VITTORIO GREVI: DIRE STOP NON BASTA

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INES TABUSSO
00lunedì 29 maggio 2006 00:45


CORRIERE DELLA SERA
28 maggio 2006
Dire stop non basta
di VITTORIO GREVI

La nota diffusa venerdì da Palazzo Chigi circa i provvedimenti legislativi ritenuti prioritari dal governo Prodi pone l’accento su tre diversi livelli di intervento in materia di giustizia. Alla base vi è un evidente proposito correttivo rispetto ad altrettante leggi fortemente sostenute dalla precedente maggioranza, e fatte approvare negli ultimi mesi della legislatura nonostante le gravi riserve manifestate su tali leggi (due delle quali addirittura rinviate al Parlamento dal presidente Ciampi) da qualificati ambienti della dottrina giuridica, della magistratura e dell’avvocatura. Il primo dei suddetti interventi, rispetto al quale si erano già nei giorni scorsi registrate significative aperture da parte del Guardasigilli Mastella, riguarda la sospensione dell’efficacia, mediante proroga dei termini di entrata in vigore, di alcuni decreti di attuazione della legge di riforma dell’ordinamento giudiziario (rispettivamente in tema di gerarchizzazione interna degli uffici del pubblico ministero, di sistema disciplinare, nonché di accesso in magistratura e di progressione in carriera), non a torto individuati per vari profili come fonte di disfunzioni e di effetti controproducenti. Il che non esclude, naturalmente, che molti problemi rimangano aperti, e che debbano essere tempestivamente affrontati attraverso una riforma dell’ordinamento giudiziario davvero modellata in chiave di «conformità» con la Costituzione: ad esempio senza introdurre meccanismi surrettizi di «separazione delle carriere» tra giudici e pubblici ministeri, essendo allo scopo più che sufficiente una seria «distinzione delle funzioni».
Il secondo dei preannunciati interventi concerne la modifica della «legge ex Cirielli», giustamente criticata sia per certi eccessi di indiscriminato rigore punitivo a carico dei condannati recidivi (senza distinguere tra le diverse possibili situazioni), sia soprattutto per i drastici criteri di abbreviazione dei termini di prescrizione da essa introdotti, senza alcun previo monitoraggio sulla «falcidia» che ne sarebbe derivata nei confronti dei processi pendenti e futuri, in mancanza dei pur necessari provvedimenti volti a restringerne l’odierna eccessiva durata. E se gli effetti «fulminanti» sui processi in corso sono stati finora contenuti (ma non al punto da impedire, tra l’altro, la prescrizione della inchiesta romana sullo «stralcio Imi-Sir» a carico degli avvocati Pacifico e Previti) grazie ai limiti posti da una provvidenziale disciplina transitoria, bisogna tuttavia correre ai ripari per evitare che, in futuro, i nuovi e più brevi termini di prescrizione diano luogo a una sorta di anomala «amnistia strisciante», almeno per determinate categorie di reati di medio-alta gravità.
La terza prospettiva di intervento si riferisce alla «legge Pecorella», che ha inciso in maniera disordinata nel sistema delle impugnazioni penali, provocando conseguenze spesso inique e irragionevoli (a dispetto dei rilievi a suo tempo formulati nel messaggio del presidente Ciampi) a seguito sia della esclusione della normale appellabilità delle sentenze di proscioglimento, sia del correlativo allargamento degli spazi del ricorso per cassazione. E sebbene su tale legge sia stata ripetutamente chiamata a pronunciarsi la Corte Costituzionale, sarebbe comunque quantomai auspicabile un tempestivo intervento del legislatore: non solo nel senso di ripristinare il potere di appello di tutte le parti (ivi compresa la parte civile, oggi confinata in un limbo oscuro) contro le sentenze di proscioglimento, ferma restando la previsione di adeguati congegni di garanzia per l’imputato prosciolto in primo grado, ma anche nel senso di salvaguardare la fisionomia della Corte di Cassazione quale giudice di legittimità.
A queste tre priorità, infine, se ne deve oggi aggiungere un’altra, collegata ai sempre più vistosi abusi nella pubblicazione dei risultati di intercettazioni telefoniche, pur legittimamente eseguite: sia di conversazioni irrilevanti ai fini processuali, sia soprattutto di verbali ancora coperti dal segreto investigativo. Sul punto si dovrà necessariamente tornare, ma è innegabile che, una volta fissati ragionevoli limiti obiettivi per la pubblicabilità di tali risultati, la violazione dei suddetti limiti debba essere colpita con sanzioni fortemente dissuasive.


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