al reclamato potere regolatore della Corte di Cassazione ( Sez. un, 19 gennaio 2007, n. 1139; 4 gennaio 2007, n. 13 ) che, secondo il correlato avvertimento della Corte Costituzionale (sent. 12 marzo 2007, n. 77) , “con la sua pronuncia può soltanto, a norma dell’art. 111, comma ottavo, Cost., vincolare il Consiglio di Stato e la Corte di Conti a ritenersi legittimati a decidere la controversia, ma certamente non può vincolarli sotto alcun profilo quanto al contenuto (di merito o di rito) di tale decisione “. Ad analogo principio, prosegue la Corte Costituzionale “si ispira l’art. 386 cod. proc. civ. applicabile anche ai ricorsi proposti a norma dell’ art. 362, comma primo cod. proc. civ., disponendo che “la decisione sulla giurisdizione è determinata dall’oggetto della domanda e, quando prosegue il giudizio, non pregiudica le questioni sulla pertinenza del diritto e sulla proponibilità della domanda” ;

- il settimo, ma non ultimo, relativo alla correlata verifica degli eventuali limiti dell’indirizzo della Corte di Cassazione secondo cui la inoppugnabilità dell’atto amministrativo, siccome relativa agli interessi legittimi, non impedirebbe in nessun caso al giudice ordinario di disapplicarlo (v. Cass. 9 maggio 2006, n. 10628 e Cass. 26 maggio 2006, n. 12646).

VIII - Quanto si è fin qui considerato consente di confermare l’attualità degli indirizzi già assunti dall’Adunanza plenaria con riferimento alla questione da decidere, in merito alla quale la giurisdizione amministrativa è affermata anche dalle Sezioni unite (v., da ultimo, 2 luglio 2007, n. 14954).

Già con pronuncia 30 agosto 2005, n. 4 l’Adunanza plenaria ha posto il principio secondo cui deve configurarsi la giurisdizione amministrativa in ordine a “liti che abbiano ad oggetto diritti soggettivi quando la lesione di questi ultimi tragga origine, sul piano eziologico, da fattori causali riconducibili all’esplicazione del pubblico potere, pur se in un momento nel quale quest’ultimo risulta ormai mutilato nella sua forma autoritativa per la sopraggiunta inefficacia disposta dalla legge per la mancata conclusione del procedimento” e ciò anche se il risarcimento è autonomamente richiesto, nei limiti temporali della prescrizione quinquennale (v. Ad. pl. 9 febbraio 2006, n. 2), di seguito all’intervenuto annullamento del provvedimento degradatorio, anche in via di autotutela.

Nello stesso senso si è poi pronunciata Ad. plen. 16 novembre 2005, n. 9, che, anche richiamando analoghi orientamenti delle Sezioni Unite (ord. 22 novembre 2004, n. 21944 e sent. 31 marzo 2005, n.6745), ha ritenuto compresa nella giurisdizione amministrativa quelle “condotte che si connotano quale attuazione di potestà amministrative manifestatesi attraverso provvedimenti autoritativi che hanno spiegato, secundum legem, i loro effetti pur se successivamente rimossi, in via retroattiva, da pronunce di annullamento”.

Più di recente Ad. plen. 30 luglio 2007, n. 9 che, in fattispecie per più versi analoga, conclude che “nella materia dei procedimenti di esproprio sono devolute alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie nelle quali si faccia questione - naturalmente anche ai fini complementari della tutela risarcitoria - di attività di occupazione e trasformazione di un bene conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilità e con essa congruenti, anche se il procedimento all’interno del quale sono state espletate non sia sfociato in un tempestivo atto traslativo ovvero sia caratterizzato dalla presenza di atti poi dichiarati illegittimi”.

Infine Ad. plen. 30 luglio 2007, n. 10, ha statuito che pur nell’ambito della giurisdizione generale di legittimità spetta al giudice amministrativo conoscere, ai fini risarcitori, dei danni conseguiti ad un provvedimento amministrativo annullato per intervenuta scadenza del suo termine di efficacia (nella specie : requisizione) anche se i danni stessi si sono verificati dopo la stessa scadenza.

Ne deriva, conclusivamente, che la domanda per cui è causa è stata correttamente compresa, dal giudice di primo grado, nella giurisdizione del giudice amministrativo in quanto intesa a rimediare, insieme in via impugnatoria e risarcitoria, ad una lesione che risulta conseguente ad una serie procedimentale certamente svolta, dalla Provincia di Modena, nella sua veste di Autorità nell’esercizio, sia pure illegittimo, del potere ad essa spettante.

Assumono particolare rilievo, ai fini della riconducibilità della lesione all’esercizio del potere pubblico, i provvedimenti di variazione e di integrazione della pianificazione urbanistica, i reiterati provvedimenti di dichiarazione di pubblica utilità, i conseguenziali provvedimenti di occupazione e di determinazione e deposito delle indennità nonché lo stesso provvedimento di trasferimento della proprietà che, benché adottato dopo la scadenza del termine fissato dalla dichiarazione di pubblica utilità e perciò illegittimo e perciò annullato, da una parte non inficia la dispiegata efficacia degli atti posti in essere precedentemente – atti giunti a configurare la irreversibile destinazione del bene all’uso pubblico - e, d’altra parte, non vulnera la ritenuta riconducibilità procedimentale dell’attività amministrativa all’esercizio di un pubblico potere autoritativo.

IX - Si deve, infine, sottolineare – e la circostanza sembra avere chiari riflessi nella intera materia delle espropriazioni per pubblica utilità - che, è intanto entrato in vigore, con decorrenza 30 giugno 2003, il T.U. approvato con D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, (v. in merito all’art. 57, Ad. plen. 29 aprile 2005, n. 2 e Sez.un. 30 maggio 2005, n. 11336 e 2 luglio 2007, n. 14954) che, nel suo art. 43 detta una innovativa disciplina in tema di fattispecie già inquadrate negli schemi, contrastati anche dalla Corte di Strasburgo, della c.d. accessione invertita, derivi essa da occupazione acquisitiva o usurpativa.

In presenza di utilizzazione di un bene immobile per scopi di interesse pubblico - prescrive la norma - che sia modificato “in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo di pubblica utilità “ l’autorità cui risale l’utilizzazione “anche quando sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio” può disporre che l’immobile stesso “vada acquisito al suo patrimonio indisponibile” con provvedimento discrezionale che, verso determinazione e preventivo pagamento della misura del risarcimento del danno, comporta il trasferimento del diritto di proprietà.

La norma, che rimette alla valutazione discrezionale dell’amministrazione di negare la restituzione del bene e che attribuisce al giudice amministrativo di sindacare, nell’ambito della giurisdizione attribuitagli ai sensi del successivo art.53, le ragioni del diniego - secondo alcuni con competenza non solo esclusiva ma estesa al merito - sembra rilevare, per quanto qui interessa, sotto due aspetti.

Da una parte ed in generale essa conferma, infatti, quanto si è venuto esponendo in tema di positiva priorità del criterio di discriminazione fondato sulla “riconducibilità” dell’esercizio del potere all’autorità per altro estendendo la possibilità di accertarlo anche per via del solo accertamento della qualifica di “autorità” del soggetto agente e delle strumentalità del suo agire ai fini della realizzazione degli “scopi di interesse pubblico” la cui cura è ad essa commessa.

D’altra e più specifica parte la norma importa, ed i suoi compiuti effetti debbono essere ovviamente verificati nel nuovo quadro definito dall’intero decreto, una profonda revisione degli istituti dell’accessione invertita così come introdotti e sviluppati dalla giurisprudenza.

La fattispecie regolata resta per più di un verso analoga nei suoi tratti generali posto :

- che non è sufficiente il mero impossessamento del bene immobile altrui ma è necessario che lo stesso immobile sia anche “modificato” ed “utilizzato per scopi di interesse pubblico”, che, cioè, si sia in presenza e di un’attività materiale e di una sua obiettiva strumentalità;

- che permane l’esigenza della qualificazione del soggetto pubblico agente, che, dovendo configurarsi come “autorità” deve agire, alla stregua di una interpretazione costituzionalmente orientata, nel riconoscibile esercizio dei suoi poteri autoritativi.

L’istituto è per altro innovato sia, come già rilevato, quanto ai modi di emersione di questo esercizio rispetto ai quali appare fortemente recessiva la rilevanza dei momenti procedurali della dichiarazione di pubblica utilità e del decreto di espropriazione e sintomatica, perciò,la sola astratta previsione del potere; sia quanto all’estensione dell’ambito della discrezionalità amministrativa; sia quanto al meccanismo del trasferimento della proprietà del bene immobile, del quale l’autorità può rifiutare la restituzione nel solo ambito delle cennate garanzie giuridiche ed economiche, la cui esigenza è stata specialmente sottolineata dalla Corte di Strasburgo; sia con riferimento alla tutela giudiziaria, interamente attribuita, ora, con la sola eccezione delle “vie di fatto” materiali, al giudice amministrativo, ben al di là, perciò, dei limiti precedentemente affermati.

Si realizza per tale maniera, nella materia delle espropriazioni (eccezion fatta per le questioni indennitarie) quella estesa concentrazione della giurisdizione che è tra gli obiettivi prioritari della recente legislazione e che, coerente con la acquisita pienezza dei poteri del giudice amministrativo, consente ponderate riflessioni anche nelle altre materie che tuttora esprimono elementi di incertezza sul tema per più versi centrale degli esposti criteri di discriminazione.

X - Ne deriva che, ritenuta e dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo, l’appello deve essere respinto con assorbimento del ricorso incidentale.

Le spese del grado di giudizio, tenuto conto della complessità delle questioni esaminate e del relativo esito, possono compensarsi.

Deve ordinarsi la rimessione degli atti di causa al Tribunale regionale amministrativo per la Lombardia, sezione di Brescia, per la definizione del giudizio

P. Q. M.

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ritenuta e dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo, respinge l’appello con assorbimento del ricorso incidentale.

Compensa le spese del giudizio di appello.

Ordina la rimessione della causa al Tribunale regionale amministrativo per la Lombardia , sezione di Brescia, per la definizione del giudizio.

Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, riunito in Adunanza plenaria nella camera di consiglio del giorno 15 ottobre 2007 con l’intervento dei signori Magistrati:

...
lillo1
00mercoledì 31 ottobre 2007 20:38
Re:
ferrari.m, 30/10/2007 0.07:


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.12/2007

Reg.Dec.

N. 8 Reg.Ric.

ANNO 2007

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 8/2007 dell’Adunanza Plenaria (n. 1614/2006 della Sez. IV del Consiglio di Stato) proposto dalla Provincia di Mantova, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dal Prof. Avv. Paolo Colombo e dall’avv. Alessandro Sperati, elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Roma, Piazza Mazzini, n. 27.
CONTRO

Gatti Marino, rappresentato e difeso dall’avv. Elia Di Matteo, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Francesco Da Riva Grechi in Roma, viale Bruno Buozzi, n. 109.
NONCHÉ CONTRO

Corso Eugenio, Merchiori Anna, Rabitti Marcello, Vanz Gloria e Nico Costruzioni s.r.l. non costituiti in giudizio.
PER L'ANNULLAMENTO

della sentenza non definitiva del TAR per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia 19 dicembre 2005, n. 1342.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del signor Gatti Marino;

Vista l’ordinanza della Sezione IV. n. 3288/2007 del 19 giugno 2007 con cui è rimesso all’Adunanza Plenaria il ricorso n. 1614/2006;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore, alla pubblica udienza del 15 ottobre 2007, il Presidente Giovanni Ruoppolo e uditi l’avv. Paolo Colombo e l’avv. Elia Di Matteo;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue
:
...



ok, la sentenza l'avevo già letta.
ma non hai risposto alla domanda sui loricati...


lillo1
00domenica 3 febbraio 2008 15:39
ma la telenovela continua...

CASSAZIONE, SEZ. UNITE CIVILI - ordinanza 7 gennaio 2008 -
le S.U. confermano l’orientamento secondo cui innanzi al G.A. può essere richiesto il risarcimento dei danni anche nel caso in cui non sia stato chiesto l’annullamento dell’atto illegittimo, senza che la parte debba in tale caso osservare il termine di decadenza pertinente all'azione di annullamento...

ferrari.m
00lunedì 19 maggio 2008 08:36
La telenovela continua:



***************************************

Giustizia amministrativa: il TAR Calabria nega la risarcibilità del danno senza il previo annullamento dell'atto illegittimo
TAR Calabria, Reggio Calabria, 12 maggio 2008, n. 248 - Aderendo all'orientamento dell'Adunanza Plenaria (decc. nn. 4/2003 e 12/2007) e della IV Sezione (dec. n. 2136/2007) del Consiglio di Stato, e ponendosi in contrasto con la più recente giurisprudenza della Cassazione, il TAR Calabria afferma che, dinanzi al giudice amministrativo, la tutela risarcitoria è ammissibile solamente quando sia stata esperita con successo quella demolitoria.
***************************************
Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria
Reggio Calabria

Sentenza 12 maggio 2008, n. 248

FATTO E DIRITTO


Premettono in fatto le ricorrenti che il Comune di Monasterace, con delibera C.C. 3 dicembre 1979, n. 134, approvava il progetto ed il piano parcellare di espropriazione per la realizzazione di un campo sportivo, che interessava una superficie di mq. 16.040, di proprietà di Ester di Francia, dante causa delle ricorrenti.

Il provvedimento dichiarava la pubblica utilità e l'indifferibilità ed urgenza dell'opera e fissava, ai sensi dell'art. 13 della l. 25 giugno 1865, n. 2359, in quattro anni dalla data della delibera (e, perciò, al 3 dicembre 1983), il termine per il completamento dei lavori e delle espropriazioni.

Con decreto 24 marzo 1980 n. 2 del Sindaco, era autorizzata l'occupazione d'urgenza, per la durata di cinque anni dall'immissione in possesso, che seguiva il 18 aprile 1980.

Con decreto 15 febbraio 1986, n. 735, il Sindaco di Monasterace determinava, in Lire 21.172.800, ed offriva l'indennità provvisoria di espropriazione e ne effettuava, con polizza 9 aprile 1986, il deposito presso la Cassa depositi e Prestiti, in favore della proprietaria.

Con decreto nella stessa data 9 aprile 1986, pronunziava l'espropriazione del terreno.

Deducono, pertanto, la intempestività del decreto, in mancanza di una motivata proroga dei termini di cui all'art. 13 della l. 25 giugno 1865, n. 2359, stante la inapplicabilità, alla fattispecie in esame, delle varie proroghe legislative dei termini delle occupazioni.

Chiedono, quindi, il risarcimento del danno per equivalente, ovvero la restituzione del bene ridotto in pristino e il compenso per il periodo di occupazione illegittima, in relazione al terreno sito in Monasterace, in catasto al foglio 7, particella 98, esteso mq. 16.040, invocando la disapplicazione del decreto di esproprio emesso fuori termine, da considerarsi inutiliter dato.

Costituitosi il Comune:

- ha chiesto in via preliminare la sospensione del processo ex art. 295 c.p.c., attesa la pendenza del giudizio di opposizione alla stima dell'indennità di esproprio relativa allo stesso fondo;

- ha eccepito la prescrizione del diritto al risarcimento,

- ha chiesto, in subordine, dichiararsi inammissibile la pretesa restitutoria, e condannarsi il Comune al pagamento del risarcimento per equivalente.

A seguito di deposito, il 9 novembre 2007 di memoria del Comune resistente con cui il legale dell'ente resistente ha dichiarato di aver reperito le delibere di proroga dei termini ex art. 13 cit., rilevando, di conseguenza, la tempestività del decreto de quo, le ricorrenti impugnano con motivi aggiunti sia la delibera G.M. del Comune di Monasterace, datata 31 dicembre 1982, n. 433, con la quale erano prorogati di quattro anni dalle rispettive scadenze i termini per il compimento della procedura espropriativa per la realizzazione del campo sportivo; sia la delibera 1° dicembre 1986, n. 183 del Consiglio Comunale di Monasterace, che ratificava la delibera della Giunta 31 dicembre 1982, n. 433, denunziandone:

- la violazione del combinato disposto dell'art. 1 della l. 3 gennaio 1978, n. 1 e degli artt. 139 e 140 del t.u. 4 febbraio 1915, n. 148 (abrogati, questi ultimi, dall'art. 64 della l. 8 giugno 1990, n. 142, ma vigenti all'epoca dell'adozione della delibera e dello stesso art. 13 della l. 25 giugno 1865, n. 2359) e

- l'eccesso di potere sotto il profilo della perplessità della motivazione e del travisamento dei fatti.

Disposta c.t.u. con ordinanza del 31 aprile 2007, la causa all'udienza del 23 aprile 2008 è stata trattenuta in decisione.

1. Per quanto incontestata dalle parti, sussiste la giurisdizione di questo Tar in ordine alla controversia portata all'attenzione del Collegio.

Essa, infatti, tende ad ottenere la riparazione delle conseguenze prodotte da un'occupazione divenuta, nella prospettazione delle ricorrenti, sine titulo in considerazione della tardività del decreto di esproprio, determinata dalla illegittimità delle delibere di proroga degli originari termini.

Il Comune avrebbe, infatti, secondo la tesi prospettata nel ricorso introduttivo e nel ricorso proposto con motivi aggiunti :

- avviato una procedura espropriativa;

- occupato il terreno delle ricorrenti in virtù di un decreto di occupazione di urgenza;

- emesso il decreto di esproprio a termini già scaduti, stante la illegittimità delle delibere di proroga;

- continuato ad occupare sine titulo il bene già materialmente appreso alla dante causa delle ricorrenti.

La pretesa azionata, dunque, trova causa in un comportamento evidentemente connesso all'esercizio di pubbliche potestà, rilevante ai fini dell'attribuzione della controversia alla giurisdizione esclusiva del G.A., per come modulata dal quadro normativo derivante dagli art. 34 d.lgs. 80/1998 e 53 t.u. espr., all'esito delle fondamentali pronunzie della Corte Cost. nn. 204/2004 e 191/2006 che hanno escluso dalla giurisdizione esclusiva prevista da tali norme solo le controversie derivanti da comportamenti della p.a. tenuti iure privatorum ovvero consistenti nelle c.d. vie di fatto.

Del tutto irrilevante è la natura risarcitoria/restitutoria delle pretese azionate, in considerazione del carattere servente e non autonomo della tutela in questione.

2. Stabilita la giurisdizione di questo Giudice, va esclusa l'applicabilità, alla presente controversia dell'istituto della sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. a causa della pendenza del giudizio di opposizione alla stima dell'indennità di esproprio.

Infatti, controversia sull'opposizione non influisce sulla decisione di quella odierna, stante l'assenza di un rapporto di pregiudizialità logica o giuridica della prima sulla seconda, vero essendo, piuttosto, il contrario in quanto l'annullamento o la disapplicazione (di cui si discute nell'odierno giudizio) del decreto di esproprio renderebbe improcedibile il giudizio di opposizione alla stima.

3. Poiché la illegittimità delle delibere di proroga della scadenza dei termini fissati ex art. 13 cit. determinerebbe la tardività del decreto di esproprio, il rigoroso ordine logico delle questioni imporrebbe la trattazione preliminare delle censure dedotte con motivi aggiunti.

Tuttavia, l'inversione dell'ordine di trattazione è imposta dall'inammissibilità del ricorso proposto con motivi aggiunti per carenza di interesse, determinata dalla inaccoglibilità della tesi delle ricorrenti in ordine agli effetti della tardiva emanazione del decreto, pur laddove se ne riconoscesse la intempestività.

Ritengono le ricorrenti che il decreto di esproprio emesso fuori termine sia inutiliter dato e, pertanto, disapplicabile.

La tesi trova un autorevolissimo fondamento in svariate pronunce della Suprema Corte di Cassazione, puntualmente citate nelle pregevoli memorie difensive di parte ricorrente.

Tale tesi, nonostante l'alto livello della ricostruzione teorica da cui trae origine, non è condivisa da questo Tar.

Ritiene, infatti, il Collegio che laddove esista una norma attributiva del potere di emettere l'atto autoritativo, ma questo venga emanato senza rispettare i presupposti previsti da essa per la corretta esplicazione del potere conferito, si configuri una violazione di legge.

Questa sussiste tutte le volte in cui venga violata una qualsivoglia regola posta dall'ordinamento giuridico e va qualificata quale vizio di legittimità dell'atto amministrativo unitamente ed al pari dell'incompetenza o dell'eccesso di potere.

La previsione, ex art. 13 cit., di termini per l'emanazione del decreto di esproprio, configura un precetto posto dalla legge ed indirizzato all'amministrazione pubblica al fine di porre un vincolo alla discrezionalità dei suoi poteri.

La sua violazione, pertanto, va qualificata come violazione di legge ossia come vizio di legittimità dell'atto amministrativo.

Se il mancato rispetto dei presupposti a cui la norma riconnette la corretta esplicazione del potere configura un vizio di legittimità dell'atto e la previsione dei termini ex art. 13 cit. altro non è se non presupposto per la legittima esplicazione del potere, è evidente che il precipitato logico del ragionamento seguito consiste nella qualificabilità della violazione dei termini fissati per l'emanazione del decreto di esproprio quale vizio dell'atto da farsi valere negli ordinari termini decadenziali, pena la inoppugnabilità dello stesso ed il divieto, per il Giudice Amministrativo, di disapplicazione.

Volendo riassumere in estrema sintesi il ragionamento seguito dovrebbe così dirsi:

Data la norma attributiva in astratto del potere autoritativo,

- la violazione di ogni precetto posto dal legislatore quale vincolo per l'agire amministrativo configura una violazione di legge, ossia un vizio di legittimità dell'atto da farsi valere nei consueti termini decadenziali;

- la previsione dei termini ex art. 13 cit. configura tale tipo di precetto;

- la loro violazione configura, pertanto una violazione di legge da farsi valere quale vizio di legittimità dell'atto amministrativo nei termini decadenziali;

La tesi qui seguita si inserisce nell'annoso dibattito tra le Supreme Magistrature Ordinaria ed Amministrativa in ordine alla tematica della configurabilità della carenza di potere in concreto.

I termini della questione e la posizione dei due ordini giudiziari sono ben noti e gli argomenti spesi a favore dell'una e dell'altra tesi sono ormai consolidati, sicché sul punto non può che rimandarsi alle posizioni già espresse dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nelle decisioni nn. 8/2002 e 4/2003 (invero riguardati il diverso caso di dichiarazione di pubblica utilità emessa senza la indicazione dei termini di inizio e, soprattutto, di ultimazione dei lavori, ma applicabili anche alla fattispecie in esame).

La tesi della configurabilità della carenza di potere in concreto relativamente ad un decreto di esproprio emesso fuori termine e la sua conseguente disapplicabilità, non convince questo Collegio perché essa è foriera di un insuperabile grado di incertezza, in quanto ancora nessun teorico della categoria in esame è stato in grado di determinare quale sia il criterio discretivo tra il requisito previsto dalla legge quale presupposto per l'esercizio del potere e, dunque, per la configurabilità della carenza di potere in concreto ed il requisito previsto dalla legge per il suo corretto esercizio e, dunque, per la configurabilità della violazione di legge. E' infatti di tutta evidenza che così ragionando qualunque violazione di legge sarebbe qualificabile come presupposto per l'esercizio del potere in funzione del diritto soggettivo, con buona pace del vizio di violazione di legge.

Per le ragioni suesposte, in assenza di una tempestiva impugnazione del decreto di esproprio emesso fuori termine, resta escluso che esso possa essere considerato altro che un atto illegittimo divenuto inoppugnabile per mancato esperimento della tempestiva tutela giurisdizionale.

4. Affermata la qualificabilità del vizio posto a fondamento della pretesa azionata quale vizio di legittimità non tempestivamente dedotto, resta da verificare se ai fini risarcitori/restitutori sia, comunque consentita la disapplicazione dell'atto.

Posto che l'obbligo di restituzione del bene sarebbe disceso direttamente dalla sentenza di annullamento del decreto di esproprio - che, diversamente configura un idoneo titolo giustificativo dell'occupazione del bene - il divieto di disapplicazione a fini restitutori deriva direttamente dal principio di inoppugnabilità.

La tematica della disapplicazione dell'atto a fini risarcitori, va invece risolta spostando l'analisi sul tema della pregiudizialità.

Il Collegio ritiene di aderire alla tesi - già fatta propria dall'Adunanza Plenaria con le decisioni nn. 4/2003 e 12/2007 ed anche dalla IV Sezione con la decisione n. 2136/2007 - che ammette la tutela risarcitoria solo laddove venga esperita con successo la quella demolitoria.

Le ragioni che militano in favore di tale tesi, rinviando alle decisioni già citate per una loro puntuale esplicazione, sono:

- in primo luogo storiche in quanto, premessa la natura di interesse legittimo della posizione tutelata e la natura servente della tutela risarcitoria, è sempre stato richiesto il preventivo annullamento dell'atto fonte di danno all'interesse legittimo, sia perché per la originaria posizione giurisprudenziale che negava la risarcibilità degli interessi legittimi, ciò era necessario per consentire alla posizione soggettiva di riespandersi a diritto soggettivo (la cui risarcibilità era consentita), sia perché le varie normative di settore che espressamente consentivano la tutela degli interessi pretensivi, altrettanto espressamente richiedevano il previo annullamento;

- in secondo luogo logiche, per il principio di non contraddizione dell'ordinamento e certezza del diritto che verrebbero seriamente incrinati laddove si ammettesse da un lato la insindacabilità dell'atto inoppugnabile nell'ambito della tutela demolitoria e dall'altro si prevedesse il vaglio della sua legittimità nell'ambito della tutela risarcitoria, così svuotando di significato le conseguenze dell'inoppugnabilità, relativamente a tale profilo;

- inoltre sistematiche, perché la tutela risarcitoria è tutela ulteriore dell'interesse legittimo, la cui natura accessoria presuppone che siano stati esperiti i rimedi rituali a tutela della posizione giuridica lesa;

- infine letterali, perché la tutela risarcitoria dinanzi al G.A., prevista in termini generali dall'art. 7, co 3 3, l. 1034/1971, lo è "nell'ambito della sua giurisdizione", tale essendo quella impugnatoria.

A tali argomenti ne va aggiunto uno ulteriore di carattere logico: diversamente opinando, infatti, si dovrebbe necessariamente escludere dalla tutela risarcitoria apprestabile dal G.A. quella in forma specifica, al fine di evitare l'aggiramento dei termini decadenziali attraverso la tutela risarcitoria.

L'affermazione merita di essere chiarita ed a tal fine vanno poste tre premesse:

1) La tutela risarcitoria può essere apprestata sia in forma specifica sia per equivalente.

Le due forme risarcitorie sono alternative, ma - in linea di massima - va preferita quella in forma specifica, perché consente al danneggiato di ottenere esattamente il bene della vita di cui è stato ingiustamente privato, così assicurando l'attuazione del principio di effettività della tutela.

2) Il risarcimento in forma specifica, di norma, coincide con gli effetti della tutela demolitoria. Si pensi ai casi in cui venga richiesto il risarcimento del danno per l'illegittima esclusione da una procedura ad evidenza pubblica o per la mancata aggiudicazione di essa. In tali ipotesi la ripetizione, parziale o totale della gara, derivante dall'annullamento dell'atto, ben si atteggia quale risarcimento in forma specifica.

3) Per il principio di non contraddizione, non può, attraverso il riconoscimento della tutela risarcitoria in forma specifica, consentirsi una sostanziale elusione dei termini decadenziali previsti per l'impugnativa degli atti amministrativi.

Pertanto, se non viene esperita la tutela demolitoria, appare impensabile condannare l'amministrazione a risarcire in forma specifica, perché ciò si risolverebbe in una negazione del principio di inoppugnabilità dell'atto.

Ciò significa che:

- poiché il riconoscimento della tutela risarcitoria in forma specifica si concretizza nell'eliminazione delle conseguenze dannose dell'atto;

- poiché l'eliminazione di tali conseguenze è il normale effetto della tutela demolitoria (laddove questa intervenga tempestivamente);

- poiché, tuttavia, non essendo consentita l'elusione dei termini decadenziali, non possono assicurarsi le utilità della tutela demolitoria, non essendo stata essa tempestivamente esperita,

- si dovrebbe escludere il risarcimento in forma specifica tutte le volte in cui non vi sia stato il preventivo annullamento.

Ciò comporterebbe la automatica concentrazione della tutela risarcitoria nell'unica forma del risarcimento per equivalente, con esclusione in astratto di quelle utilità che, invece, più appaino conformi al principio di effettività della tutela sancito dall'art. 24 della Carta Costituzionale.

5. Quanto agli effetti del mancata impugnativa dell'atto che si assume fonte di danno, ritiene il Collegio che essa vada qualificata come causa di rigetto nel merito del ricorso e non di inammissibilità.

Infatti, se non viene esperita la tutela impugnatoria risulta insindacabile la legittimità dell'atto e dunque indimostrata l'antigiuridicità della condotta.

Da ciò consegue il rigetto della pretesa risarcitoria perché non risulta assolto l'onere probatorio in ordine ad uno degli elementi della fattispecie di cui all'art. 2043 c.c.

6. L'impugnativa degli atti proposta con motivi aggiunti va giudicata inammissibile per difetto di interesse, in quanto dalla pronuncia di annullamento delle delibere di proroga dei termini per l'emanazione del decreto di esproprio le ricorrenti non trarrebbero alcuna utilità, poiché per le ragioni sopra esposte avrebbe dovuto, comunque, essere impugnato anche il decreto ablatorio emesso oltre i termini originariamente stabiliti.

7. Le spese, stante la non univocità dell'orientamento giurisprudenziale nella materia oggetto di controversia, possono essere compensate, ad eccezione di quelle per la disposta c.t.u., che restano definitivamente a carico di parte ricorrente.

P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, cosi provvede:

- rigetta la domanda risarcitoria;

- dichiara inammissibile per carenza di interesse il ricorso proposto con motivi aggiunti;

- compensa integralmente le spese ad eccezione di quelle per la c.t.u. che restano definitivamente a carico di parte ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Michele Dei Cas
00giovedì 22 maggio 2008 11:17
corollario importante - termine di prescrizione
Cassazione, Sezioni Unite Civili, 8 aprile 2008, n. 9040

Le Sezioni Unite con la decisione in esame hanno affermato che la facoltà di agire per il risarcimento del danno ingiusto causato da atto amministrativo illegittimo - senza la necessaria pregiudiziale impugnazione del medesimo atto lesivo - implica che il termine di prescrizione dell'azione di risarcimento decorre dalla data dell'illecito e non da quella del passaggio in giudicato della sentenza di annullamento da parte del giudice amministrativo.
La pronuncia della Suprema Corte – che appare strettamente legata alla “svolta giurisprudenziale” contraria alla cd. pregiudiziale amministrativa; sul punto cfr. Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, ord. 13 giugno 2006 nn. 13659 e 13660; Cass. Civ., 15 giugno 2006, n. 13911; Cass. Civ., n. 13 del 5 gennaio 2007; Cass. Civ., n. 1139 del 19 gennaio 2007, Cass. Sez. I Civ., 17 ottobre 2007, n. 21850 e la recentissima Cass., Sez. un., ord. 7 gennaio 2008, n. 35 – si contrappone all'orientamento finora dominante (non solo nella giurisprudenza ordinaria) che riteneva di dover ancorare la decorrenza del termine prescrizionale alla data del passaggio in giudicato della sentenza demolitoria dell'atto amministrativo illegittimo e lesivo.
lillo1
00giovedì 22 aprile 2010 14:22
da sole di oggi...
forse il nuovo codice mettera la parola fine all'eterno dibattito sulla pregiudiziale?


Il Governo ha modificato la parte del Codice di giustizia amministrativa relativa al diritto al risarcimento del danno causato da attività illegittima della p.a.

Il Governo, con delega disposta dall'art. 44, L. n. 69/2009, ha affidato la stesura del Codice di giustizia amministrativa ad una Commissione istituita presso il Consiglio di Stato composta da magistrati ordinari e speciali , docenti, avvocati. Lo schema elaborato dalla Commissione ha subito modifiche dal Governo e dovrà essere sottoposto all'esame delle Commissioni Parlamentari per poi tornare al Governo per l'approvazione definitiva. Le modifiche apportate dal governo riguardano essenzialmente il risarcimento del danno e l'azione di condanna della p.a., in particolare con riferimento alla questione di "pregiudizialità". In altri termini, si è trattato di valutare l'opportunità di sganciare il diritto al risarcimento, da attività illegittima della p.a., dal previo annullamento del provvedimento amministrativo. La scelta del Governo, nonostante qualche delusione della Commissione del Consiglio di Stato, è stata dettata da necessità economiche: il diritto al risarcimento più facile espone l'erario a maggiori spese. Il Governo, tuttavia, a fronte di un ritorno alla pregiudizialità pura ha scelto una via di mezzo che dovrà ancora superare il vaglio delle Commissioni Parlamentari. Ad ogni modo, nonostante tale affievolimento del diritto al risarcimento del danno da parte della p.a., il Codice amministrativo rappresenta sempre una conquista ed ha un grande valore simbolico perché allinea la giustizia amministrativa - ferma peraltro ad un regolamento di procedura del 1907 - alle altre giurisdizioni.




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