UN BIGLIETTO DI SOLA ANDATA PER I LAUREATI IN FUGA DALL'ITALIA

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INES TABUSSO
00lunedì 23 aprile 2007 19:00


IL MESSAGGERO
23 Aprile 2007
Sei saggi contro Concorsopoli
Una supercommissione controllerà i titoli dei ricercatori


Fondi dimezzati,
più difficile
il rientro dei cervelli

ROMA - Se uno di prestigio come Carlo Bernardini, che alla Fisica ha dedicato la vita, membro del Comitato ministeriale di scienziati, usa toni accorati per dire che la ricerca è al capolinea, vuol dire che l’Italia non ha più tempo da perdere. «I finanziamenti sono così modesti - sostiene - che la situazione è di estrema gravità. Considerato lo stato dell’economia non mi sento di rimproverare nessuno in particolare, ma le conseguenze sono allarmanti. Se non si interviene il Paese rischia di morire e di uscire dalla lista dei Paesi sviluppati. La mancanza di risorse, infatti, provoca danni irreparabili, tanto più che i nostri laureati sono buoni. All’estero li prendono a scatola chiusa, mentre noi, comportandoci così, non riusciamo a tenerli a casa». In Italia negli ultimi venticinque anni è cambiato poco, ma a Silicon valley, negli Usa, ci sono già state tre rivoluzioni tecnologiche. Soldi, ricerca libera e trasparenza, la ricetta. Il dato più sconfortante è che i protagonisti di tante ricerche in biogenetica e nanotecnologie molecolari sono spesso italiani, giovani che abbiamo formato nelle nostre aule spendendo cifre da capogiro.
I ricercatori prima li facciamo partire, poi, quando tornano, non abbiamo le risorse per utilizzarli. Dietro questo ostracismo insensato c’è la cronica mancanza di soldi. Non è detto che i ricercatori espatriati e tornati siano i migliori. Molti rimasti in Italia hanno titoli altrettanto brillanti. Sta di fatto che i “cervelli” che abbiamo richiamato, spendendo 3 milioni di euro nel 2006, vagano alla ricerca di una università o di un ente di ricerca che li prenda e li faccia lavorare. Se non accade qualche cosa, in fretta, molti faranno di nuovo la valigia. Anche perché i fondi del 2007 sono stati tagliati della metà: da tre milioni di euro siamo passati a un milione e mezzo, di tanto è sceso il finanziamento per le chiamate dirette degli scienziati emigrati. «E per fortuna che il Consiglio universitario nazionale stavolta non ha dato un’interpretazione restrittiva della legge - spiega Carlo Galli, 43 anni, dal ’93 al ’98 in Germania, del Coordinamento “cervelli rientrati” - Resta il problema del collocamento. Non è chiaro che cosa accadrà a chi ha qualche contratto in scadenza o non ha nulla. Se a tanta emigrazione massiccia almeno corrispondesse l’arrivo di stranieri ci sarebbe una sana circolazione di “cervelli”». Il Coordinamento degli scienziati è convinto che occorra una «politica ad ampio raggio» per impedire la «fuga».
Se chi è rientrato ha molti problemi, non va tanto meglio ai ricercatori che l’Italia non l’hanno mai lasciata. I concorsi sono fermi, la meritocrazia esiste solo a chiacchiere e gli stipendi sono da fame. «Da noi cominciano con 800 euro durante il dottorato - sottolinea ancora Bernardini - e prima di arrivare a 1.500 euro ci mettono sei-sette anni. All’estero, invece, guadagnano subito tre-quattro volte di più». Ma i concorsi sono bloccati. Con una mozione contro i mancati bandi è sceso in campo il Cun presieduto da Andrea Lenzi: «La mancata applicazione della legge Moratti ha determinato un vuoto legislativo e tale situazione provoca frustrazione nel mondo accademico per l’assenza di prospettive per i meritevoli, con il paradosso che l’unica possibilità di essere reclutati come associati o come ordinari è al momento subordinata all’avere svolto attività di docenza e di ricerca all’estero, e usufruire della normativa del rientro dei cervelli e delle chiamate dirette». Non c’è traccia di nuovi bandi e il Cun chiede che si riprenda la consueta cadenza concorsuale.
«Ma quali assunzioni - hanno detto l’altro giorno i rettori - nelle condizioni in cui versano le casse degli atenei sarà estremamente difficile trovare risorse per reclutare le decine di migliaia di aspiranti ricercatori. Al massimo potremo prenderne cinquecento». L’assemblea generale dei rettori non ha esitato a parlare di situazione «drammatica» denunciando la mancanza di un miliardo e mezzo di euro dai bilanci degli atenei: «Non garantiamo - ha poi aggiunto la Conferenza dei rettori - il pagamento degli aumenti stipendiali». Al grido d’allarme delle università si è aggiunto quello del Cnr. Fabio Pistella, il presidente, ha fatto i conti di quello che mancherà dal suo bilancio: «52 milioni di euro», il totale dei tagli apportati all’istituto di ricerca. «Occorre sbloccare i fondi», ha poi aggiunto Pistella.
Come farà Prodi a mantenere la sua promessa è un mistero. Tre giorni fa a Tokyo il premier ha detto che bisogna «aumentare gli stipendi ai ricercatori». «Obiettivamente guadagnano così poco... - ha poi ammesso - Per evitare la fuga dei cervelli non basta davvero qualche incentivo ai premi Nobel». E proprio da un Nobel prestigioso come Rita Levi Montalcini arriva un richiamo: «Università e ricerca sono il futuro del Paese, è necessario avere accesso alle risorse disposte dalla Finanziaria e subito dopo attivarsi per avere nuove risorse in modo da attenuare gli effetti dei tagli».
A. Ser.





ECCO IL DECRETO CON LE NUOVE REGOLE
di ANNA MARIA SERSALE

Dopo il susseguirsi di una serie di bozze, il decreto ora è pronto. Mussi lo invierà, tra oggi e domani, al Consiglio universitario nazionale (Cun) e alla Conferenza dei rettori (Crui) per avere il loro parere. Parere consultivo, ma importante, dal momento che la riforma dei concorsi non avverrà per mezzo di una legge ma con un decreto del ministro, che ha avuto ampia delega dal governo.
Del decreto anticipiamo i contenuti salienti. Ci sarà un «codice deontologico» che i partecipanti alle commissioni dovranno sottoscrivere. Agli stranieri in commissione (sei professori e un presidente) è affidato un ruolo deterrente. Ci saranno anche i «revisori». Il ministero, indipendentemente dalla commissione, per ciascuna «procedura valutativa» sottoporrà per via telematica la documentazione dei candidati al giudizio di sette esperti revisori. «Cinque di questi sono individuati mediante sorteggio nell’ambito di una lista di professori di prima fascia di università italiane e di dirigenti di ricerca del macro-settore» disciplinare. Il ministro Mussi spera così di spezzare le cordate accademiche, le lobby e i potentati che influenzano pesantemente la vita delle università. Sempre per combattere gli abusi è prevista l’«aggregazione» delle aree scientifiche, veri domini dei baroni. Attualmente le aree sono quasi trecento, troppo frammentate. Diventeranno una settantina al massimo. Per ora non si sa in che modo avverrà il taglio (o fusione) delle aree. Mussi, infatti, ha scritto una lettera al Cun chiedendo di proporre una soluzione. I membri del Consiglio sono già al lavoro. «Salteranno molti interessi», sostiene Guido Fiegna, del Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario (Cnvsu). Intanto, montano le polemiche, sia nel mondo politico che in quello universitario. Dure critiche dalla Margherita, dice in un suo intervento Ferdinando Latteri, il responsabile università del partito di Prodi e Rutelli: «Non risulta di immediata evidenza l’obiettivo e, in particolare, il tipo di studioso che si vuole selezionare con la nuova tecnica concorsuale. Risulta, invece, assolutamente evidente che l’attuazione del progetto impedirebbe qualunque possibilità di esercitare una funzione di cooptazione scientifica di giovani talenti all’interno di un gruppo di ricerca. L’intero modello sembra ispirato da una sorta di determinazione punitiva e da una specie di “demagogia della serietà”». Latteri sostiene anche che «il risultato è incoerente e contraddittorio».
Soddisfatto, con qualche riserva, l’economista Giacomo Vaciago: «Mi sembra che le regole vadano alla radice del problema, i giudizi degli esterni sono una cosa positiva. E non mi dispiace l’idea dell’idoneità preliminare. Regole, queste, che devono riguardare tutti, sia i “cervelli” da far rientrare, sia gli altri. Perché non possiamo avere diciotto modi diversi per diventare professore universitario. E poi attenzione, con il piano speciale sui cervelli, a non far rientrare i pensionati, la scelta deve riguardare i giovani meritevoli. Non dimentichiamo che l’età creativa è dai 35 ai 45 anni, poi si possono solo riordinare le idee».
Critico Alessandro Finazzi Agrò, rettore di Tor Vergata: «Mi pare impraticabile, prevede un meccanismo strano. Una sorta di pre-filtro a livello nazionale. E poi, se prevediamo che il candidato faccia un seminario davanti alla commissione allora si parla di un ricercatore maturo, non di un giovane. Sarà, ma io resto contrario ai concorsi: nessun sistema va bene, meglio la cooptazione pura e poi chi sbaglia paga». Mentre Nunzio Miraglia dell’Associazione nazionale docenti sottolinea: «E’ inaccettabile che una riforma così importante sia approvata con decreto e non con una legge del Parlamento». Intanto, la macchina dei concorsi è ferma. «Nel sistema universitario occorre una iniezione di meritocrazia - osserva Paolo Annunziato, direttore del nucleo Ricerca della Confindustria - Questa in discussione è una delle riforme più importanti per dare competitività al sistema Italia. Abbiamo ricercatori eccellenti, ma a costoro non vengono date nè maggiori risorse, nè carriere diverse. La strategia, invece, deve essere quella della selezione e della trasparenza. Quanto al reclutamento siamo contrari ad ogni forma di ope legis, per trasformare un precario di lunga durata in un ricercatore, perchè un ricercatore non è un impiegato comunale. Comunque, la svolta ci sarà se il suo finanziamento dipenderà dai suoi risultati».




I bandi di concorso sono raggruppati in due sessioni annuali. I bandi della prima sessione sono emanati dai rettori delle università entro il 31 maggio e la scadenza dei termini è fissata per il 31 luglio successivo. Quelli della seconda sessione, invece, sono emanati entro il 30 novembre e la scadenza è fissata per il 31 gennaio successivo.
Per ciascun macro-settore il bando di concorso indica il numero di posti messi a concorso e prevede una distinta procedura valutativa. Per ciascun posto messo a concorso possono essere indicati uno o due settori scientifico-disciplinari facenti parte del macro-settore.




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