cds e società miste

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lillo1
00martedì 22 maggio 2007 22:21
Il Consiglio di Stato, sez. II, in un parere rivolto al Ministero delle Politiche agricole e forestali (parere n. 456/2007), ha dettato alcune importanti regole in materia di società miste.

In un corposo parere rivolto al Ministero delle Politiche agricole e forestali (parere n. 456/2007), il Consiglio di Stato ha rilanciato le società miste stabilendo alcuni punti fermi sul tema.
E’ opportuno premettere che le società miste, costituite soprattutto dagli Enti locali per la gestione dei servizi pubblici, dopo una stagione di fioritura negli anni passati, sono state messe da parte dal diritto comunitario in quanto tale modello ha rappresentato spesso un espediente per aggirare la regola dell’affidamento dei servizi locali in base ad una procedura competitiva.
Il Consiglio di Stato si è così espresso con il parere n. 456/2007, delineando una soluzione che potrebbe incontrare anche il consenso della Corte di Giustizia Ue.
Il Consiglio ha innanzitutto ribadito che società mista ed affidamento in house sono modelli incompatibili.
La società mista, il cui ricorso è consentito dal Tuel (e previsto, peraltro, dal disegno di legge di riforma dei servizi pubblici locali attualmente all’esame del Parlamento), rappresenta una soluzione secondaria rispetto alla gara per l’affidamento del servizio aperta a tutti, più in linea con il diritto comunitario; tale ricorso, inoltre, deve essere adeguatamente motivato.
Ancora. La società mista deve essere concepita solo come una modalità organizzativa con la quale l’amministrazione “controlla l’affidamento disposto, con gara, al socio operativo della società”.
L’ultimo punto evidenziato dal Consiglio di Stato è la necessità di prevedere un meccanismo di uscita e di liquidazione della posizione del socio privato al termine del periodo di affidamento nel caso in cui lo stesso perda la nuova gara.
Per mezzo di queste regole, dunque, la società mista può rinascere con minor rischio di abusi e favoritismi
marco panaro
00giovedì 24 maggio 2007 17:54
Certo. Poi se volessi affidargli altri servizi, che faccio?
marco panaro
00martedì 29 maggio 2007 16:55
Consiglio di Stato, Adunanza Sezione II, 18/4/2007 n. 456
Il modello della “società a capitale misto pubblico privato” esiste – come distinto dall’in house – nell’ordinamento nazionale, sia nella disposizione generale dell’art. 113 t.u.e.l. che in varie disposizioni speciali. D’altro canto, però, tale disciplina è in evoluzione, sia de iure condito (art. 1, comma 2, e art. 32 del d.lgs. n. 163 del 2006; art. 13 del d.l. n. 223 del 2006) che de iure condendo (AS n. 772), poiché continua a suscitare perplessità la piena compatibilità di tale modello con il sistema comunitario, alla stregua della recente e rapida evoluzione giurisprudenziale (che sembra ancora in corso) e stante l’assenza di decisioni specifiche sul punto.

La Sezione ritiene possibile affermare che tale compatibilità possa essere rinvenuta, alla stregua dei principi espressi, direttamente o indirettamente, dalla Corte di giustizia, quantomeno in un caso: quello in cui – avendo riguardo alla sostanza dei rapporti giuridico-economici tra soggetto pubblico e privato e nel rispetto di specifiche condizioni – non si possa configurare un “affidamento diretto” alla società mista ma piuttosto un “affidamento con procedura di evidenza pubblica” dell’attività “operativa” della società mista al partner privato, tramite la stessa gara volta alla individuazione di quest’ultimo.

In altri termini, in questo caso, indicato di regola come quello del “socio di lavoro”, “socio industriale” o “socio operativo” (come contrapposti al “socio finanziario”), questo Consiglio di Stato ritiene che l’attività che si ritiene “affidata” (senza gara) alla società mista sia, nella sostanza, da ritenere affidata (con gara) al partner privato scelto con una procedura di evidenza pubblica che abbia ad oggetto, al tempo stesso, anche l’attribuzione dei suoi compiti operativi e quella della qualità di socio.

La peculiarità rispetto alle ordinarie procedure di affidamento sembra allora rinvenirsi, in questo caso, non tanto nell’assenza di una procedura di evidenza pubblica (che, come si è detto, esiste e opera uno specifico riferimento all’attività da svolgere) quanto nel tipo di controllo dell’amministrazione appaltante sul privato esecutore: non più l’ordinario “controllo esterno” dell’amministrazione, secondo i canoni usuali della vigilanza del committente, ma un più pregnante “controllo interno” del socio pubblico, laddove esso si giustifichi in ragione di particolari esigenze di interesse pubblico (che nell’ordinamento italiano sono comunque individuate dalla legge).


[Modificato da marco panaro 29/05/2007 16.56]

marco panaro
00martedì 5 giugno 2007 17:36
Consiglio di Stato, Sez. VI, 1/6/2007 n. 2932
Il fatto che il Comune proponesse di gestire il bene demaniale non direttamente, ma attraverso una società mista non ancora costituita, è certamente un elemento in grado di condizionare in senso negativo la valutazione spettante alla P.A. circa la proficua utilizzazione economica del bene che deve essere affidato in concessione.

Ed invero la circostanza che al momento della comparazione delle domande, la società mista (cioè il soggetto che in concreto avrebbe gestito il bene demaniale) non fosse ancora nemmeno costituita, era tale da stendere sul progetto del Comune un pesante velo di incertezza.

Tale incertezza (si pensi che l’Amministrazione concedente non poteva neanche conoscere, al momento della valutazione comparativa, quali sarebbero stati i soci privati che il Comune avrebbe chiamato a partecipare alla gestione del servizio) già di per sé giustifica la scelta dell’Autorità portuale che ha ritenuto il progetto del Comune meno allettante, dal punto di vista della proficua utilizzazione economica ed aziendale del bene, rispetto a quello concorrente.
marco panaro
00lunedì 11 giugno 2007 12:29
TAR Lazio, sez. II, 5/6/2007 n. 5192

Le società strumentali sono strutture costituite per svolgere attività strumentali rivolte essenzialmente alla pubblica amministrazione e non al pubblico, come invece quelle costituite per la gestione dei servizi pubblici locali (per le quali il Decreto n.223/06 fa esplicita eccezione) che mirano a soddisfare direttamente ed in via immediata esigenze generali della collettività (TAR Puglia Sez. II, 6 settembre 2002 n.4306).

Seppure infatti tali società strumentali esercitano attività di natura imprenditoriale, cio’ che rileva è che siano state costituite per tutelare in via primaria l’interesse e la funzione pubblica dell’amministrazione di riferimento, per la cui soddisfazione è anche possibile che venga sacrificato l’interesse privato imprenditoriale.

marco panaro
00lunedì 18 giugno 2007 17:00
TAR Sardegna, sez. I, 8/6/2007 n. 1209
Non appare convincente l'argomentazione con cui si sostiene che, non essendo H. S.r.l. né società pubblica né società mista ma una mera società a responsabilità limitata operante con le regole del diritto privato, per essa non troverebbero applicazione i limiti eventualmente riconducibili alle società (in tutto o in parte) pubbliche.

Infatti, la natura di società a responsabilità limitata non risolve certo il problema di eventuali limiti posti alle società pubbliche posto che ciò che conta non è la configurazione che esse si danno ai fini di operare nell'ordinamento ma la reale possibilità per l'ente pubblico di incidere sulle scelte del soggetto; la circostanza che H. S.r.l. non sia direttamente costituita in via maggioritaria da soggetti pubblici non ne esclude la rilevanza pubblicistica posto che, comunque, fa sicuramente capo ad un soggetto che ha tale caratteristica.
marco panaro
00martedì 30 ottobre 2007 22:19
Consiglio di Stato sez.V 23/10/2007 n. 5587
52. Nella presente vicenda, sono prospettate numerose questioni di massima, di portata più generale, che giustificano il deferimento alla valutazione dell’Adunanza Plenaria dei diversi profili attinenti alla legittimità dell’affidamento di contratti pubblici o servizi a società miste, in assenza di un’apposita procedura di gara.
53. Allo stato, in giurisprudenza e in dottrina sembrano profilarsi, essenzialmente, tre diversi filoni interpretativi, a loro volta basati su una pluralità di argomenti.
54. Il primo indirizzo è incentrato sull’idea di fondo secondo cui l’ordinamento comunitario profila una rigida alternativa tra due distinti moduli di affidamento dei servizi (più in generale, dei contratti). Da un lato si colloca l’affidamento a terzi mediante gara, da svolgersi in conformità alle regole specifiche e ai principi stabiliti dallo stesso diritto comunitario. Dall’altro lato si pone, invece, l’affidamento diretto ad ente o società direttamente controllato dall’amministrazione aggiudicatrice, secondo la formula sintetica dell’ “in house providing”.
55. Questo indirizzo interpretativo si sviluppa prevalentemente nel senso di definire puntualmente i criteri di identificazione della situazione del “controllo analogo”, e degli altri presupposti sostanziali che soli possono giustificare, in questa impostazione, la deroga alla regola della gara pubblica.
56. In questa prospettiva, allora, non sarebbero mai consentiti gli affidamenti diretti a società miste, anche se a prevalente partecipazione pubblica e anche se la scelta del socio privato sia stata effettuata mediante gara ad evidenza pubblica.
57. Secondo questo orientamento, in larga misura condiviso dalla sentenza appellata, insomma, l’amministrazione che intenda affidare il servizio alla società da essa costituita dovrebbe comunque svolgere una seconda gara, non potendo rilevare nemmeno ulteriori requisiti particolari (quali la durata limitata del contratto sociale, l’inalienabilità delle partecipazioni, la limitazione dell’oggetto sociale, ecc.).
58. L’espressione più chiara e puntuale del citato indirizzo interpretativo è contenuta nella citata decisione del CGARS, 27 ottobre 2006 n. 589.
59. È assai probabile che, applicando queste coordinate interpretative alla presente fattispecie, l’affidamento diretto operato dalla ASL 19 ad AMOS sarebbe illegittimo (come coerentemente affermato dal tribunale), risultando difficilmente discutibile che difettino, in concreto, i caratteri propri del “controllo analogo” che deve caratterizzare il fenomeno dell’in house providing, per le ragioni esposte ai punti precedenti.
60. Un opposto indirizzo ermeneutico, invece, manifestatosi essenzialmente in dottrina, sostiene che la società mista a prevalente partecipazione pubblica possa essere sempre affidataria diretta dei servizi, alla sola condizione che la scelta del contraente privato sia avvenuta mediante trasparenti procedure selettive (nel nostro ordinamento imposte, generalmente, dalle regole di contabilità concernenti i “contratti attivi”).
61. L’idea di fondo di questa ipotesi ricostruttiva è che il contratto sociale presenta caratteristiche e funzioni radicalmente diverse da quelle proprie degli appalti. Con la conseguenza che non avrebbero particolare rilevanza le regole – anche di derivazione comunitaria - concepite per garantire la concorrenza nei settori disciplinati dalle direttive in materia di appalti.
62. Seguendo questa impostazione, il ricorso di primo grado dovrebbe essere respinto, considerando che la genesi della società Amos è avvenuta mediante la scelta dei soci privati effettuata attraverso una procedura negoziata pubblica.
63. Una terza linea ermeneutica, intermedia tra le prime due, espressa in sede consultiva dalla Seconda Sezione di questo Consiglio (il citato parere n. 456/2007), muove anche essa dalla premessa secondo cui il fenomeno dell’affidamento a società mista pubblica e privata vada accuratamente distinto dall’in house providing.
64. La carenza del requisito del controllo analogo non è considerata sufficiente per affermare l’illegittimità dell’affidamento diretto delle prestazioni alla società mista. A tal fine, invece, occorre il riscontro della presenza di alcuni elementi, ritenuti necessari per esprimere un giudizio positivo di compatibilità con il diritto comunitario.
65. L’argomento centrale sviluppato dalla pronuncia consultiva può essere riportato all’idea della ampia fungibilità tra lo schema formale della società mista e quello dell’appalto. Entrambi i contratti possono essere utilizzati per la realizzazione del risultato prefigurato dalle parti. Tuttavia, le prescrizioni vincolanti ricavabili dalle direttive comunitarie (segnatamente dalla direttiva n. 18/2004), nonché dalle regole del Trattato (così come sviluppate dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia) individuano i rigorosi limiti di utilizzabilità del modulo societario. Da qui l’individuazione di talune prescrizioni, indicative dei margini di compatibilità con il diritto comunitario.
66. Il Collegio osserva che questa impostazione meriti di essere confermata e sviluppata dall’Adunanza Plenaria, perché, per il suo indubbio “equilibrio”, costituisce una utile guida per qualificare correttamente le singole diverse ipotesi.
67. Vanno però segnalate, nella prospettiva di definire una linea interpretativa omogenea e certa, alcune possibili obiezioni alla tesi in esame, anche alla luce dei primi commenti formulati dalla dottrina.
68. La prima obiezione, di carattere generale, riguarda l’esattezza dell’affermata equivalenza tra il contratto di società e l’appalto. A questo proposito, si deve osservare che le direttive in materia di procedure di selezione dei contraenti per le prestazioni di servizi, lavori o forniture non contemplano affatto il modulo della società mista, indicando altri schemi giuridici caratterizzati dalla struttura corrispettiva e non associativa dello schema negoziale.
69. Si potrebbe replicare che l’ordinamento comunitario sia comunque indifferente alla struttura formale del contratto utilizzato. Ma anche in questa prospettiva resterebbe il dubbio della difficile conciliabilità tra il modulo corrispettivo dell’appalto o di altre equivalenti forme negoziali di scambio (si pensi alla locazione finanziaria) e lo schema tipicamente associativo del contratto di società.
70. In altri termini, la soluzione “compromissoria” della società “piegata” alle regole del diritto comunitario degli appalti potrebbe essere considerata insoddisfacente da due simmetrici punti di vista. Infatti, si potrebbe alternativamente affermare che:
A) la disciplina comunitaria degli appalti non lascia alcuno spazio per l’affidamento a terzi del servizio in forme diverse da quelle espressamente previste, vietando, implicitamente, il ricorso alle società (con la sola eccezione delle strutture in house);
B) il contratto sociale, proprio perché intrinsecamente diverso dall’appalto, resta estraneo alla disciplina delle direttive comunitarie, rimanendo assoggettato solo ai generalissimi principi del Trattato (non discriminazione, pubblicità, tutela della concorrenza).
71. Va considerato, del resto, che la Corte di Giustizia non si è mai espressamente e analiticamente pronunciata sulla compatibilità comunitaria della “modalità organizzativa” della società mista. Pertanto, non è agevole stabilire quale sia l’ordinamento normativo compatibile con la disciplina comunitaria e quali siano gli eventuali specifici requisiti di utilizzazione dello strumento in questione.
72. Pertanto, la Sezione ritiene che l’Adunanza Plenaria, nell’esaminare complessivamente l’intera problematica e nel delineare la corretta ricostruzione del sistema normativo vigente in ambito nazionale, potrà valutare la necessità, o meno, di deferire alla Corte di Giustizia la seguente specifica questione: “se sia compatibile o meno con il diritto comunitario la regola di diritto interno che permette l’affidamento diretto di un servizio rientrante nell’ambito applicativo della direttiva n. 18/2004 effettuato da una amministrazione aggiudicatrice in favore di una società mista, costituita dalla stessa amministrazione e da altri soci privati, individuati mediante apposita gara ad evidenza pubblica”.
73. Un altro ordine di obiezioni riguarda, più analiticamente, le singole condizioni indicate dalla citata giurisprudenza consultiva per ammettere l’affidamento diretto alla società mista.
74. Un primo requisito, di carattere generale, indicato dall’orientamento del citato parere afferma che, in ogni caso, secondo l’ordinamento interno, il ricorso al modello della società mista sia ammesso solo quando esista un’apposita norma speciale che lo consenta.
75. Questa tesi ermeneutica è stata sostenuta e approfondita, in particolare, dalla decisione della VI Sezione 3 aprile 2007, n. 1514, sia pure con riferimento al modulo organizzativo dell’ “in house providing”.
76. A giudizio della Sezione, tale aspetto potrebbe non assumere carattere determinante nella presente vicenda, perché esiste una apposita disposizione (il citato articolo 9-bis), che prevede espressamente l’utilizzabilità delle società miste, sia pure nel contesto della sperimentazione gestionale effettuata dalle aziende sanitarie.
77. Tuttavia, la questione potrebbe meritare un approfondimento, sia per la sua indubbia rilevanza di massima, sia perché l’indicata connessione con una puntuale norma abilitante potrebbe determinare la maggiore o minore ampiezza della utilizzabilità del modello, anche in relazione alla presente controversia, tenuto conto della circostanza che tra le parti è contestata, fra l’altro, la riconducibilità dell’affidamento in oggetto alla sperimentazione gestionale prevista dalla citata disposizione legislativa statale.
78. Al riguardo, il citato parere afferma che “sempre in via generale, il codice dei contratti pubblici, se non prevede più una generalizzazione del modello dell’in house a qualsiasi forma di affidamento, contiene invece, all’art. 1, comma 2, una previsione di carattere generale sulle società miste, secondo la quale, “nei casi in cui le norme vigenti consentono la costituzione di società miste per la realizzazione e/o gestione di un’opera pubblica o di un servizio, la scelta del socio privato avviene con procedure di evidenza pubblica”. Anche in questo caso, la norma non intende affermare la generale ammissibilità delle società miste, che devono intendersi consentite nei soli casi già previsti da una disciplina speciale, nel rispetto del principio di legalità: si codifica soltanto il principio secondo il quale, in questi casi, la scelta del socio deve comunque avvenire “con procedure di evidenza pubblica” (non necessariamente, quindi, ai sensi della disciplina dello stesso codice).
79. A giudizio del collegio, tuttavia, questa affermazione non appare del tutto persuasiva, considerando che, secondo un consolidato orientamento, i soggetti pubblici godono di una capacità generale di diritto privato, che li abilita a concludere ogni tipo di contratto, salva la sola valutazione di compatibilità con le finalità istituzionali assegnate al singolo ente.
80. In quest’ottica, la norma codicistica ha il solo scopo di imporre, comunque, la selezione concorsuale del socio privato, quando la società abbia per oggetto la realizzazione di opere o servizi, senza introdurre una regola di tipizzazione dei moduli organizzativi. Tale standardizzazione, oltretutto, potrebbe porre dubbi di legittimità costituzionale, nella parte in cui si fissassero vincoli troppo rigidi alle amministrazioni regionali e locali, non esplicitamente riconducibili alla tutela della concorrenza (nei confini delineati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale).
81. Non si può trascurare, poi, che l’ampiezza della capacità di diritto privato delle pubbliche amministrazioni sia ora affermata, in termini generali, dall’articolo 1, comma 1-bis, della legge n. 241/1990, nel testo introdotto dalla legge n. 15/2005.
82. Al riguardo, la Sezione ritiene che il necessario rigore con cui devono essere accertati i concreti presupposti del legittimo affidamento ad una società mista non significhi affatto che il modulo societario debba essere considerato “eccezionale”, o consentito in presenza di particolari situazioni, trattandosi di scelta riconducibile all’autonomia organizzativa del singolo ente pubblico.
83. In secondo luogo, il citato parere afferma che la compatibilità con il diritto comunitario “possa essere rinvenuta, alla stregua dei principi espressi, direttamente o indirettamente, dalla Corte di giustizia, quantomeno in un caso: quello in cui – avendo riguardo alla sostanza dei rapporti giuridico-economici tra soggetto pubblico e privato e nel rispetto di specifiche condizioni, di cui si dirà infra, al punto 8.3 – non si possa configurare un “affidamento diretto” alla società mista ma piuttosto un “affidamento con procedura di evidenza pubblica” dell’attività “operativa” della società mista al partner privato, tramite la stessa gara volta alla individuazione di quest’ultimo.”
84. L’indirizzo in esame non esclude a priori che la compatibilità con il diritto comunitario possa essere riscontrata anche in altre ipotesi, diverse dai casi di diretta connessione con la cura di un interesse pubblico. Peraltro, la soluzione prospetta alcune incertezze.
85. Per un verso, occorre chiarire se sia compatibile con il diritto comunitario la costituzione di società miste in cui uno o più partner privati si limitino ad apportare capitale, ma nella prospettiva di definire una forma di finanziamento per lo svolgimento di impegnative funzioni richiedenti ingenti capitali di investimento.
86. Il punto è direttamente rilevante nel presente giudizio, perché alcuni dei soci privati scelti dall’amministrazione mediante gara non sono affatto “operativi”, ma si sono limitati a fornire il capitale necessario, sia pure all’esito di una procedura concepita proprio per individuare il miglior socio in possesso delle caratteristiche professionali dell’intermediazione finanziaria.
87. In particolare, la procedura di gara in questione ha consentito l’individuazione di tre categorie di partner privati: soci del settore sanitario; soci del settore non sanitario; soci finanziari (FINCOS S.p.A. detiene il 4,10% del capitale sociale, come sottolineato dalla società appellata).
88. Ora, in questa prospettiva, nell’ordinamento comunitario non emerge con evidenza un assoluto divieto di coinvolgere nel partnerariato pubblico-privato soggetti che intendano solo finanziare la società, purché il loro apporto presenti, comunque, un adeguato tasso di specificità professionale. Né sembra che si possa considerare del tutto privo di interesse per l’amministrazione l’istituzione di un rapporto con soggetti esperti del settore finanziario.
89. Occorre considerare, però, che in alcune circostanze, gli organi comunitari hanno manifestato un orientamento molto restrittivo. Si è sostenuto, quindi, che la cooperazione diretta tra il partner pubblico ed il partner privato nel quadro di un ente dotato di personalità giuridica propria permette al partner pubblico di conservare un livello di controllo relativamente elevato sullo svolgimento delle operazioni, che può adattare nel tempo in funzione delle circostanze, attraverso la propria presenza nella partecipazione azionaria e in seno agli organi decisionali dell'impresa comune. Essa permette inoltre al partner pubblico di sviluppare un’esperienza propria riguardo alla fornitura del servizio in questione, pur ricorrendo al sostegno di un partner privato”, per poi indicare, quale “condizione di compatibilità” del modello, l’attribuzione “di incarichi tramite un atto che può essere definito appalto pubblico o concessione. La scelta di un partner privato destinato a svolgere tali incarichi nel quadro del funzionamento di un'impresa mista non può dunque essere basata esclusivamente sulla qualità del suo contributo in capitali o della sua esperienza, ma dovrebbe tenere conto delle caratteristiche della sua offerta - che economicamente è la più vantaggiosa - per quanto riguarda le prestazioni specifiche da fornire. Infatti, in mancanza di criteri chiari ed oggettivi che permettano all'amministrazione aggiudicatrice di individuare l'offerta economicamente più vantaggiosa, l'operazione in capitale potrebbe costituire una violazione del diritto degli appalti pubblici e delle concessioni”.
90. Pertanto, potrebbe essere valutata l’opportunità di demandare alla Corte di Giustizia anche uno specifico quesito interpretativo, concernente i limiti di compatibilità con il diritto comunitario di una partecipazione societaria privata di carattere meramente finanziario, purché la procedura selettiva per l’individuazione del socio privato abbia consentito, in modo trasparente e imparziale, di scegliere l’impresa in possesso delle prescritte attitudini professionali, che abbia offerto la migliore proposta.
91. Da altro punto di vista, andrebbe meglio chiarito il significato della formula “affidamento dell’attività operativa”. Essa potrebbe indicare, semplicemente, che il socio privato debba essere scelto tra imprenditori del settore cui si riferisce l’opera o il servizio, in possesso dei prescritti requisiti soggettivi di ordine generale.
92. Ma potrebbe anche presupporre la necessità di una regolamentazione contrattuale più complessa, affiancata al contratto sociale, da cui risulti che l’attività materiale di erogazione del servizio o della realizzazione dell’opera sia effettivamente compiuta dal socio privato con la propria organizzazione di impresa.
93. Potrebbe significare, infine, come lascia supporre l’evocazione della figura del socio d’opera, che il conferimento delle quote debba essere effettuato “in natura”, mediante la cessione di un ramo di azienda.
94. Ma ognuna di queste soluzioni pone delicati problemi di coordinamento con il diritto societario. Senza dire, poi, che lo scopo della istituzione della società mista è proprio quello di creare un centro di imputazione unitario e non una struttura intermedia tra l’amministrazione e l’esecuzione del servizio effettuata dal “socio d’opera”.
95. Anche in dottrina, del resto, è prospettato il dubbio, che, in questo modo, si finisca per piegare il modello ordinario di funzionamento delle società, come disegnato dal codice civile, a forzature che rischiano di snaturarne i caratteri tipici oltre i confini del consentito.
96. In altra occasione, quindi, questa Sezione ha optato per una diversa qualificazione dello schema della società mista (decisione 1 luglio 2005, n. 3672), sostenendo che “tale tipo di PPP altro non è che una “concessione” esercitata sotto forma di società, attribuita in esito ad una selezione competitiva che si svolge a monte della costituzione del soggetto interposto (soltanto incidentalmente si osserva che la fattispecie in esame nulla ha a che spartire con il diverso fenomeno dell’in house providing, regolato dai differenti principi affermati dalla giurisprudenza “Teckal” e “Stadt Halle”, tra i quali qui viene soprattutto in rilievo l’esigenza che sull’organismo in house l’ente pubblico eserciti un controllo - analogo a quello che esercita sui propri servizi - presupponente una partecipazione pubblica totalitaria)”.
97. Un altro requisito indicato dal citato parere riguarda, poi, la necessità di delimitare adeguatamente le finalità della società mista cui affidare il servizio senza gara. In tale prospettiva, quindi, non sono considerati legittimi gli affidamenti diretti a “società miste aperte”, o a finalità generalista.
98. Il criterio si connette essenzialmente alla regola fondamentale della trasparenza delle selezioni concorsuali pubbliche. Le imprese di un determinato settore devono essere messe in condizione di valutare la convenienza economica della partecipazione alla società, in relazione al previsto svolgimento delle attività.
99. D’altro canto, però, è connotato alle società un fisiologico margine di rischio e, talvolta, si è anche dubitato in dottrina della validità di un contratto sociale destinato alla realizzazione di un solo atto.
100. Si tratta di stabilire, allora, se il principio di trasparenza esiga una precisione nella definizione delle prestazioni corrispondente a quella richiesta nelle ipotesi di affidamenti a terzi degli appalti.
101. Al riguardo, tuttavia, la Sezione deve sottolineare che, in concreto, le ampie dimensioni dell’oggetto sociale di AMOS rendono molto dubbia la legittimità dell’affidamento contestato, in conformità a quanto stabilito dal tribunale con la pronuncia impugnata.
102. Un ulteriore presupposto per il ricorso alla società mista è individuato dal citato parere nella necessità di motivare in modo particolarmente approfondito tale scelta organizzativa. Si afferma che tale modello “non è ordinario nel nostro sistema” e – salvi i non frequenti casi in cui il legislatore lo impone senza alternative – “l’amministrazione deve comunque motivare in modo adeguato perché si avvale di una società mista invece di rivolgersi integralmente al mercato”.
103. A giudizio della Sezione, tuttavia, questa opinione, seppure ispirata alla condivisibile esigenza di rendere trasparenti le opzioni dell’amministrazione in ordine alla genesi di scelte comunque destinate ad incidere in modo significativo sul mercato, potrebbe essere non aderente al quadro normativo comunitario e nazionale vigente, potendosi prospettare in ambito europeo, semmai, l’opposto principio della mera alternatività tra l’affidamento a terzi, l’in house providing e il partnerariato pubblico e privato.
104. L’obbligo di motivazione, quindi, dovrebbe ricondursi, nel diritto nazionale vigente (almeno fino alla eventuale definitiva approvazione parlamentare del d.d.l. di riforma dei servizi pubblici locali), alla regola generale contenuta nell’art. 3 della legge n. 241/1990, presentando identica consistenza in ciascuna delle opzioni consentite all’amministrazione pubblica.
105. La questione presenta notevole rilevanza nella presente fattispecie, considerando che la scelta di affidare il servizio ad Amos si basa su una motivazione incentrata essenzialmente sulla maggiore convenienza economica del modulo organizzativo, senza particolari riferimenti alle possibili alternative.
106. Un altro specifico requisito indicato dal citato parere concerne la necessità di stabilire un limite temporale ragionevole alla durata del rapporto sociale, accompagnata dalla espressa previsione della “scadenza del periodo di affidamento (in tal senso, soccorre già una lettura del comma 5, lett. b), dell’art. 113 t.u.e.l. in stretta connessione con il successivo comma 12), evitando così che il socio divenga “socio stabile” della società mista, possibilmente prevedendo che sin dagli atti di gara per la selezione del socio privato siano chiarite le modalità per l’uscita del socio stesso (con liquidazione della sua posizione), per il caso in cui all’esito della successiva gara egli risulti non più aggiudicatario”.
107. Nel caso di specie, peraltro, la stretta connessione del modulo gestionale sociale con la limitata durata della sperimentazione approvata dalla Regione risulta idonea, a giudizio dell’amministrazione appellante, a soddisfare il requisito della definizione temporale del rapporto.
108. Il collegio ritiene invece che, seguendo il condivisibile indirizzo espresso in sede consultiva, nel caso di specie difetterebbe uno degli essenziali requisiti di legittimità dell’affidamento diretto alla società mista. Infatti, il limite temporale dell’autorizzazione regionale è finalizzato unicamente alla verifica dei risultati conseguiti dal modulo gestionale sperimentale e non indica alcun obbligo di rinnovo della procedura di selezione del socio privato alla scadenza del triennio di affidamento.
109. Tuttavia, la Sezione ritiene utile che l’Adunanza Plenaria si pronunci anche sulla premessa interpretativa concernente la necessità di una rigorosa limitazione temporale del rapporto sociale. Al riguardo, infatti, sussistono alcuni dubbi dottrinari circa la compatibilità del modulo societario con una così stretta inerenza allo svolgimento dell’attività operativa della prestazione del servizio.
110. Ancora, secondo l’indirizzo interpretativo espresso dal citato parere, il ricorso al modello della società mista dovrebbe essere limitato ai soli casi in cui esista un concreto riferimento allo svolgimento di attività e funzioni pubbliche.
111. È opportuno che l’Adunanza Plenaria chiarisca la portata di questo requisito. Infatti, in una prospettiva “minima”, esso indica la necessità che l’oggetto sociale sia comunque compatibile con le finalità statutarie pubblicistiche dell’ente che intende istituire la società.
112. Ma il riferimento all’attività pubblicistica potrebbe anche indicare un più rigoroso accertamento della connessione tra la funzione svolta e l’esercizio di poteri pubblicistici in senso stretto. In tal modo, allora, la società mista sarebbe difficilmente ammissibile nei casi di attività “neutre”, quali la prestazione di servizi destinati, con le stesse caratteristiche oggettive, a soggetti pubblici e privati.
113. Anche questo aspetto presenta diretta rilevanza nel presente giudizio, considerando la peculiarità dei servizi integrativi “materiali” (assistenziali e curativi), svolti in ambito sanitario, che presentano senz’altro rilevanza pubblicistica, per l’interesse perseguito (riconducibile all’art. 32 della Costituzione, ma hanno, allo stesso tempo, carattere materiale e non implicano l’esercizio di poteri autoritativi.
114. La Sezione osserva, infine, che l’orientamento interpretativo espresso in sede consultiva potrebbe influenzare la soluzione della questione relativa alla legittimità dell’affidamento di un servizio effettuato senza gara ad una società mista da parte di un’amministrazione che abbia acquistato successivamente la partecipazione nella società stessa (come anticipato ai punti precedenti).
115. Tale aspetto presenta notevole rilevanza anche nel caso oggetto di giudizio, benché il ricorso di primo grado non articoli alcuna censura specificamente incentrata su questa peculiare caratteristica della società mista AMOS. Si deve considerare, tuttavia, il riferimento contenuto a p. 14 della memoria di replica ai motivi di appello prodotta dalla società Medicasa, in cui tale circostanza è indicata come sintomatica dell’assenza dei requisiti legittimanti l’affidamento senza gara.
116. Inoltre, potrebbe essere riconosciuto il potere del giudice di valutare tutte le circostanze di fatto rilevanti in concreto, nella generica prospettiva di valutazione della compatibilità dello schema della società mista con le regole e i principi del diritto comunitario e del Trattato.
117. Al riguardo, la Sezione sottolinea che, ammettendo la legittimità di un’acquisizione successiva di quote da parte di un’amministrazione pubblica, risulterebbe fortemente minato il principio di trasparenza, volto a regolare la gara per la selezione del socio privato, perché potrebbe essere modificato, sul piano qualitativo e quantitativo, l’oggetto originario dell’attività della società mista.
118. Questo rischio non sembra eliminato nemmeno nei casi in cui l’originaria procedura selettiva preveda la possibilità di ampliare, in un momento successivo, la concreta attività materiale, compatibile con l’oggetto sociale, e le amministrazioni destinatarie del servizio. In tale eventualità, infatti, si profilerebbe l’eccessiva indeterminatezza dell’originario oggetto sociale.
119. In altri termini, la possibilità di ingresso nella società di nuovi soggetti pubblici potrebbe essere ammessa, legittimamente, nel solo caso di in house providing (con partecipazione totalitaria pubblica), che non sembra sussistente nella presente fattispecie, per le motivazioni esposte supra.
120. Del resto, l’indirizzo espresso dalla giurisprudenza comunitaria risulta compatto nel senso di giudicare illegittimo l’affidamento di servizi a società preesistenti e non appositamente costituite per quella specifica attività.
121. Ma si potrebbe pervenire ad una diversa soluzione, qualora si ritenesse che la società mista resti disciplinata, in ogni caso, dalle regole generali delle società, consentendo, quindi, una certa dinamica evolutiva dell’oggetto sociale.
122. Nel caso di specie, né l’originario statuto di AMOS, né gli atti della gara preordinata alla scelta del socio privato hanno indicato la concreta possibilità di estensione dell’attività nell’ambito della ASL n. 19. Ne è derivata una notevole incertezza in merito all’oggetto della società e al calcolo di convenienza degli aspiranti partner privati.
123. In definitiva, quindi, La Sezione, consapevole della delicatezza delle questioni e del loro evidente carattere di massima, ritiene opportuno deferirne l’esame all’Adunanza plenaria, ai sensi dell’art. 45 T.U. n. 1054 del 1924, allo scopo di assicurare univoci orientamenti giurisprudenziali in materia.
124. All’Adunanza Plenaria compete pure l’eventuale adozione delle misure cautelari richieste dall’appellante, anche considerando che, come riferito dall’appellante, attualmente il servizio è stato temporaneamente prorogato in favore della società AMOS, mentre la MEDICASA non ha proposto domande esecutive della sentenza di primo grado.

PER QUESTI MOTIVI

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge il primo motivo di appello, concernente l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposto dinanzi al tribunale;
rimette l’esame delle altre questioni prospettate all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato;
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