VITTORIO GREVI: QUALCHE PROPOSTA CONCRETA PER LA GIUSTIZIA, LE BUONE INTENZIONI NON BASTANO

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INES TABUSSO
00lunedì 27 febbraio 2006 02:07

CORRIERE DELLA SERA
26 febbraio 2006
Buone intenzioni, non basta
di VITTORIO GREVI

Al di là di altri scenari meno legati alle polemiche contingenti, i magistrati riuniti a Roma nel XXVIII congresso dell’Anm hanno trovato una forte base di unità e di compattezza nella decisa reazione agli attacchi continui e generalizzati provenienti dal presidente del Consiglio Berlusconi e nella aspra critica alla politica giudiziaria dell’attuale maggioranza, al termine di una legislatura caratterizzata da leggi che «hanno solo peggiorato il servizio giustizia», come ricordava ieri sul Corriere Giovanni Bianconi. Resta aperto il quesito se altrettanta unità e compattezza potranno registrarsi anche nella prossima legislatura, nell’ipotesi di una nuova maggioranza e dopo che il sistema sia stato ripulito dalle più aberranti fra le leggi approvate negli ultimi 5 anni. Un rischio di divergenze interne potrebbe forse profilarsi, anche in rapporto alle diverse anime culturali presenti nella magistratura, ma un elemento unificante non potrà non essere rappresentato dal comune obiettivo dell’«efficienza della giustizia». Un tema nemmeno menzionato nel programma elettorale della Casa delle Libertà e invece individuato come prioritario nel programma dell’Unione, nel quale però al preannuncio di un «pacchetto» sulla durata dei processi non si accompagnano specifiche proposte, sicché l’intento finisce per essere troppo generico e indeterminato. Un tema di fronte al quale, soprattutto in materia di giustizia penale, si pone come centrale il problema politico del contemperamento tra efficienza e garanzie; salvo poi doversi precisare che le garanzie da salvaguardarsi sempre e comunque sono quelle previste come tali dalla Carta costituzionale, non anche quelle ulteriori (spesso prive di incidenza sostanziale) cumulatesi negli anni per effetto di disordinati interventi legislativi.
Per affrontare il problema nel breve periodo si potrebbe per esempio operare lungo le seguenti grandi linee: 1) semplificazione dei meccanismi delle notificazioni, oggi ancora legati a superati formalismi e non al passo con le moderne tecnologie, prevedendo tra l’altro che le notifiche all’imputato successive alla prima possano di regola eseguirsi presso il difensore di fiducia (e, nel caso di due difensori, che sia sufficiente la notifica degli atti a uno di essi); 2) razionalizzazione del sistema delle nullità e delle altre invalidità di natura formale, tra l’altro allo scopo di evitare che eventuali vizi già noti alle parti possano venire tenuti «in tasca», per essere dedotti solo nei gradi successivi di giudizio, così da ottenere la regressione dell’intero procedimento; 3) previsione di criteri di maggior rigore rispetto al giudizio in contumacia, nonché nella disciplina dei rinvii delle udienze, soprattutto per legittimo impedimento delle parti o dei difensori (con particolare riguardo anche alla definizione degli impedimenti riconducibili alla attività parlamentare); 4) attribuzione al giudice di più intensi poteri di «filtro» nei confronti di certe iniziative delle parti, soprattutto sul terreno probatorio, così da disincentivare quelle motivate da ragioni pretestuose; 5) rivisitazione del sistema delle impugnazioni, sia nel senso di ristabilire «condizioni di parità» delle parti con riguardo all’appello sia nel senso di limitare decisamente i casi di ricorso in cassazione per difetto di motivazione; 6) riforma della disciplina della prescrizione del reato, quando un procedimento sia stato avviato, facendo decorrere i relativi termini dalla data di tale avvio e prevedendo un adeguato supporto di meccanismi interruttivi e sospensivi (correlati alle concrete vicende del processo), fino a stabilirne la sospensione nel caso di impugnazione dell’imputato contro la sentenza di condanna, salvo che la stessa abbia esito favorevole.
Lo scopo, su cui l’intera magistratura non potrà non essere d’accordo, oggi come domani, è soprattutto quello di costruire un sistema volto a dissuadere le parti dalla tentazione dell’uso (o, meglio, dell’abuso) degli istituti processuali per finalità estranee alla logica del processo: come sono, per esempio, le finalità di natura dilatoria, tipiche di chi punta a difendersi «dal» processo, anziché «nel» processo. Una tentazione del genere sarebbe ovviamente incoraggiata, qualora simili strategie strumentali finissero per essere «premiate» (addirittura al punto da propiziare la scadenza dei termini di prescrizione) e proprio perciò la legge dovrà predisporre in futuro ogni misura necessaria per impedire che ciò accada. È questa, del resto, una diretta conseguenza del principio della «ragionevole durata», proclamato dalla Costituzione quale presupposto strutturale del «giusto processo». Un principio destinato a operare, dunque, non solo come criterio guida, ma anche come limite obiettivo per le scelte affidate alla discrezionalità del legislatore, rispetto a tutte le materie non coperte da specifiche garanzie costituzionali.


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