00 27/10/2008 22:51
GENOVA - "Quando Jackson Pollock faceva colare il colore dal pennello, ci sembrava che il mondo così come lo conoscevamo fosse cambiato per sempre. Lo stesso vale per Fontana, le sue aggressioni e le sue profanazioni da un lato si possono considerare infantili atti distruttivi e dall'altro un inno alla vita, esplosioni cosmiche o danza insolite ma stupende. Con le sue traiettorie nello spazio e nel tempo, Fontana parla al bambino che è dentro di noi, ci ricorda che per quanto complicata sia la nostra vita, ci salva la bellezza che si trova dove meno ce lo aspettiamo, e questo è l'importante perché come diceva Brancusi 'quando non si è più bambini si è già morti'". E' nientemeno che Damien Hirst, enfant terrible della nuova generazione di artisti inglesi, che si piega alla grandezza di Lucio Fontana, maestro dell'informale gestuale, ideologo e fondatore del movimento spaziale, colui che ha trasfigurato la dimensione pittorica di un quadro con buchi e tagli, con un pamphlet scritto appositamente per la bella mostra "Lucio Fontana luce e colore", a cura di Sergio Casoli e Elena Geuna in collaborazione con la Fondazione Lucio Fontana, che dal 22 ottobre al 15 febbraio viene ospitata con un singolare criterio di allestimento nell'appartamento del Doge di Palazzo Ducale.

Una retrospettiva che indaga secondo un'ottica nuova la produzione del portentoso artista (1899-1968), orchestrando le circa centotrenta opere provenienti da illustri sedi museali secondo un'armonia cromatica. Un accordo cromatico per ogni sala, dal nero al rosa, attraversando l'oro, il rosso, il bianco, il giallo, per raccogliere i suoi oli squarciati e graffiti, le idropitture su legno, i metalli laccati e tagliati, le ceramiche dipinte e incrostate di pietre e vetri. Un raffinato sincronismo di colori che trova l'apice della sperimentazione con gli immaginifici "ambienti spaziali", collaudati negli anni Cinquanta, che sfoggiano un'acuta indagine sul concetto spaziale sfruttando le potenzialità del neon, di cui Fontana è stato un portentoso pioniere, molto prima delle ricerche del Minimalismo tra la fine degli Sessanta e i Settanta, dove spicca straordinario il famoso arabesco, realizzato nel 1951 per la Triennale di Milano, insieme al grande lampadario di neon bianchi e azzurri, creato per il cinema Duse di Pesaro del 1959.

Un'indagine, quella proposta a Genova, che si arricchisce anche delle temerarie e provocatorie operazioni con il linguaggio scultoreo, con cui Fontana riesce a plasmare un'anima luminosa nella materia. Lo raccontano, disposte come bozzoli embrionali nella famosa cappella di Palazzo Ducale, le famose "Nature", a testimonianza dell'origine concettuale di ogni creazione artistica dell'artista. "Fontana prima el faseia i büs, adesso el fa i tai, e adesso el rump i ball", ero lo scherno milanese che accolse le sue creature, su cui rideva lo stesso artista. Più che "bal" le voleva chiamare Nature e Concetti spaziali: "Non li ho chiamati oggetti perché mi pareva troppo materialista, li ho chiamati Concetti perché era il concetto nuovo di vedere il fatto mentale". Eccoli dunque i suoi gesti di libertà, di un informale gestuale in cui Fontana scarnifica le regole dell'arte per varcare e superare la soglia comoda e confortevole delle "belle statuine".

A completare, con un guizzo di talentosa visione delle regole espositive, ecco un acquario, animato dalle sculture in ceramica colorata dell'artista, raffiguranti animali ed esseri marini. Granchi rossastri che sembrano vivere in sintesi con lo scoglio, conchiglie come fossili del mare, cavalli marini e polpi attraversati dalla tensione dell'acqua, coralli, stelle marine, vongole, seppie, pesci e meduse i cui contorni diventano indefinibili e vaporizzati, solcati da colpi possenti di una natura che li circonda. C'è tutta la sua produzione, scelta con cura senza sconfinare nel dejavu, che racconta la genialità di un artista con l'effetto della novità. Una mostra che Una spettacolarizzazione del "concetto spaziale", che diventa l'apice di un percorso dettagliato e certosino che rievoca l'epopea creatica di Lucio Fontana, formatosi sotto l'insegnamento di Adolfo Wildt all'Accademia di Brera a Milano, dove giovanissimo, tra il 1927 e saltuariamente sino al 1929 ha puntato a misurarsi con gli strumenti e la tradizione del marmista, del plastificatore, del mosaicista, guardando idealmente anche al plasticismo minimale ed emotivo di Brancusi.

Ma se la sua velleità "artigianale" viene maturata tra la bottega acquisita nell'impresa edile del padre e dello zio Geronzio, geometra, e l'esperienza di stuccatore e gessatore, a Rosario de Santa Fé, il suo debutto artistico viene collaudato tra la manifattura di Giuseppe Mazzotti ad Albisola e a Sevres. La mostra ripercorre le sue prime sperimentazioni, all'alba degli anni Trenta, dominati da quella portentosa ambizione di sintesi con cui Fontana s'impadroniva della natura, di uomini e cose, dove i volumi si sublimavano in una stilizzazione raffinata, e dove la plasticità inseguiva già una figurazione primitiva, con il gusto della deformazione emotiva, che lentamente prenderà il suo corso, spianando la strada al passaggio da una figuratività dinamica all'astrazione.

Notizie utili - "Lucio Fontana luce e colore", dal 22 ottobre al 15 febbraio, Palazzo Ducale, Piazza Matteotti 9, Genova.
Orario: 9.00 - 19.00 tutti i giorni, chiuso il lunedì
Ingresso: intero € 8, ridotto € 6, Scuole € 3 e giovani fino ai 25 anni.
Informazioni: tel. 010 5574064-65 -
www.palazzoducale.genova.it