da Mala Kruna
smetto di piangere solo
quando il motore è acceso:
le immagini scorrono, chiudo gli occhi
nel sedile dietro mentre guidi
sulle strade in collina dove il cielo
traspare dalle foglie.
Non farti accorgere, non dirmelo
che la fuga s’è chiusa in un cerchio,
non darmi questo mondo fermo
di cose intonacate e appese
se mi abbracci non posso
dare la guancia al buio, ti chiedo
lasciami come un gatto lontano
alla svolta, sul ciglio di una strada
dove s’aprono valli
di viti e ulivi e non trovo la casa.
***
quanto paziente ostinato amore
nel gesto che fai di muovere passi
avanti e indietro nella sala, mentre
col braccio e un ginocchio fingi
di addolcire una cuna sulla sterrata
come dondola il mondo e le cose
di nuovo tremano, anch’io
sarò nel buio.
***
e la ragazza arco
appoggia un piede in aria e congiunge
costellazioni di non generati
al grido che ha rotto ora le acque,
appesa la pelle a un ramo cattura
il vento, è una busta della spesa
di desideri altrui
svaniti in uno sguardo
nel treno del mio sangue
salite
***
vorrei con le parole aprirti
questa vita come una mano
che sul tavolo capovolta
aspetta d’essere riempita
stretta nella tua. Vorrei la lingua
a chiudere ogni foro, a intonaco
di questo intreccio di sterpi bruciati.
Saremo due camicie
appese l’una dentro l’altra
per una stagione intera
dove la penombra ha immerso
l’amo negli inverni.
***
qua dove ogni parola è ramo rotto
albero di musica in riva al mare
quale piaga insieme siamo
distanti
solo arsa saliva pesto petto,
ma se gli occhi appoggiassero ai tuoi occhi
ogni nodo al sangue sarebbe fiocco.
***
mentre mi scucio e frano
lui bagna il dito sulla lingua e punta l’ago
nell’aria che mi salda.
Ha fatto uno zaino di me in un giorno
l’amore in petali sul pavimento.
Quand’era fondo il silenzio cantava
goccia caduta dentro le costole
si può respirare dalla sua bocca
come l’annegato e camminare
pestandogli i piedi,
ma le gambe vorrebbero fluttuare
come alghe al suono della sua voce
e lui continua a spingere la culla
il suo corpo come un pollice.
Fors’è annodato alle sue dita questo
gomitolo che srotola e svanisce.
***
vorrei con le parole aprirti
questa vita come una mano
che sul tavolo capovolta
aspetta d’essere riempita
stretta nella tua. Vorrei la lingua
a chiudere ogni foro, a intonaco
di questo intreccio di sterpi bruciati.
Saremo due camicie
appese l’una dentro l’altra
per una stagione intera
dove la penombra ha immerso
l’amo negli inverni.
***
il passo sui binari del suicida
svuota le bocche e spezza
le redini di affetti incontrollati.
Ora l’infante potrà camminare
con l’equilibrio che porta le braccia
a sollevarsi inermi dalla terra.
È un giorno strabico, e le persone
s’affacciano sul proprio sangue fermo
chiedendo dove sbuca la corrente
che spinge rossa e perfora gli occhi.
L’obitorio è un lago calmo: le barche
ovali come il seme di una donna,
la carne dove dorme sempre un figlio.